Coming soon, MediCinema: il linguaggio universale del cinema come strumento terapeutico

Al Policlinico Gemelli di Roma, il progetto MediCinema trasforma il cinema in terapia: visioni guidate e film diventano strumenti per ridurre ansia, stimolare empatia e rafforzare legami. Studi clinici ne confermano l’efficacia su bambini e donne fragili

Tra le corsie di pediatria e le sale dedicate alla ricerca, c’è un luogo nella Fondazione Policlinico Gemelli di Roma in cui la cura passa anche attraverso la luce di un proiettore. Qui nasce MediCinema, un progetto che trasforma il cinema in strumento terapeutico: un’esperienza immersiva capace di stimolare l’immaginazione, ridurre l’ansia e rafforzare i legami emotivi nei pazienti. Non si tratta di semplice intrattenimento, ma di una vera e propria cineterapia, con evidenza di studi scientifici.

Per il nono anno consecutivo, MediCinema Italia ETS e la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS rinnovano la loro collaborazione con la Festa del Cinema di Roma, portando sullo schermo alcuni titoli del programma ufficiale della ventesima edizione. L’iniziativa, parte integrante della manifestazione in programma dal 15 al 26 ottobre 2025, diventa un’occasione per promuovere una riflessione sul valore terapeutico della settima arte, sempre più riconosciuta come strumento capace di generare benessere e supporto emotivo.

Il cinema è una realtà immersiva che può riaccendere il cervello emotivo

A TrendSanità ne parlano Daniela Chieffo (Professore di psicologia all’Università Cattolica di Roma, facoltà di medicina e chirurgia e Direttore della Psicologia Clinica della Fondazione Policlinico Agostino Gemelli) e Marianna Mazza (Professore di Psichiatra del dipartimento di Psichiatria Clinica e d’urgenza della Fondazione Policlinico Agostino Gemelli): insieme esplorano le potenzialità del grande schermo come nuova frontiera della cura.

Daniela Chieffo

Professoressa Chieffo, partiamo dallo studio legato al progetto Medicinema. Di cosa si tratta?

«Il progetto si chiama SEI Supereroi Insieme ed è stato realizzato nella sala Medicinema del Policlinico Gemelli. Ha coinvolto 30 bambini tra gli 8 e i 12 anni: metà ricoverati presso il nostro ospedale e metà provenienti da una scuola elementare vicina. L’obiettivo era favorire l’integrazione tra bambini ospedalizzati e bambini “sani”, creando un ponte di relazione e crescita reciproca. Ogni mese veniva proiettato un film d’animazione su temi come amicizia, empatia, resilienza e collaborazione. Dopo la visione, i piccoli partecipavano a giochi e riflessioni guidate, ispirate alle “sei A magiche”: Amicizia, Ascolto, Accoglienza, Accompagnare, Attenzione e Alleanza».

Quali risultati avete osservato?

«Abbiamo misurato vari indicatori psicologici all’inizio e alla fine del percorso: consapevolezza di sé, autostima, competenze socio-emotive. I bambini ricoverati mostravano inizialmente una maggiore vulnerabilità, ma al termine del progetto le differenze tra i due gruppi si sono ridotte in modo significativo. L’autostima corporea e familiare, la consapevolezza sociale e la capacità decisionale sono aumentate con valori di significatività statistica molto elevati (p < 0,001). In sostanza, il cinema ha agito come catalizzatore di benessere e di connessione mente-corpo-ambiente, favorendo l’immaginazione e la reattività cognitiva anche nei bambini più fragili».

Nei bambini ricoverati l’autostima corporea e familiare, la consapevolezza sociale e la capacità decisionale sono aumentate con valori di significatività statistica molto elevati

Dal punto di vista neuroscientifico, in che modo la visione di un film può incidere sul cervello di un bambino?

«La visione di un film attiva processi di memoria, attenzione e creatività. Attraverso la cosiddetta embodied cognition, ovvero la cognizione incarnata, il bambino “vive” ciò che vede, simulando emozioni e azioni dei personaggi. Questo rafforza la rappresentazione spazio-temporale e riattiva circuiti neuronali spesso “spenti” nei contesti ospedalieri o dall’eccesso di digitale. Il cinema, in questo senso, è una realtà immersiva che riaccende il cervello emotivo».

Come immagina l’integrazione della cinematerapia nei protocolli ospedalieri?

«La considero una forma di medicina complementare. Non sostituisce la terapia farmacologica o psicologica, ma la accompagna, alleviando la percezione del dolore e restituendo senso di appartenenza a chi vive la malattia. Guardare e commentare un film insieme può riattivare legami, far sentire parte di una comunità e migliorare l’umore».

Potrà diventare un supporto stabile accanto ai trattamenti tradizionali?

«Il cinema dovrebbe entrare in più ospedali possibile, anche dove non ci sono sale dedicate. In studi precedenti, abbiamo visto che durante la visione di un film molti pazienti chiedevano meno antidolorifici: l’immersione nella storia creava una sorta di “pausa dal dolore”».

Spostarsi dalla corsia alla sala proiezione diventa un gesto simbolico: significa uscire, anche solo per un’ora, dalla malattia

Avete già condotto altre ricerche in questo ambito?

«Con Medicinema abbiamo realizzato anche il cortometraggio Il tempo dell’attesa, dedicato alle pazienti oncologiche e ginecologiche. Lo studio, pubblicato su PubMed, ha mostrato come la visione condivisa di un film potesse riattivare la relazione di coppia e migliorare la comunicazione con il partner. Il cinema in ospedale favorisce anche la partecipazione delle famiglie e rafforza il legame tra equipe curante, bambini e genitori. Anche solo spostarsi dalla corsia alla sala proiezione diventa un gesto simbolico: significa uscire, anche solo per un’ora, dalla malattia e tornare a vivere».

Marianna Mazza

Professoressa Mazza, dai vostri studi emerge che la visione guidata e rielaborata di un film può ridurre ansia e stress nei pazienti. Quali sono i meccanismi psicologici e fisiologici che spiegano questo beneficio?

«La cineterapia è un intervento strutturato e professionale, prescritto da psichiatri o psicologi. Il film diventa una metafora attraverso cui esplorare vissuti personali ed elaborare emozioni. I meccanismi sono due. Da un lato quello psicologico: il cinema funziona come l’inconscio, attivando dinamiche di proiezione e identificazione che permettono di esprimere anche emozioni traumatiche difficili da verbalizzare. È il cosiddetto effetto catartico. Dall’altro lato c’è un meccanismo neurobiologico: i neuroni specchio, alla base dell’empatia, si attivano quando osserviamo un’emozione altrui, come se la vivessimo in prima persona. Questo spiega la potenza partecipativa del cinema, che nei giovani è ancora più forte perché le reti neurali sono più plastiche».

La cineterapia è un intervento strutturato e professionale, prescritto da psichiatri o psicologi

Avete appena concluso anche un progetto di ricerca dove avete coinvolto donne con fragilità psichica. Quali risultati sono emersi?

«Io mi sono occupata del progetto Gynemotion, dedicato alle donne con disturbi ansiosi e depressivi. È importante ricordare che le donne hanno un rischio doppio rispetto agli uomini, per fattori ormonali e sociali. Abbiamo coinvolto 30 pazienti: metà inserite in un percorso di cineterapia, metà seguite solo con trattamento farmacologico. Il programma prevedeva otto incontri mensili, ciascuno basato su un film centrato su una specifica emozione. Dopo la visione, la discussione di gruppo ha favorito un’espressione autentica: alcune donne hanno verbalizzato emozioni che non erano mai riuscite a comunicare, neanche in altri contesti terapeutici. I dati raccolti mostrano una riduzione significativa dei sintomi ansiosi e depressivi rispetto al gruppo di controllo. Abbiamo registrato anche parametri fisiologici, come la variabilità cardiaca, che confermano un miglioramento della regolazione emotiva. Un aspetto innovativo è stato il coinvolgimento dei partner, che hanno arricchito le dinamiche di gruppo e rafforzato il sostegno emotivo».

In prospettiva, quali passi servono per integrare la cineterapia nei protocolli ospedalieri in modo strutturale?

«Servono studi sempre più ampi per consolidare l’evidenza scientifica e garantire a questa pratica la piena dignità terapeutica. Alla Fondazione Agostino Gemelli abbiamo la fortuna di disporre di una sala cinema interna, ma l’obiettivo è rendere la cineterapia accessibile anche in contesti meno strutturati, fino a pensare a una “prescrizione culturale”, sul modello di quanto accade in Canada con l’accesso ai musei. Sarebbe auspicabile che i pazienti potessero usufruire di cinema o piattaforme a costi agevolati, come parte di un percorso clinico. La cineterapia non ha effetti collaterali, utilizza un linguaggio universale e dispone di un patrimonio vastissimo di film, adattabili a diverse età ed esigenze. È una risorsa immediatamente disponibile e, integrata con trattamenti farmacologici e psicoterapeutici, può davvero migliorare la resilienza e la qualità della vita dei pazienti».

Può interessarti

Silvia Pogliaghi
Giornalista scientifica, esperta di ICT in Sanità, socia UNAMSI (Unione Nazionale Medico Scientifica di Informazione)