Aggressioni infermieri, servono più personale e formazione

Un infermiere su tre ha subito un’aggressione fisica o verbale nell’ultimo anno. La maggior parte degli operatori sanitari vittime di violenza erano donne, i reparti a maggior rischio le Medicine e il Pronto soccorso, dove i pazienti sono complessi e hanno bisogno di caregiver. Per gli esperti è urgente intervenire per mitigare il fenomeno

Un infermiere su tre ha subito un’aggressione da un paziente o da un suo accompagnatore. È quanto emerge da un’indagine svolta da otto università e cofinanziata dalla Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi).

Capofila del progetto il Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università di Genova, con la collaborazione della sezione italiana di Sigma Nursing International.

Lo studio, svolto tra dicembre 2020 e aprile 2021, ha scoperto che un numero significativo di violenze fisiche o verbali subite dalla categoria – circa 125.000 – non sono state denunciate all’Inail. In questi casi l’infermiere non ha dichiarato di non aver segnalato l’episodio perché:

  • nel 67% dei casi ha ritenuto che le condizioni dell’assistito o del suo accompagnatore fossero causa dell’episodio di violenza;
  • nel 20% dei casi è convinto che tanto non avrebbe ricevuto nessuna risposta da parte dell’organizzazione per cui lavora;
  • nel 19% dei casi ha ritenuto che il rischio sia una caratteristica attesa o accettata del suo lavoro;
  • nel 14% dei casi si è sentito in grado di gestire efficacemente questi episodi senza doverli riferire.

 

Annamaria BagnascoQuesti dati sono il risultato di un questionario che è stato somministrato a 5.472 infermieri (su circa 450.000 iscritti alla Fnopi, di cui 395.000 sono quelli attivi).

“L’alto numero di persone che non ha segnalato l’episodio dovrebbe far riflettere – afferma Annamaria Bagnasco, professoressa ordinaria del Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università di Genova e coordinatrice dello studio – Per molti l’aggressione verbale è qualcosa che fa parte del lavoro che si sono scelti”.

L’area medica è la più colpita

Il 32,4% di chi ha preso parte al lavoro ha dichiarato di aver subito almeno un episodio di violenza fisica o verbale nell’ultimo anno. La maggior parte di questi infermieri lavora nell’area medica (29,6%), nell’emergenza e in terapia intensiva (26,6%) e nell’area chirurgica (14%).

Nella maggior parte dei casi (25.000) si è trattato di minacce verbali e comportamentali senza contatto fisico; nettamente distaccati ma pur in numero significativo gli episodi con contatto fisico (5.533) e i veri e propri episodi di violenza con contatto fisico da parte di persone o oggetti (4.645 casi).

“L’area medica è un settore nel quale il paziente è  molto complesso: spesso anziano, con tante comorbilità e con un’incidenza importante di problemi di salute che riguarda la sfera fisica e psicologica – analizza Bagnasco – Sono anche pazienti che hanno necessità di avere vicino dei caregiver. Il carico di lavoro delle medicine e la complessità dei casi clinici possono determinare queste situazioni”. Inoltre, le carenze di personale già identificate in studi multicentrici nazionali e internazionali determinano in molti casi l’impossibilità di gestire questi episodi.

Di tutti coloro che hanno subito una violenza, solo il 54,7% l’ha riferita o segnalata

Di tutti coloro che hanno subito una violenza, solo il 54,7% l’ha riferita o segnalata e il 58,1% dei professionisti ha dichiarato di aver denunciato tutti gli episodi subiti.

Il 79,6% degli infermieri che hanno riferito almeno un episodio di violenza verbale o fisica ha dichiarato di non aver ricevuto nessuna risposta da parte dell’azienda; il 34,8% di aver ricevuto un supporto immediato da parte dell’azienda e il 26,4% che l’azienda ha effettuato un avvertimento verbale all’autore dell’episodio di violenza.

Il 65,3% degli infermieri ha detto di essere soddisfatto dalla risposta iniziale ottenuta da parte dell’azienda.

Il danno economico

Quasi un infermiere su 4 tra chi ha subito violenza (il 24,8%) ha riportato un danno fisico o psicologico. Nel primo caso, le conseguenze più frequenti sono state escoriazioni o abrasioni e ecchimosi. Tra chi ha dichiarato conseguenze psicologiche, il 10,8% ha affermato che queste hanno causato disabilità permanenti e modifiche delle responsabilità lavorative o inabilità al lavoro.

La conseguenza psicologica principale è stata il “morale ridotto”, seguito da “stress, esaurimento emotivo, burnout”. Nel 15% dei casi il danno (fisico o psicologico) ha comportato l’assenza dal lavoro.

Dal punto di vista economico, si calcola un danno per circa 11 milioni di euro

Dal punto di vista economico, si calcola un danno per circa 11 milioni di euro: il 32% degli infermieri riferisce di aver subito violenza, con una media annuale di 15 episodi per singolo professionista. In tutto, il 4,3% riferisce assenza dal lavoro a causa di violenza subita e questo, se l’assenza è di almeno tre giorni, corrisponde a circa 600 euro a caso che, moltiplicati per il numero degli infermieri coinvolti in un anno, supera appunto gli 11 milioni di euro, considerando la prevalenza dell’evento sulla popolazione infermieristica italiana.

Tuttavia, se l’assenza raggiunge i 7 giorni il costo per singolo evento va triplicato, raggiungendo quota 1.800 euro, cioè oltre 34 milioni di euro all’anno a carico del sistema sanitario e della società per la violenza sugli infermieri.

La formazione per prevenire le violenze

Se nel 75% dei casi a subire violenza è stata una donna, nel 51,8% dei casi a compierla è stato un uomo (paziente o accompagnatore). Nel 56,4% dei casi il paziente soffriva di ansia e agitazione, nel 43% aveva problemi di salute mentale, nel 39,5% abusava di sostanze e nel 33,2% aveva problemi di etilismo.

Secondo il 59,7% degli infermieri, i fattori socioeconomici hanno svolto un ruolo significativo per quanto riguarda le aggressioni e per il 66,3% dei rispondenti la frequenza delle aggressioni sarebbe in aumento.

Sebbene la formazione specifica per ridurre le aggressioni sia considerata in lettereatura una misura di prevenzione o riduzione del rischio, solo il 23,3% ha dichiarato la presenza di attività di questo tipo sul posto di lavoro.

“La seconda fase di questo lavoro è di studio qualitativo: stiamo conducendo interviste e focus group per indagare in profondità il fenomeno – spiega Bagnasco – A partire dai dati numerici emersi stiamo conducendo una serie di approfondimenti sugli aspetti più rilevanti che questa prima parte ha evidenziato”.

Tra gli approfondimenti previsti ci sarà anche quello sulle misure da intraprendere per prevenire questi eventi.

Il fabbisogno di infermieri

La violenza sul luogo di lavoro rappresenta un fenomeno in forte crescita negli ultimi anni per le professioni sanitarie, in particolar modo per gli infermieri, considerati la categoria più vulnerabile per la tipologia di lavoro svolto sempre a stretto contatto con le persone e in situazioni non ordinarie che possono generare facilmente tensione. Dal punto di vista culturale, poi, gli infermieri sono considerati meno autorevoli rispetto ai medici e dunque più facilmente attaccabili.

Un dato importante da tenere in considerazione è emerso da un precedente studio sul fabbisogno infermieristico, che aveva messo in rilievo la carenza di personale e l’impatto del fenomeno sulle cure tralasciate, sull’ambiente di lavoro e sulla salute fisica e mentale dei professionisti.

L’Italia è agli ultimi posti tra i Paesi dell’Unione europea per numero di infermieri

L’Italia è infatti agli ultimi posti tra i Paesi dell’Unione europea come numero di infermieri. La Fnopi stima una carenza di circa 63.000 professionisti, ma per altre fonti (come Agenas e Crea Sanità) per portare a termine gli obiettivi previsti dal Pnrr mancherebbero all’appello 80-100.000 professionisti. Si calcola infatti un fabbisogno aggiuntivo di almeno 30.000 unità tra gli infermieri di comunità e quelli che dovranno essere presenti nelle Case di comunità.

Per l’anno accademico 2022-2023 sono stati banditi 24.352 posti come infermiere, mentre il fabbisogno espresso dalla Fnopi era stato di 29.064.

Implementare i percorsi

Dallo studio è emerso come gli infermieri siano in grado di riconoscere le caratteristiche delle persone che sono più propense ad avere comportamenti di violenza fisica o verbale. Tra le concause che più sono state indicate, inoltre, vi è la comunicazione inadeguata tra il personale e l’assistito o l’accompagnatore.

Da qui la necessità di fornire al personale infermieristico gli strumenti per depotenziare le violenze, con una formazione ad hoc che comprenda anche le strategie più efficaci di comunicazione, o le competenze per riuscire a controllare quelle situazioni di tensione che precedono la violenza.

“I dati indicano che sarebbe opportuno che le strutture sanitarie sviluppassero eventi formativi, valutandone la frequenza obbligatoria, per migliorare la gestione e prevenzione degli episodi di violenza – rileva Bagnasco – Inoltre, avendo oggi la disponibilità di dati che descrivono il fenomeno e ne identificano i fattori predittivi diventa urgente attivare studi che, a seguito di interventi correttivi, vadano a modificare gli aspetti che sono risultati maggiormente significativi, quindi la carenza di personale e la formazione”.

Dove esistono, infatti, i momenti di formazione sono facoltativi e, sebbene gli infermieri che li hanno frequentati ne riportino l’utilità, in molti non li terminano.

Gli esperti rilevano la necessità di implementare o sviluppare dei percorsi aziendali per il supporto delle vittime di violenza sul luogo di lavoro

Infine, gli esperti rilevano la necessità di implementare o sviluppare dei percorsi aziendali per il supporto delle vittime di violenza sul luogo di lavoro. Sono troppi, infatti, i professionisti che si sono dichiarati non soddisfatti della risposta avuta dal proprio datore di lavoro dopo aver segnalato l’episodio.

Commentando il lavoro svolto dall’Università di Genova Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione, ha affermato che “per restituire dignità all’attività professionale e garantire la sicurezza degli infermieri durante l’orario lavorativo è quanto mai urgente inserire questa professione tra le categorie usuranti, mentre ora è riconosciuta soltanto la classificazione tra i lavori gravosi. Lo studio descrive le caratteristiche degli episodi di violenza e individua i fattori predittivi e le cause. I correttivi di cui c’è bisogno derivano da qui”.

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Michela Perrone
Giornalista pubblicista