«La mia proposta mira principalmente a mettere a punto un metodo in vitro integrato che possa consentire di valutare la qualità di un vaccino intesa come la capacità di un vaccino di istruire adeguatamente il nostro sistema immunitario e di conseguenza di proteggerci. Questo tipo di studio potrebbe trovare un’applicazione per la valutazione di candidati vaccinali ma, sicuramente, potrebbe avere un uso ancora più ampio in quelli che sono i controlli di qualità ai quali ogni singolo lotto di vaccino deve essere sottoposto prima della sua immissione in commercio». Sono queste le potenzialità dell’utilizzo delle cellule primarie umane nelle parole di Marilena Paola Etna, ricercatrice del Dipartimento Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS).
Il metodo potrebbe migliorare la valutazione della qualità dei nuovi vaccini e la sicurezza di quelli in produzione
È stata lei a vincere la quarta edizione di “Realizziamo il sogno dei nostri giovani ricercatori” – concorso dell’Istituto Superiore di Sanità per gli under 40 che destina i fondi raccolti alla realizzazione del progetto vincitore – con la proposta di un metodo alternativo alla sperimentazione animale per la produzione di vaccini. Il processo di selezione per l’Edizione 2023 è stato completato lo scorso ottobre e, tra le 19 proposte giunte, è stata premiata quella della dottoressa Etna, dal titolo “A biomimetic in vitro model for the immunogenicity assessment of vaccines for human use: exploitation of Peripheral Blood Mononuclear Cell/Muscle Cell cross-talk and innate immune signature for the evaluation of aluminum adjuvanted- and mRNA-based formulations“.
Il progetto si concentra sulla creazione di un metodo alternativo alla sperimentazione animale per valutare la capacità dei vaccini umani, inclusi quelli a mRNA, di stimolare la risposta immunitaria. Lo studio prevede lo sviluppo di un modello sperimentale in vitro basato su cellule primarie umane muscolari e del sistema immunitario, replicando il contesto biologico in cui vengono somministrati i vaccini intramuscolari. Le cellule primarie umane sono cellule ottenute direttamente da tessuti umani, come opposto alle cellule che sono state coltivate in laboratorio. Le cellule primarie umane, dunque, conservano le caratteristiche e le funzioni fisiologiche proprie del loro contesto biologico originale.
La dottoressa Etna ne ha parlato a TrendSanità. Com’è nata l’idea di utilizzare cellule primarie umane rispetto ai modelli animali?
Il Dipartimento di Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità ha una lunga esperienza nell’esecuzione di studi che impiegano cellule primarie umane
«Questa scelta viene dal fatto che, sebbene i modelli animali siano stati utilissimi fino ad ora, hanno dei limiti nel riprodurre fedelmente alcuni fenomeni biologici che avvengono nel nostro organismo. Le cellule primarie umane sicuramente rappresentano un buon compromesso da investigare e adattare, quando possibile, a specifici quesiti biologici».
Quali sono i principali vantaggi e benefici dell’utilizzo di questa alternativa rispetto ai metodi tradizionali che coinvolgono gli animali?
«Sebbene utilissimi sotto tanti punti di vista, come già detto precedentemente, i metodi che coinvolgono l’impiego di modelli animali si scontrano innanzitutto con questioni di natura etica. Esiste infatti una Direttiva Europea del 2010 (2010/63/EU) che invita tutti gli Stati Membri ad un uso consapevole degli animali impiegati per scopi scientifici e a sostituire, laddove possibile, i metodi animali con delle alternative in vitro scientificamente valide. Basti pensare che circa 10 milioni di animali vengono impiegati ogni anno per lo sviluppo, la produzione e la valutazione della qualità dei farmaci. Inoltre, i test condotti con metodiche animali sono spesso molto costosi e forniscono risultati variabili se confrontati con una metodica in vitro. Infine, bisogna sempre tenere a mente che esistono delle differenze biologiche tra specie diverse e che quindi lo sviluppo di metodi alternativi a quelli animali consentirebbe di testare un farmaco destinato all’uomo in un contesto biologico più simile basato sull’impiego di cellule umane.»
Come seleziona le cellule primarie umane da utilizzare nei suoi studi? Ne seleziona dei tipi specifici? Se sì, per quale ragione?
«Sicuramente si tratta di una scelta dettata dalla specifica funzione e possibile ruolo che ciascun tipo cellulare può giocare nel contesto del quesito biologico che mi pongo. Trattandosi di una proposta che vuole valutare se un vaccino stimola la risposta immunitaria, sicuramente la componente immunologica è fondamentale e viene garantita dall’impiego di alcune cellule del nostro sangue (cellule mononucleate del sangue periferico) che isoliamo a partire dagli scarti della lavorazione delle sacche di piastrine. L’estensione poi ad altre cellule primarie, come in questo caso, deve essere valutata sicuramente in via preventiva con degli esperimenti mirati che dimostrino innanzitutto la responsività di queste cellule al nostro stimolo e successivamente il significato biologico che tale risposta ha».
Le cellule primarie umane migliorano la rappresentatività dei risultati?
Abbiamo diverse idee per il prossimo futuro che vorremmo esplorare spostandoci un po’ dal contesto vaccini, ma rimanendo sempre nell’ambito delle malattie infettive
«Sicuramente se adeguatamente sfruttate, possono consentire di riprodurre in maniera molto molto fedele le risposte fisiologiche dell’uomo inserendole ad esempio in sistemi più complessi come sistemi 3D o sistemi microfisiologici avanzati. Con questo non voglio dire che le cellule primarie sono la risposta a tutto, ma sicuramente possono essere una risorsa preziosissima.»
Ci sono delle differenze significative tra le risposte biologiche del modello animale rispetto a quelle delle cellule primarie umane?
«In assoluto ci sono delle differenze tra specie diverse, dipende sempre dal fenomeno che stiamo andando ad analizzare».
Qual è la durata di questo studio? Come mai ha pensato di focalizzarsi proprio sui vaccini?
«Lo studio ha una durata di due anni e spero che possa costituire solo l’inizio di una serie di studi volti a identificare metodi alternativi in vitro per studiare le proprietà dei vaccini. Ho deciso di focalizzarmi sui vaccini perché da molti anni ormai nel gruppo in cui lavoro ci interessiamo sia di studi di interazione tra ospite e patogeno che di analizzare la risposta di possibili candidati vaccinali e di allestire sistemi in vitro per valutarne la loro proprietà in termini di sicurezza ed efficacia».
Ha in mente altri progetti che prevedano l’utilizzo delle cellule primarie umane?
«La maggior parte dell’attività che svolgiamo all’interno del nostro gruppo prevede l’impiego di cellule primarie e abbiamo diverse idee per il prossimo futuro che vorremmo esplorare. Spostandoci un po’ dal contesto vaccini, ma rimanendo sempre nell’ambito delle malattie infettive sicuramente ci piacerebbe poter studiare i meccanismi con cui i patogeni interagiscono con il nostro sistema immunitario e con il nostro organismo in sistemi sempre più vicini alla fisiologia umana e che mimino quindi in maniera più fedele gli eventi che avvengono nel nostro organismo».
Ci sono dei limiti nell’utilizzo delle cellule primarie umane come alternativa ai metodi animali? Se sì, come si possono superare?
Ci possono essere questioni di natura etica, ma anche sulla sperimentazione animale va adottata cautela e responsabilità
«Il limite principale che vedo potrebbe essere dovuto alla loro disponibilità o semplicità di approvvigionamento e a possibili questioni di natura etica che potrebbero richiedere un’autorizzazione per il loro utilizzo. Ma, ovviamente, anche l’impiego di animali a scopi scientifici richiede un iter autorizzativo e una valutazione attenta da parte di una commissione di esperti. Quindi sotto questo punto di vista possiamo considerare che ci sono alcune limitazioni comuni. Dal punto di vista scientifico, le cellule primarie come dicevo costituiscono un patrimonio da capitalizzare per investigare meccanismi fisiologici. Ovviamente, affinché vi possa essere una sostituzione del metodo animale, il metodo in vitro deve dimostrare di essere scientificamente solido e di ricapitolare con elevata accuratezza ciò che avviene in vivo».