Diagnostica in psichiatria, prosegue la ricerca di correlazioni genetiche e indici di patologia

È possibile distinguere la depressione maggiore dal disturbo bipolare con un semplice test ematico? La ricerca è sempre positiva, sostiene Matteo Balestrieri, copresidente della Società di Neuropsicofarmacologia, che però lancia un invito alla cautela nel considerare questi esami già pronti per l’utilizzo nella pratica clinica

Distinguere la depressione maggiore dal disturbo bipolare con un semplice test ematico. Uno studio pubblicato su Translational Psychiatry, rivista del gruppo Nature, ha evidenziato una possibile correlazione fra la presenza di specifici marcatori genetici distinti fra due patologie psichiatriche entrambe caratterizzate da sintomi depressivi importanti.

Nella pratica clinica, differenziare il disturbo bipolare dalla depressione unipolare può essere sfidante

Nella pratica clinica, differenziare il disturbo bipolare dalla depressione unipolare può essere sfidante, a causa della similitudine di alcuni sintomi. Mentre nella depressione un tono dell’umore basso può alternarsi ad un miglioramento del sintomo, nel disturbo bipolare si assiste ad una fase opposta, detta maniacale, in cui il tono dell’umore si innalza sopra i livelli di soglia, dando luogo a comportamenti sopra le righe, decisamente opposti alla passività tipica del paziente depresso. Lo studio sottolinea come una errata classificazione degli stati depressivi, spesso i primi sintomi presenti anche nell’esordio del disturbo bipolare, comporti un ritardo nel trattamento adeguato dei pazienti. Abbiamo parlato di questo studio, e delle sue applicazioni cliniche attraverso un nuovo test ematico sviluppato in laboratorio, con il professore di psichiatria e copresidente della Sinpf (Società di Neuropsicofarmacologia), Matteo Balestrieri, dal quale arriva l’invito alla cautela nel considerare questi esami già pronti per l’utilizzo nella pratica clinica.

Lo studio e il test ematico

Utilizzando l’analisi dell’editoma dell’RNA A-to-I, gli autori dello studio hanno scoperto che fra pazienti depressi e pazienti sani c’era una differenza genetica riscontrabile in 366 geni che, nei pazienti affetti da patologia psichiatrica, avevano subito delle varianti. Individuati 8 biomarcatori, l’esperimento si è poi spostato su due diverse categorie: quella dei pazienti che avevano ricevuto la diagnosi di depressione unipolare e quelli che avevano una diagnosi di disturbo bipolare. L’esperimento ha portato i ricercatori a isolare altri 6 marcatori in grado di suggerire una diagnosi differenziale di disturbo bipolare. L’associazione delle modifiche delle varianti di editing dell’RNA con i sottotipi di depressione e l’uso dell’intelligenza artificiale nell’analisi dei dati hanno permesso di ipotizzare lo sviluppo di un nuovo strumento clinico per identificare i pazienti depressi da quelli affetti da disturbo bipolare.

Il test, sviluppato in Italia, si sarebbe rivelato preciso nell’80% dei casi testati

Partendo da questa ricerca, due società impegnate nella diagnostica medica hanno recentemente sviluppato una piattaforma che, attraverso la biologia molecolare avanzata e l’intelligenza artificiale, si dichiara in grado di scoprire e utilizzare clinicamente nuovi biomarcatori proprietari basati sull’editing dell’RNA attraverso un test ematico. Il test, sviluppato in Italia, si sarebbe rivelato preciso nell’80% dei casi testati.

Se l’esame fosse approvato e utilizzato dai clinici, si tratterebbe effettivamente del primo test biologico applicato ad una disciplina medica, come la psichiatria, in cui al momento la diagnostica si basa solo e soltanto sulla analisi clinica.

Balestrieri

Fare ricerca è sempre positivo e lo studio presenta degli spunti interessanti che andranno sicuramente approfonditi dal momento che attualmente la psichiatria non beneficia di parametri biologici nelle formulazione delle diagnosi ma solo di dati clinici”, ha affermato il professor Balestrieri. “Periodicamente escono studi che cercano una correlazione fra specifici indici e determinate patologie. La ricerca deve continuare, tuttavia, è prematuro pensare di poter far uso di questo genere di test ematico nella clinica per mancanza di sufficienti dati a supporto – ha spiegato l’esperto –. Servirebbero molti elementi in più, fra cui un campione più vasto e maggiormente differenziato di pazienti testati, provenienti da centri diversi, per arrivare a dimostrarne l’utilità pratica. La strada, insomma, è ancora lunga”.

Disturbo bipolare e depressione maggiore, che differenza c’è?

Il disturbo bipolare in Italia colpisce circa l’1% – 2% della popolazione

Il disturbo bipolare è una patologia psichiatrica altamente invalidante che in Italia colpisce circa l’1% – 2% della popolazione, un dato che si pensa essere ampiamente sottostimato, per via dei tempi necessari ad una diagnosi. Le motivazioni della difficoltà nella diagnosi di questa patologia sono principalmente da ricercare nella somiglianza dei sintomi tra la sindrome bipolare e la depressione maggiore.

La depressione è caratterizzata da un calo dell’umore, perdita di interesse o di piacere nelle cose, sensi di colpa, insonnia, pensieri autosvalutativi o addirittura di suicidio. Il disturbo bipolare invece è caratterizzato dall’alternanza di episodi di depressione con episodi di mania, ovvero di miglioramento dell’umore su base euforica ed espansiva. Questo porta i pazienti a confondere la fase maniacale o ipomaniacale come un momento di apparente benessere, disorientando il paziente che non è incentivato a parlane con il medico in tono negativo vista la sensazione positiva che questo stato sembra regalare al paziente. La fase maniacale o ipomaniacale è infatti caratterizzata da una eccessiva euforia e dall’impulso sfrenato a compiere azioni ardite e disinibite (spese importanti, azioni che richiedono coraggio e spregiudicatezza). Quanto di più lontano dai comportamenti provati da sintomi depressivi. A questo si aggiungono altre problematiche che possono rendere la diagnosi più complicata: la sindrome bipolare può venire confusa con la schizofrenia; l’abuso di sostanze può mascherare altri sintomi; gli sbalzi d’umore nell’adolescenza possono essere percepiti come normali.

La diagnosi di bipolarità può emergere tardivamente anche perché per molti anni il paziente può soffrire solo ed esclusivamente di episodi depressivi altalenanti. L’assenza prolungata di episodi maniacali o ipomaniacali porta quindi il curante a identificare la malattia come depressione unipolare.

L’uso di un test ematico si rivela attualmente prematuro nella pratica clinica

Si tratta di due patologie con sintomatologie simili ma distinguibili quando si manifestano pienamente – ha proseguito il professor Balestrieri –. Per questo, con la giusta diagnosi clinica, che tenga conto di tutti gli elementi, è senz’altro possibile identificarle. L’uso di un test ematico si rivela quindi attualmente prematuro nella pratica clinica, oltre che non sostenibile per via della mancanza di dati a favore che lo rendano sufficientemente affidabile”.

In attesa di dati più certi, i clinici dovranno quindi affidarsi alla diagnosi clinica, che in psichiatria avviene tramite un colloquio strutturato secondo uno schema predefinito che indaga i vari ambiti della struttura emotiva e cognitiva della persona.

La diagnostica in psichiatria

In mancanza di marcatori biologici, la diagnosi psichiatrica può contare solo sulla capacità del clinico di comprendere chiaramente le caratteristiche del paziente che ha di fronte. Questo non sempre è semplice o immediato perché non è detto che i pazienti psichiatrici si trovino nelle condizioni di essere consapevoli o collaborativi. I sintomi ego-distonici, cioè quelli che provocano sofferenza al paziente, non sempre sono prevalenti e possono essere accompagnati da manifestazioni ego-sintoniche che rendono più complicato far comprendere al paziente il suo stato di salute. Nella pratica clinica lo psichiatra sottopone il paziente, se vigile e spontaneamente propenso alla valutazione, ad un colloquio per ricostruzione dell’anamnesi della malattia.

Lo strumento resta quindi solo quello del colloquio con il paziente (o con i suoi famigliari) a cui vengono poste domande aperte che permettono di valutare le diverse aree del funzionamento mentale, tra cui il linguaggio, l’espressività emotiva, il pensiero e la percezione e le funzioni cognitive. Anche l’aspetto generale del paziente indica fattori importanti, quali la capacità di prendersi cura di sé e di essere presente a sé stesso, l’abuso di sostanze stupefacenti o la capacità di conformarsi alle norme sociali. In un consulto psichiatrico vengono considerati il tono della voce del paziente, la postura, la gestualità e le espressioni del volto. Fino a che la ricerca genetica non darà ai curanti dei validi e certificati strumenti esterni di valutazione, la psichiatria resterà l’unica area della medicina in cui l’esame diagnostico viene condotto solo ed esclusivamente dal giudizio del professionista.

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Sofia Rossi
Giornalista specializzata in politiche sanitarie, salute e medicina