Come gestire i pazienti con ipercolesterolemia in prevenzione secondaria? Focus in Regione Abruzzo

Le terapie efficaci per combattere le dislipidemie esistono, quelle innovative anche, eppure per la maggior parte dei pazienti con ipercolesterolemia in prevenzione secondaria è davvero difficile raggiungere l’obbiettivo terapeutico. Quali sono le potenziali aree di miglioramento e le azioni da intraprendere? I risultati di un progetto realizzato in Abruzzo.

Le terapie efficaci per combattere le dislipidemie esistono, quelle innovative anche, eppure per la maggior parte dei pazienti con ipercolesterolemia in prevenzione secondaria è davvero difficile raggiungere l’obbiettivo terapeutico. La comunità medica è a conoscenza del problema, ma poi a livello pratico si fa fatica ad ottenere aderenza e persistenza terapeutica e a diffondere una cultura della prevenzione davvero efficace.

I motivi sono diversi: dalla resistenza a utilizzare le statine da parte di certi pazienti per timore degli effetti collaterali, agli ostacoli regolatori per la diffusione degli inibitori di PCSK9, anticorpi monoclonali che si sono dimostrati efficaci per curare questi pazienti ma che non sono facilmente accessibili. Manca una formazione dei medici del territorio e occorre lavorare su una comunicazione più efficace tra professionista e paziente, sfruttando anche il potenziale della telemedicina.

Di questo e molto altro si è discusso all’Expert Meeting “Le sfide nella gestione terapeutica dei pazienti con ipercolesterolemia in prevenzione secondaria: criticità, proposte e prospettive”, organizzato da Alberto Costantini (Direttore Farmacia Ospedaliera della ASL di Pescara) e Fiorenzo Santoleri (Farmacista ospedaliero della ASL di Pescara, Segretario Regionale SIFO Abruzzo e Molise e Coordinatore nazionale SIFO per gli studi di Farmacoutilizzazione), con la collaborazione di LinkHealth, azienda specializzata in studi di Health Economics, Outcomes & Epidemiology.

L’evento

La giornata è stata organizzata sulla scia dello studio realizzato da LinkHealth, che ha raccolto una serie di interviste somministrate a medici, farmacisti ospedalieri e rappresentanti delle istituzioni della Regione Abruzzo, per esplorare i punti di vista degli stakeholders in merito alle principali problematiche percepite, alle potenziali aree di miglioramento e alle possibili azioni da mettere in atto per migliorare la gestione del paziente con ipercolesterolemia in prevenzione secondaria. Tra i punti emersi e che sono stati discussi durante la giornata vi sono:

  • l’equità di accesso alle cure;
  • il mancato raggiungimento del target;
  • l’impiego di strategie terapeutiche non sempre appropriate;
  • la scarsa aderenza e persistenza alla terapia;
  • l’integrazione ospedale-territorio.

L’obbiettivo dell’expert meeting era quello di impostare una discussione per identificare e condividere percorsi migliorativi dell’attuale modello organizzativo, che possano rispondere in modo più efficiente ai needs di decisori, clinici, farmacisti e pazienti.

 L’esperienza della ASL di Pescara

Il meeting si è aperto con la presentazione dei dati dei farmacisti Costantini e Santoleri che hanno illustrato cosa accade nella pratica clinica della ASL di Pescara.

La ricerca ha analizzato i soggetti in prevenzione secondaria che, dal 2011 al 2019, avevano avuto almeno un ricovero con diagnosi di malattia cardiovascolare aterosclerotica o diabete, e/o almeno due prescrizioni di farmaci antidiabetici nei 12 mesi precedenti, seguiti per un anno.

“Grazie all’analisi dei dati provenienti dalle SDO e dal flusso della farmaceutica – ha sottolineato Santoleri – abbiamo intercettato 23.000 soggetti. La maggior parte dei pazienti ha un’età superiore ai 65 anni. Se andiamo a raggruppare i soggetti con diabete, solamente il 40% di pazienti era in trattamento; per la malattia cardiovascolare i pazienti in trattamento erano il 60%. Nella maggior parte dei casi si sono impiegate statine senza associazione, nel 15% dei casi con associazioni precostituite, nel 6% con ezetimibe e nello 0,3% con gli inibitori di PCSK9”.

È stata condotta un’analisi su circa 23.000 soggetti

Nello studio, la maggior parte delle statine utilizzate sono quelle a moderata intensità. Quelle ad alta intensità sono le meno utilizzate. Le statine ad alta intensità nei soggetti con età tra i 40 e i 75 anni si utilizzano soltanto nel 46% dei casi.

Inoltre, solo il 64% dei pazienti è risultato aderente a queste terapie. La percentuale è pressoché identica tra pazienti con diabete e pazienti con malattia cardiovascolare; mentre aumenta nei pazienti che hanno entrambe le malattie, e ciò probabilmente è dovuto a una maggiore consapevolezza dell’importanza della terapia.

Guardando all’utilizzo degli inibitori di PCSK9, le condizioni per le quali vengono più utilizzati sono l’infarto del miocardio e per pazienti con angioplastica. In generale, l’inibitore di PCSK9 è poco impiegato.

Secondo Rossano Di Luzio Direttore UOC Organizzazione e Cure Territoriali della ASL Pescara –  la differenza delle percentuali di trattamenti tra patologie cardiovascolari e vascolari si deve, tra l’altro, alla capacità di gestire le emergenze: “L’infarto viene diagnosticato in maniera più facile e più precisa rispetto ad altre patologie. Infine, va considerato il numero degli specialisti: i cardiologi sono molto più numerosi dei neurologi o dei radiologi vascolari”.

Integrazione ospedale-territorio: da dove ripartire?

Alla luce dell’esperienza COVID-19, la medicina territoriale ha acquisito ancora più importanza per aiutare nella gestione di tutte le cronicità in generale. Per quanto riguarda i pazienti con ipercolesterolemia, si è discusso dell’opportunità di coinvolgere figure specialistiche a livello territoriale.

“Io non sono molto favorevole alla creazione di ambulatori dedicati – ha spiegato Di Luzio – perché deresponsabilizzano il medico di famiglia che demanda all’ospedale o all’ambulatorio specifico tutte le attività della cura. Questo è successo per esempio per i centri di diabetologia, di malattie oncologiche e per l’ipertensione. Sono invece favorevole ai PDTA, percorsi diagnostici terapeutici, purché sia ben specificato chi fa cosa: il ruolo del medico di famiglia, il ruolo dello specialista ambulatoriale, il ruolo dell’ospedale”.

Uno degli aspetti fondamentali di cui si è discusso per migliorare la gestione del paziente è l’educazione. “Il colesterolo è un nemico silente, asintomatico, per questo oggi più che mai occorre lavorare sulla comunicazione – ha chiarito Alberto Marrangoni, Dirigente Medico di Cardiologia ed Emodinamica della ASL di Teramo – soprattutto tra il medico di base e il paziente perché il medico di famiglia è il primo con cui il paziente si rapporta ed è fondamentale soprattutto nella prevenzione primaria. Il compito del medico di base è smorzare l’enfasi esagerata che si dà agli eventuali effetti collaterali delle statine. Basta che il paziente abbia un minimo di CPK elevato perché si rifiuti di prenderle”. Il medico in buona sostanza deve spiegare al paziente l’importanza della terapia ipolipemizzante.

Ricapitolando, i passaggi fondamentali sono: formare medici di base, sensibilizzare e instaurare un rapporto di fiducia anche con i pazienti che sono più resistenti e scovare coloro che hanno una iperlipidemia familiare, che spesso non viene diagnosticata.

Il coinvolgimento della comunità è quindi prezioso per intercettare questi pazienti, ma il problema è capire come gestire un paziente cronico sul territorio quando le sue prescrizioni e le sue cure in realtà vengono erogate in ospedale.

La lettera di dimissione ospedaliera rappresenta l’inizio della continuità assistenziale

“Bisogna rivedere la centralità della struttura ospedaliera – esordisce Marcello Caputo, Direttore di Cardiologia del Presidio Ospedaliero “SS. Annunziata” di Chieti – perché i nosocomi devono gestire le acuzie, ma il paziente cronico deve restare sul territorio e lì deve trovare la corretta assistenza. Mettere ancora l’ospedale in posizione centrale per gestire l’ipercolesterolemia, soprattutto se il paziente è cronico, stabilizzato e già curato in ospedale, è scorretto. Bisogna trovare una nuova declinazione del rapporto ospedale-territorio, alla luce anche di questa emergenza sanitaria che stiamo vivendo e, quindi, rimettere l’assistenza di questi pazienti al medico di medicina generale, magari condividendo con lo specialista ospedaliero i vari aspetti terapeutici”.

Caputo ha lavorato a un progetto di rivalutazione della lettera di dimissione ospedaliera che non dovrebbe indicare soltanto cosa è stato fatto in ospedale, semmai segnare il primo passo per questi pazienti in prevenzione secondaria, verso una continuità assistenziale sul territorio. Con le dimissioni non si conclude un percorso; si inizia.

Oggi c’è tutto un fiorire di PDTA per il paziente con cardiopatia ischemica, scompensi, aritmie, per varie tipologie di malattie cardiache e cardiovascolari: chi prende in carico il soggetto sul territorio deve sapere quali sono gli step successivi, per evitare un nuovo ricovero ospedaliero. Occorre scongiurare una personalizzazione delle prescrizioni e uno scollegamento con lo specialista, per cui nella lettera di dimissione compariranno anche queste formule orientative per l’assistenza territoriale.

Un problema di cultura e di comunicazione

L’alleanza terapeutica tra medico e paziente e la comunicazione del rischio sono il vero nocciolo della questione. Occorre prima di tutto rafforzare la cultura riguardo l’importanza di ridurre il colesterolo LDL nei pazienti con arteriopatie o diabetici di lungo corso, anche all’interno della comunità medica.

“Il fatto che i dati sul nostro territorio mostrano che i pazienti non trattati sono prevalentemente diabetici o con arteriopatie, purtroppo conferma sia il dato nazionale sia dell’EUROASPIRE – ha affermato Francesco Cipollone, Professore Ordinario di Medicina Interna, Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti e Pescara, Direttore del Centro di Riferimento Regionale per Aterosclerosi, Ipertensione Arteriosa e Dislipidemie del Presidio Ospedaliero “SS. Annunziata” di ChietiSono stati fatti studi per testare la conoscenza delle linee guida e dei target da parte dei medici e il raggiungimento di questi obbiettivi nei loro pazienti; quello che è emerso è che i medici, nel 95% dei casi, conoscono le linee guida e i target terapeutici, ma il raggiungimento del target interessa al massimo il 25% dei pazienti: c’è quindi una discrepanza tra il conoscere e l’applicare. Non è il problema di una classe di medici rispetto ad un’altra, la performance è negativa tra tutti, sia a livello specialistico sia ancor di più sul territorio. C’è ancora molto da fare!”

Creare cultura è il primo passo per migliorare l’aderenza terapeutica

Per Santoleri creare cultura è il primo passo per migliorare l’aderenza terapeutica: “Quando entro negli ospedali non vedo mai un cartello che ricordi al paziente l’importanza di continuare la terapia. Manca la comunicazione in termini di informazione e si potrebbe fare con investimenti minimi.  Tenuto conto che il cardiologo ha un compito veramente difficile, perché in assenza di sintomi, il paziente interrompe la terapia, e quindi è necessario avere uno strumento esterno che aiuti clinici e pazienti”.

“La centralità è nel paziente – ha ribadito Caputo– che deve conoscere la propria patologia: l’aderenza si conquista soprattutto con la consapevolezza che il paziente acquisisce verso il problema, più che con la telefonata del medico di base o del case manager che gestisce questi soggetti sul territorio”.

Ottimizzare l’accesso agli inibitori di PCSK9

Nel 2017 sono diventati rimborsabili i nuovi anticorpi monoclonali diretti contro la proteina PCSK9.

La riduzione incrementale dei livelli di C-LDL ottenuta con i PCSK9i, rispetto alla terapia standard, permette di abbattere ulteriormente il rischio residuo, consentendo di conseguenza migliori risultati clinici.

Inoltre, la modalità di somministrazione in regime bi-settimanale o mensile e il favorevole profilo di tollerabilità riportato in studi clinici potrebbero aumentare l’aderenza terapeutica. Il problema è che la prescrizione dei PCSK9i è vincolata alla compilazione dei Registri di Monitoraggio AIFA web-based e limitata a un numero ristretto di centri prescrittori, che hanno anche in carico il follow-up del paziente.

Per questi ultimi, quindi, si crea un notevole lavoro amministrativo dovuto alle numerose visite legate alla rivalutazione del quadro clinico funzionale e al rinnovo del registro di monitoraggio. Occorre pertanto lavorare per introdurre questi medicinali in modo più efficiente nella pratica clinica, puntando alla sburocratizzazione della prescrizione, all’inserimento nei piani terapeutici e coinvolgendo di più gli specialisti ambulatoriali.

“Uno degli aspetti più critici – rimarca Cipollone– è semplificare la gestione della prescrizione dei PCSK9i. Inoltre, il coinvolgimento degli specialisti del territorio è fondamentale. Noi abbiamo avuto un’esperienza virtuosa quando furono introdotti gli anticoagulanti perché nel distretto, quando trovavano un paziente eleggibile, non potendo prescrivere il farmaco, lo inviavano in clinica per la conferma e la prescrizione, mentre a loro restava la gestione ordinaria. Questo andrebbe fatto anche per i PCSK9i, quindi lo specialista territoriale dovrebbe intercettare questi pazienti per poi inviarli ai centri prescrittori, e non perderli”.

La corretta informazione del paziente è un elemento chiave per l’appropriatezza terapeutica

Perché per ora in ospedale arrivano solo pazienti gravi, che hanno fatto un’angioplastica o che hanno forme molto severe, ma la grossa fetta di pazienti eleggibili non viene intercettata e non arriva ai centri di riferimento. Il cardiologo, per formazione e storia professionale connessa alla pratica interventistica e alle emodinamiche, è un facile prescrittore di farmaci ipolipemizzanti, in particolare anche di questi farmaci innovativi. Il problema è l’accesso a questo tipo di prescrizione da parte del paziente.

“Si deve passare da un tipo di gestione verticale – ha esordito Giuliano Valentini, Direttore facente funzioni di Cardiologia e UTIC con Emodinamica dell’Ospedale SS Filippo e Nicola di Avezzano, ASL 1 Abruzzo – dove il medico di medicina generale demanda allo specialista la gestione del paziente, a una modalità di tipo orizzontale, e cioè in modo che il paziente venga gestito in rete. Io proporrei la telemedicina, che potrebbe essere un valido ausilio per poter seguire i pazienti inclusi in programmi di terapia con una videochiamata, così da poter comunicare eventuali effetti collaterali per le dislipidemie in genere, non solo con i nuovi ma anche con i vecchi farmaci. Credo molto nel ruolo della telemedicina, ma purtroppo non sempre le strutture ospedaliere e territoriali dispongono di una dotazione informatica adeguata. L’assistenza da remoto è stata avviata dalla regione per alcune patologie, tra cui il diabete e l’autismo. Ci aspettiamo che questo tipo di consulto possa essere esteso ad altre malattie”.

L’esempio della Campania: far prescrivere gli inibitori agli specialisti territoriali

In Regione Campania è stato realizzato un progetto pilota per la prescrizione dei PCSK9i che ha consentito anche a sette cardiologi presenti sul territorio di poter prescrivere il farmaco, in modo da valutare se una maggiore capillarità della prescrivibilità sul territorio potesse migliorare il percorso di cura dei pazienti. I risultati di questo progetto appaiono molto promettenti. E la domanda sorge spontanea: è un modello replicabile anche in Abruzzo?

“Ben venga questa opportunità – ha sottolineato Caputo – perché altrimenti perdiamo l’opportunità di intercettare un’ampia fetta della popolazione”.

Al di là di questo però, se vogliamo raggiungere dei risultati concreti e soddisfacenti con la prescrizione di farmaci, è necessario rivedere il valore soglia di LDL-C a cui poter prescrivere i PCSK9i, altrimenti rimarremo ancora con una fetta di pazienti che sta ancora nel limbo, ovvero pazienti che non sono a target e con rischio residuo concreto.

Da dove ripartire?

Telemedicina, percorsi condivisi, semplificazioni delle prescrizioni. Sono molti gli elementi emersi durante il meeting su cui lavorare per arrivare a una gestione condivisa ed efficiente del paziente con ipercolesterolemia in prevenzione secondaria.

Riprendendo il discorso della telemedicina, occorre capire come applicarla e soprattutto se esistono già delle best practice in Abruzzo.

“Ci sono degli esempi nell’ASL di Pescara – ha detto Di Luzio – dove abbiamo attivato sistemi di telemedicina che hanno come terminale le unità specialistiche dell’ospedale cittadino. Ci sono anche delle esperienze nella ASL di Chieti. La pandemia ci ha anche permesso di attivare dei sistemi di telemedicina per il diabete e la demenza senile grazie ai quali è stato possibile poter seguire a casa i pazienti durante la pandemia.  A Pescara stiamo implementando la cartella clinica elettronica per i reparti, che andrà poi a scaricare e ad arricchire i dati nel Fascicolo Sanitario Elettronico”.

Telemedicina, percorsi condivisi e semplificazioni delle prescrizioni sono elementi da incentivare

Sul fronte della gestione condivisa del paziente, questa dovrebbe basarsi sull’intensità di cura richiesta. I dati europei dimostrano che in Italia si diagnostica solo l’1% delle forme di ipercolesterolemia familiare. Nel nord Europa, ad esempio in Olanda, i valori si aggirano intorno al 75%. “Ci sono degli strumenti molto semplici ma poco utilizzati, tipo il dutch lipid clinic network score – ha sottolineato Cipollone – che ha una sensibilità dell’85%: con 3-4 domande ben definite si può identificare la quasi totalità dei pazienti con ipercolesterolemia familiare. Dovrebbe essere fatto in ogni studio di medicina generale”.

E si torna quindi al tema del territorio e alla necessaria formazione dei medici che a loro volta devono preparare i pazienti a come saranno gestiti dai centri di riferimento.

Solo il 46% dei pazienti assume le statine ad alta efficacia, quelle che dovrebbero essere obbligatoriamente presenti sia come punto di accesso agli inibitori PCSK9 sia per i pazienti che presentano rischio moderato o alto. Se consideriamo l’uso dell’ezetimibe associato alla statina ad alta efficacia, si scende al 22% dei pazienti.

Inoltre, il medico di medicina generale e il clinico specialista dovrebbero agire in sinergia sensibilizzando il paziente a uno stile di vita corretto e una dieta corretta.

“Credo sia fondamentale la sinergia tra clinico e farmacista – ha precisato Santoleri – perché il medico, quando rivaluta il paziente, non sa se quest’ultimo è aderente o meno alla terapia. Dobbiamo quindi ragionare su una presa in carico multidisciplinare, perché occorre trovare strumenti di collegamento tra prescrittore e farmacia ospedaliera, nel caso dei nuovi farmaci inibitori di PCSK9, e farmacia territoriale per quanto riguarda le statine. È quindi prioritario lavorare sui dati che abbiamo, anche se provengono da fonti diverse, e analizzarli attraverso un confronto costruttivo”.

Oltre alla semplificazione dei percorsi, si ha la percezione che i pazienti considerino i farmaci ospedalieri di valore maggiore rispetto a quelli distribuiti sul territorio. Questo potrebbe spiegare in parte perché c’è più aderenza con gli inibitori di PCSK9 rispetto alle statine.

“C’è anche il timore – ha affermato Santoleri – che il carico burocratico che c’è dietro la prescrizione degli inibitori porti il prescrittore a decidere di non portare il paziente al target sperato e magari preferire la statina”.

Di conseguenza, occorre pensare a percorsi più agevoli che garantiscano comunque il monitoraggio, ma che al contempo diano facile accesso alle nuove terapie.

Per concludere, secondo Costantini i medici e i farmacisti devono iniziare a vedere le cose da un altro punto di vista, cercare di essere innovativi e non smettere di fare cultura. “Un evento come quello dell’Expert meeting di oggi ci arricchisce: ne usciamo tutti con un’idea nuova, un concetto nuovo, un approfondimento nuovo. Abbiamo parlato di mettere il paziente al centro del suo trattamento e di attivare tutte quelle azioni che possono migliorare la sua consapevolezza di essere protagonista nei confronti della sua terapia”.

Questo è il grande sforzo richiesto oggi alla classe medica e ai farmacisti: una comunicazione puntuale al singolo individuo che tenga conto della sua cultura personale, dell’estrazione sociale, della sua patologia. Il successo di una terapia cronica passa attraverso la condivisione con il paziente.

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Angelica Giambelluca
Giornalista professionista in ambito medico