Sono passati 15 anni dalla prima edizione del Corso di Perfezionamento organizzato dalla Facoltà di Scienze Agrarie a Milano: oggi gli healing garden sono molto più conosciuti. Ma il nostro Paese non brilla per valorizzazione del verde come terapia. Scopriamo come si progetta un giardino terapeutico e alcuni esempi già realizzati insieme a uno dei massimi esperti in Italia.
“Negli ultimi vent’anni la ricerca, con una produzione scientifica che è andata aumentando esponenzialmente, ha mostrato con evidenza crescente come il contatto con la natura contribuisca in maniera determinante al miglioramento della salute e del benessere degli esseri umani – spiega Giulio Senes, professore di Pianificazione del paesaggio rurale e progettazione del paesaggio al Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali dell’Università di Milano -. Trascorrere del tempo a contatto col verde, sia in città (parchi e giardini, ma anche greenway e viali alberati) che fuori dai centri urbani (boschi, territori agro-silvo-pastorali e naturali) porta infatti a risultati positivi e duraturi in termini di salute e benessere facilmente misurabili: i cosiddetti outcome delle ricerche in campo sanitario”.
Il verde che cura
La gamma delle patologie e dei disturbi positivamente influenzati dal contatto con la natura è molto varia: si va dalla depressione al diabete ai disturbi dell’attenzione, tumori, malattie infettive, cardiovascolari e respiratorie, fino all’obesità. “I meccanismi legati a tali benefici sono diversi e dipendono sia dalle caratteristiche dell’ambiente che dalle condizioni fisiologiche e psicologiche della persona, nonché dai suoi atteggiamenti e comportamenti – afferma Senes -. Diverse sono le teorie, tra cui le più citate sono quella della biofilia, l’Attention Restoration Theory e la Stress Reduction Theory. Nel complesso, però, è ormai dimostrato che il contatto con la natura ha effetti benefici sostanziali sul sistema immunitario e, quindi, a cascata, su moltissime malattie”.
Se il verde fa così bene alla salute, si sono domandati gli studiosi, perché parlare di healing garden? “Già nel 2002 Ulrika Stigsdotter dell’Università di Copenaghen si chiedeva se sia possibile per un giardino non essere healing: “Non è il benessere intessuto nel concetto stesso di giardino?” – racconta l’esperto -. La risposta è, in realtà, molto semplice: un healing garden è un giardino specificamente progettato per essere healing, in pratica uno spazio esterno, oppure un’area verde interna, progettato proprio per promuovere e migliorare la salute e il benessere delle persone. In sostanza è l’approccio salutogenico che contraddistingue la progettazione degli healing garden“.
La gamma delle patologie e dei disturbi positivamente influenzati dal contatto con la natura è molto varia: si va dalla depressione al diabete ai disturbi dell’attenzione, tumori, malattie infettive, cardiovascolari e respiratorie, fino all’obesità
Il punto quindi è l’approccio con cui si progetta. “La ricerca scientifica è la base su cui deve essere costruito il progetto e su cui impostare le attività che si prevede di realizzare nel giardino – sottolinea Senes -. Si tratta di un approccio noto come Evidence-Based Design (Ebd): la progettazione degli healing garden viene conformata alle conoscenze provenienti da diverse discipline, come la psicologia ambientale, le neuroscienze, la biologia e la psiconeuroimmunologia”.
Questo tipo di progettazione prevede che i benefici per la salute derivanti dagli healing garden siano verificati con una valutazione ex post, nota come Post-Occupancy Evaluation.
“La maggior parte degli healing garden è annesso a ospedali, case di cura, residenze per anziani, centri di riabilitazione – dice il docente -. Appare logico che in un luogo progettato e realizzato per promuovere e migliorare lo stato di salute e il benessere degli esseri umani tutti gli spazi vengano concepiti a questo scopo. Purtroppo, l’esperienza comune spesso è molto diversa e ciò che connota i luoghi della salute è più la sofferenza che la speranza. Ma negli ultimi anni la situazione, specialmente all’estero, è però migliorata e molti nuovi ospedali prevedono la realizzazione di healing garden a beneficio di pazienti, visitatori e staff, al fine di garantire una migliore qualità dell’assistenza. La natura nei luoghi di cura svolge così un ruolo salutogenico nella prevenzione delle malattie e nella promozione della salute”.
Come si progetta uno healing garden
Alla base del progetto, sostiene Senes, c’è il tipo di struttura a cui il giardino è annesso: ospedali generali per acuti, strutture di ricovero per lungodegenti, strutture ambulatoriali, strutture di accoglienza e assistenza, Rsa, strutture psichiatriche, hospice o strutture sanitarie specializzate come centri di riabilitazione, ospedali pediatrici, ortopedici, oncologici, materno-infantili, centri Alzheimer.
Una seconda caratterizzazione è legata all’utenza: tipologia (pazienti o ospiti, familiari, staff), età (bambini e ragazzi, adulti, anziani), tipo di malattia e grado di autonomia, genere. “Non molto tempo fa, ad esempio, in Lombardia è stato presentato il progetto per trasformare il presidio milanese Macedonio Melloni nel primo “ospedale di genere” in Italia, dedicato alle donne, che prevede anche la realizzazione di uno specifico giardino – afferma il professore -. Sempre legato alle differenze di genere, è il progetto portato avanti con l’associazione Cerchi d’Acqua di Milano di realizzare un giardino dedicato alle donne vittime di violenza”.
Ulteriori fattori sono la posizione e la conformazione del giardino all’interno della struttura di cura, che ne possono condizionare lo scopo, la funzione e l’utenza. “In realtà, la natura, il paesaggio, il verde, la luce del sole e l’aria fresca, l’acqua sono sempre stati una componente essenziale del processo di guarigione nell’ambito delle strutture di cura – precisa Senes -. Dagli anni ’50 del secolo scorso, nella maggior parte dei Paesi occidentali, il valore terapeutico dell’accesso alla natura è quasi scomparso dai criteri progettuali delle strutture di cura: si è passati dalla “cura della persona” alla “cura della malattia” e l’ospedale è diventato il luogo dove perseguire l’efficienza e l’efficacia del processo di cura creando spazi specificatamente dedicati ai diversi tipi di malattia, dove fosse possibile esaltare la specializzazione della cura”.
Giardini terapeutici nel mondo e nel nostro Paese
“Di recente, la maggiore attenzione a una visione che mette al centro la persona ha permesso di riproporre lo spazio verde annesso alle strutture di cura come spazio utile, se non fondamentale, al benessere delle persone, e non un mero accessorio all’edificio – afferma -. Si sono diffusi concetti e approcci come l’umanizzazione degli spazi di cura e la progettazione “umano-centrica” (Human Centred Design, Hcd, e Patient Centred Design, Pcd). I protocolli e i sistemi di certificazione più innovativi come Well, Leed e Sites introducono l’accessibilità a spazi naturali e aree verdi tra i requisiti premiali. Per esempio, il Leed for Healthcare prevede una premialità per le strutture di cura con “spazi aperti tranquilli dove pazienti, personale e visitatori possano godere dei benefici per la salute derivanti dal contatto con l’ambiente naturale, […] spazi accessibili direttamente dall’interno dell’edificio o situati entro 60 metri dai punti di accesso alla struttura”.
Negli ultimi anni, la maggiore attenzione a una visione che mette al centro la persona ha permesso di riproporre lo spazio verde annesso alle strutture di cura come spazio utile, se non fondamentale, al benessere delle persone, e non un mero accessorio all’edificio
Anche gli interventi di recupero edilizio delle strutture possono essere occasione per applicare una nuova visione dei luoghi della cura. Per esempio, il Reading Hospital di West Reading, negli Stati Uniti, ha realizzato nel 2017 un nuovo edificio e ha deciso di utilizzare la copertura della nuova piattaforma chirurgica per realizzare un grande healing garden di circa 8mila metri quadri sul nuovo tetto, il terzo più grande tetto verde su un edificio sanitario negli Stati Uniti. Lo healing garden si estende ai giardini pubblici adiacenti, integrando fisicamente la struttura sanitaria con il quartiere. Giardini terapeutici stanno comunque nascendo in tutto il mondo, dall’Asia all’Australia e all’Europa.
Il nostro Paese non è stato tra i più pronti a recepire l’opportunità del verde che cura. “La resistenza culturale che si trova in Italia, in ambiente sanitario, amministrativo e costruttivo, ha causato ritardi e lentezze – commenta Senes -. Se da una parte si assiste a una rapida e crescente produzione scientifica che dimostra gli effetti benefici del verde terapeutico, l’effettiva creazione di spazi verdi idonei non è adeguata: poco verde, non accessibile e/o fruibile, non progettato né pensato per essere healing, non gestito, né mantenuto in modo ottimale”.
Il ritardo culturale italiano sul tema del verde terapeutico si riflette in maniera evidente anche sulle realizzazioni fatte: un giardino non basta realizzarlo, bisogna curarlo. “Sembra paradossale che proprio nei luoghi di cura manchi la volontà di curare anche il verde, considerando che il prendersi cura del verde è in diverse parti del mondo una vera e propria attività terapeutica per gli esseri umani”.
L’Italia dei giardini terapeutici
Nel 2018, in collaborazione con la rivista tecnica sul verde pubblico Acer, il gruppo di ricerca di Senes ha condotto un primo “censimento” degli healing garden in Italia, considerando solo gli ospedali e le strutture di ricovero e cura. Su circa 850 strutture censite, soltanto 46 (circa il 5%) hanno registrato la presenza di un giardino classificabile come healing garden; 32 delle 46 strutture si trovano nelle regioni del Nord. “I giardini, tutti realizzati nell’ultimo decennio, in diversi casi, su terrazze o tetti, sono per lo più dedicati ai bambini, ai malati oncologici, alla riabilitazione (psichiatrica e/o fisica) o annessi ad hospice”.
Ma secondo l’esperto non è detto siano i numeri reali: “Spesso le stesse strutture non danno visibilità a tali aree. Anche questo è un segnale del ritardo culturale del nostro Paese, che si caratterizza soprattutto per la mancanza di comunicazione. Innanzitutto verso l’esterno: in ambito pubblico, e meno nelle strutture private, non è ancora abbastanza diffuso il pensiero che la presenza di un giardino dedicato possa rappresentare uno dei criteri di scelta da parte degli utenti. Il problema però si manifesta anche verso l’interno: il paziente, una volta entrato in struttura, non viene portato a conoscenza dell’esistenza del giardino, della possibilità di accedervi; spesso non ci sono neppure le indicazioni per raggiungerlo”.
Spesso le stesse strutture non danno visibilità a tali aree. Anche questo è un segnale del ritardo culturale del nostro Paese, che si caratterizza soprattutto per la mancanza di comunicazione
Anche in Italia, però, la situazione sta cambiando. Alcune aziende hanno investito nel verde terapeutico, come il Meyer di Firenze e i nuovi ospedali di Mestre, Bergamo, Como. Al nuovo ospedale “Pietro e Michele Ferrero” di Alba e Bra, tra le colline di Verduno, sono stati creati spazi verdi e due diversi healing garden, e altri sono in corso di realizzazione. Altre strutture stanno ragionando sulla possibilità di sfruttare ammodernamenti, ristrutturazioni ed espansioni per ripensare il ruolo del verde in funzione terapeutica: è il caso degli ospedali Buzzi, Fatebenefratelli e Melloni di Milano, del Gaslini di Genova, dell’ospedale di Orbassano, di quello di Asti. Infine, ci sono i progetti per i nuovi ospedali che mostrano, almeno sulla carta, una forte attenzione al verde in funzione terapeutica: la Città della Salute di Sesto San Giovanni, il nuovo Policlinico di Milano, la Città della Salute di Novara.
Ci sono anche esempi già realizzati, come il Giardino degli Abbracci dell’ospedale San Carlo di Milano. A Imola è nato il Giardino Riabilitativo del Montecatone Rehabilitation Institute, che prevede sia spazi dedicati alla fruizione passiva e alla socializzazione, sia aree destinate alla riabilitazione. Forse la tipologia di verde terapeutico più diffuso in Italia, in modo particolare al Nord, è quello legato alle strutture di cura e assistenza per gli anziani. Nelle Rsa e nei Centri Alzheimer il verde è una componente quasi sempre presente e di discreta qualità, anche se non sempre fruibile, sia per limitazioni progettuali che organizzative delle strutture. “Un bell’esempio è l’healing garden della Fondazione Honegger RSA di Albino, in provincia di Bergamo, progettato come un ambiente familiare, rassicurante e inclusivo per gli ospiti e per il personale, di conforto in condizioni di sofferenza e stress”.
Altro esempio significativo legato agli anziani è l’healing garden appena realizzato presso il Giardino San Faustino a Milano, nell’ambito del progetto “Green Age” finanziato da Fondazione Cariplo. Si tratta di un healing garden progettato in modo partecipato, con il coinvolgimento degli ospiti e dello staff di due Rsa confinanti con l’area e degli abitanti del quartiere, pensato fin dall’inizio per la salute e il benessere degli anziani. È in corso la Post Occupancy Evaluation, per la valutazione ex-post dei benefici.
Salute tra le colline: i giardini terapeutici del Nuovo Ospedale di Alba e Bra
“Una delle esperienze più interessanti è rappresentata dalla collaborazione in atto tra il mio gruppo e quello della professoressa Natalia Fumagalli del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali dell’Università degli Studi di Milano e la Fondazione Ospedale Alba-Bra per la sistemazione degli spazi aperti annessi al nuovo Ospedale Michele e Pietro Ferrero sito in Verduno (CN) ai fini della creazione di healing garden – dice Senes -. La Fondazione, nelle persone del Presidente Bruno Ceretto e del Direttore Generale Luciano Scalise, hanno da sempre posto al centro del loro operare il rapporto tra il nuovo ospedale e il territorio, con le sue risorse paesaggistiche e naturalistiche, credendo fermamente nel ruolo salutogenico del contatto con la natura, tanto che il motto della Fondazione recita: la natura nell’ospedale, l’ospedale nella natura“.
Il motto della Fondazione Nuovo Ospedale di Verduno, sorto tra le colline a metà strada fra Alba e Bra, è: la natura nell’ospedale, l’ospedale nella natura
Il gruppo di Senes ha adottato un approccio alla progettazione “basato sull’evidenza scientifica” e “partecipato”, coinvolgendo in incontri specifici tutte le diverse componenti del personale coinvolto, in modo da ottenere specifiche informazioni sulle caratteristiche organizzative di ogni reparto, sulle esigenze dei pazienti e dei loro familiari, sulle esigenze e aspettative del personale stesso.
Il giardino del reparto di Psichiatria è stato il primo a essere progettato. In accordo con i diversi attori interessati (Fondazione, ASL e Dipartimento di Psichiatria), è stato scelto di convertire parte del parcheggio ovest nel giardino della Psichiatria, in modo che fosse garantito l’accesso diretto dal reparto al giardino. “In primo luogo si è proceduto ad una specifica analisi bibliografica della letteratura scientifica internazionale volta ad individuare le specifiche indicazioni progettuali provenienti dalla ricerca scientifica internazionale relativamente agli spazi dei reparti di psichiatria – dice Senes -. Le evidenze scientifiche sono state, poi, interpretate alla luce delle indicazioni emerse nell’incontro con il personale. Infine, è stata fatta una ricerca per individuare esempi concreti di giardini realizzati nei reparti di psichiatria degli ospedali”.
Spiega il docente: “Su tali basi è stato sviluppato il masterplan dell’healing garden del reparto di Psichiatria, che prevede i seguenti elementi chiave: presenza di una recinzione di sicurezza, “mascherata” (sia per questioni estetiche che di privacy) da una ricca vegetazione di rampicanti e arbusti sia all’interno che all’esterno; accessibilità diretta dal reparto; presenza di tre “stanze” in corrispondenza dei pre-esistenti posti auto, la prima per il fumo all’aperto (tema molto delicato ma purtroppo occupazione principale dei pazienti ricoverati in quel reparto), la seconda per il gioco all’aperto, la terza per i colloqui con i visitatori; presenza di un “corpo principale” del giardino, ricco di vegetazione (diverse specie per portamento, epoca di fioritura e colori) con un percorso utile a “immergersi” nella natura, un’area con vasche rialzate per l’ortoterapia, un’area attrezzata con tavoli e sedie per eventuali attività di gruppo, sedute di diversa tipologia (poltrone, panche e chaise longue); inserimento sulla facciata di tre “canali di luce” in grado di convogliare la luce naturale all’interno del giardino, consentendo l’illuminazione della vegetazione e delle finestrature del reparto”.
Il secondo giardino a essere progettato è quello del reparto di Radioterapia. La presenza di un cavedio direttamente connesso con il reparto e senza alcuna specifica destinazione d’uso, se non quella di consentire l’ingresso della luce naturale, ha fin da subito stimolato la fantasia del gruppo di lavoro dell’Università di Milano. Il masterplan dell’healing garden della Radioterapia, anch’esso sviluppato sulla base delle evidenze scientifiche interpretate alla luce delle indicazioni emerse nell’incontro con il personale, prevede i seguenti elementi chiave: accessibilità diretta dal reparto, attraverso due porte, una per i pazienti, dalla sala d’attesa, e l’altra per il personale, dai locali dedicati al trattamento; presenza di due porzioni distinte, anche se non separate fisicamente, una per i pazienti e una per il personale; presenza di vasche in muratura, di colore chiaro per favorire la luminosità del cavedio, dotate di una ricca vegetazione, di forma irregolare con angoli ampi e smussati, con uno “sperone” pensato per delimitare la parte dedicata allo staff e aumentare la privacy; sistemazione e verniciatura con colore chiaro delle pareti del cavedio, in modo da aumentare la luminosità del luogo e valorizzare la presenza della vegetazione grazie al contrasto cromatico tra il bianco delle pareti e il verde della vegetazione stessa; presenza di tavoli con sedie, panchine e di una piccola area per il gioco dei bimbi come richiesto dal personale.
Vista la scarsa illuminazione presente nel cavedio e la conseguente difficoltà per le piante di crescere e svilupparsi, è stato realizzato un impianto per l’illuminazione diurna, pensato specificatamente per illuminare la vegetazione e facilitarne la crescita e lo sviluppo, che prevede l’utilizzo di appositi faretti con lampade che emettono luce bianca fredda (con temperatura di colore di circa 5000 K).