È di venerdì la notizia della valutazione positiva dell’Unione Europea rispetto al “prestito ponte” per l’ex-Ilva. 320 milioni di euro provenienti dal Governo italiano per mantenere attiva la produzione in attesa che l’impianto, oggi controllato da Acciaierie d’Italia in amministrazione controllata, sia venduto.
In realtà la Commissione non ha fornito alcuna risposta formale, ma si è limitata ad assicurarsi che il prestito non sia un aiuto di Stato (che violerebbe le regole della libera concorrenza stabilite da Bruxelles). Ora per sbloccare il trasferimento servirà un decreto del Ministero dell’Economia.
Ma che cosa significa tutto questo nella pratica, e perché è coivolta l’UE? E soprattutto: cosa sta succendendo negli altri paesi europei alle prese con impianti inquinanti? TrendSanità ne ha parlato con l’eurodeputata tarantina Rosa D’Amato, che ha indicato l’uso tempestivo del Just Transition Fund, un fondo europeo per la riqualificazione economica, come l’unica soluzione praticabile.
L’impatto sanitario dell’acciaieria
Nel 2022, l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) ha classificato Taranto come una «zona di sacrificio» a causa dell’inquinamento atmosferico derivante da Acciaierie d’Italia (ex-Ilva), correlato a elevati livelli di malattie respiratorie, cardiache, cancro, disturbi neurologici e mortalità prematura. Secondo il rapporto, privilegiare gli interessi economici a scapito della salute rappresenta «una macchia sulla coscienza collettiva dell’umanità».
Un primo campanello d’allarme era giunto nel 2011, quando uno studio epidemiologico dell’Istituto Superiore di Sanità rilevò un eccesso di mortalità legato all’inquinamento atmosferico nei dintorni dello stabilimento siderurgico, portando la Procura di Taranto a un’inchiesta culminata con il sequestro dell’area a caldo.
Nel 2013, la Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione contro l’Italia per violazioni delle direttive europee sulla qualità dell’aria e sulle emissioni industriali. Negli anni successivi, si sono seguite altre procedure di infrazione, mentre i governi italiani hanno emesso 14 decreti “salva-Ilva” per consentire all’azienda di continuare la sua attività.
Il lavoro di D’Amato in Europa
La battaglia per la chiusura definitiva dell’ex-Ilva ha spinto l’attivista tarantina a candidarsi al Parlamento europeo. Durante i suoi dieci anni come eurodeputata (2014-2024), Rosa D’Amato (gruppo Verdi/ALE) ha denunciato l’inattività dei governi nazionali attraverso lettere e interrogazioni alla Commissione europea, ha promosso missioni delle Commissioni Ambiente e Petizioni a Taranto, e ha sostenuto petizioni e azioni legali da parte di cittadini e associazioni territoriali.
La sentenza della Corte di giustizia europea
Uno dei casi sostenuti da D’Amato è stata l’azione inibitoria collettiva presentata da 11 cittadini tarantini, incluso un bambino di 8 anni affetto da una malattia rarissima (mutazione del gene sox4), con meno di 10 casi noti al mondo.
In una sentenza storica vincolante in tutta l’UE, il 25 giugno 2024 la Corte di giustizia europea ha stabilito che, se ci sono gravi pericoli per l’ambiente e la salute umana, l’acciaieria va chiusa senza ulteriori proroghe. Ora spetta alle autorità italiane fornire le valutazioni di danno sanitario per il rilascio dell’Autorizzazione Integrata Ambientale necessaria a mantenere la fabbrica in funzione.
Per D’Amato, i dati sanitari e ambientali esistenti sono chiari e sufficienti, inclusa la relazione dell’Agenzia regionale per l’ambiente del 28 maggio 2024, che identifica la cokeria come la fonte primaria delle emissioni di benzene.
Le sfide dell’industria siderurgica europea
L’ex-Ilva figura consistentemente tra le acciaierie più inquinanti dell’UE, secondo i dati dal 2007 a oggi sulle emissioni annuali di CO2 e composti cancerogeni come benzene, diossine e furani pubblicati sull’European Industrial Emissions Portal.
Oltre all’Ilva, altre acciaierie in Polonia, Francia e Belgio sono tra le più inquinanti d’Europa. In Germania, le storiche acciaierie della regione del fiume Reno hanno ridotto le loro emissioni grazie a chiusure o ristrutturazioni parte di una strategia di transizione verso fonti di energia rinnovabile.
In una sentenza storica vincolante in tutta l’UE, la Corte di giustizia europea ha stabilito che, se ci sono gravi pericoli per l’ambiente e la salute umana, l’acciaieria va chiusa
I tribunali tedeschi hanno avviato cause legali contro più di una dozzina di città per piani di qualità dell’aria insufficienti. In Francia, nel 2020, il Consiglio di Stato ha obbligato lo Stato francese a pagare una multa di 10 milioni di euro all’anno per ogni sei mesi di ritardo nell’attuare azioni concrete per ridurre l’inquinamento atmosferico.
Ad aprile 2024, il Parlamento europeo ha approvato la revisione delle direttive sulla qualità dell’aria e delle emissioni industriali, rendendo più stringenti i valori massimi di inquinanti permessi nell’aria e avvicinandoli agli standard internazionali raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
L’iniezione di altri 320 milioni di euro
Ma chiudere la maggiore acciaieria europea, l’unica con un ciclo di produzione integrale di acciaio, e una fonte di lavoro cruciale in una regione già martoriata dalla mancanza di alternative economiche, non suscita entusiasmo tra i vari attori nazionali, compresi i sindacati, Confindustria e il governo.
Venerdì, il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha annunciato la valutazione positiva dell’UE per il “prestito ponte” di 320 milioni euro ad Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria — con un tasso di interesse annuo del 11,6% — per mantenere l’acciaieria operativa fino alla vendita a una delle varie multinazionali interessate all’acquisto.
Sebbene la Commissione europea non abbia adottato una decisione formale, Lea Zuber, portavoce per la concorrenza, ha dichiarato a TrendSanità: «La Commissione ha avuto discussioni serrate e costruttive con le autorità italiane per verificare che il prestito sia concesso a condizioni di mercato, garantendo che gli interventi pubblici a favore delle imprese possano essere considerati privi di aiuti di Stato».
D’Amato ha criticato le scelte del governo: «È irresponsabile che il governo Meloni sia pronto a concedersi un ulteriore prestito per mantenere in funzione l’azienda, pochi mesi dopo aver dirottato altri 150 milioni, inizialmente destinati alle bonifiche, verso la manutenzione degli impianti dove era stato trovato l’amianto!»
L’ipotesi della riqualificazione ecologica
Un’opzione sopra al tavolo è la “decarbonizzazione” dell’area a caldo, sostenuta dal governo, Regione, Comune, Acciaierie d’Italia e Legambiente. Questo permetterebbe di riconvertire l’impianto senza ricorrere all’importazione di ferro preridotto o acciaio da paesi terzi, economicamente insostenibile per l’Italia.
In Svezia, progetti innovativi come H2 Green Steel e HYBRIT prevedono la produzione di acciaio senza l’uso di carbone. L’idrogeno verde, prodotto tramite elettrolisi dell’acqua con fornaci elettriche, viene utilizzato per la riduzione diretta del ferro, rilasciando vapore acqueo invece di CO2 ed eliminando le emissioni di benzene e diossine legate alla combustione del carbone.
Soluzioni green sperimentate altrove, come l’idrogeno verde, non sono praticabili a Taranto
Tuttavia, D’Amato, che nel settembre 2023 ha visitato gli impianti svedesi sperando di portare in Italia il loro know-how, sottolinea che questa soluzione non è applicabile a Taranto: «Gli esperti ci confermano che ci vorrebbero 114 km2 per produrre energia idroelettrica, un’area che in provincia non c’è. Inoltre, solo 1700 dipendenti avrebbero il loro posto di lavoro garantito, portando in cassa integrazione gli altri 6000».
Il Fondo per la Transizione Giusta
Secondo Rosa D’Amato, la strada giusta è un’altra, e anche la Commissione europea lo riconosce: «La scelta di stanziare 800 milioni euro del Just Transition Fund alla provincia di Taranto dimostra che la Commissione è pienamente consapevole del problema».
«L’unica opzione realistica per Taranto è chiudere l’impianto e avviare una riconversione economica del territorio utilizzando il Just Transition Fund»
Il Fondo per la Transizione Giusta è stato concepito per finanziare progetti mirati a promuovere l’occupazione e la crescita delle regioni europee ultraperiferiche durante la transizione verso la neutralità climatica. D’Amato ha lavorato a emendamenti alla proposta legislativa del Parlamento europeo per assicurare che il fondo non venisse utilizzato per sostenere le operazioni dell’acciaieria.
«L’unica opzione realistica per Taranto è chiudere l’impianto e avviare una riconversione economica del territorio utilizzando il Just Transition Fund», afferma D’Amato, la quale ha commissionato uno studio con proposte per lo sviluppo territoriale. Avverte inoltre: «Se non utilizzati entro il 2027, questi soldi saranno persi per sempre».
E conclude: «Serve un piano strategico europeo per l’acciaio “verde”, per decidere quanto produrre, dove e come», richiamando le origini dell’Unione europea, come la Comunità europea del carbone e dell’acciaio.