Giovanni Russo (DAP): «È drammatica la situazione sanitaria dei detenuti. Puntiamo su telemedicina e AI per prevenire suicidi»

La riflessione del Capo del DAP – Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria – a TrendSanità: «Spesso saltano visite perché non c’è personale per i trasferimenti. Ma oltre 45 istituti sono già dotati di strumenti che attuano la telemedicina»

«Le nostre radici affondano nell’umanesimo. Vogliamo essere educatori di soggetti che hanno sbagliato, non custodi di corpi. Riconosciamo che alcuni detenuti necessitano di trattamenti di sicurezza, ma crediamo fermamente che abbiano diritto a una nuova chance. L’obiettivo è un trattamento individualizzato, che riconosca la dignità e le specificità di ogni singola persona».

Parte dai corpi dei detenuti e delle detenute la riflessione del Capo del DAPDipartimento dell’amministrazione penitenziariaGiovanni Russo, con TrendSanità. Corpi che, al pari di chi sta fuori dal carcere, hanno il pieno diritto di vedersi tutelati nella sfera della salute fisica e mentale.

«La salute è un aspetto fondamentale. Quando parlo direttamente con i detenuti nei miei giri nelle carceri italiane, non emerge per primo il problema del sovraffollamento o dei diritti presuntamente negati nei penitenziari, temi su cui siamo impegnati tutti i giorni e su cui c’è una evoluzione positiva. Quello che rilevo è, piuttosto, una condizione drammatica sul fronte sanitario. Sebbene la sanità penitenziaria sia di competenza delle ASL, il Dipartimento avverte come una propria manchevolezza la difficoltà a garantire ai cittadini detenuti un’assistenza sanitaria corrispondente a quella dei cittadini liberi».

«Il Dipartimento avverte come una propria manchevolezza la difficoltà a garantire ai cittadini detenuti un’assistenza sanitaria corrispondente a quella dei cittadini liberi»

Quali sono le principali problematiche?

«Un problema significativo riguarda gli interventi diagnostici. Un numero considerevole di accertamenti doverosi non viene realizzato perché richiederebbe di portare il detenuto fuori dall’istituto in un ospedale. Non si tratta di diagnostica altamente specializzata, ma di esami di base. Molte di queste trasferte non avvengono per mancanza di personale, generando un’aspettativa doverosa che però viene frustrata. Questo produce rancore e priva il detenuto della possibilità di effettuare gli accertamenti necessari che possono prevenire problematiche più serie».

Come incide la composizione multietnica della popolazione carceraria sui bisogni sanitari?

«La multietnicità così presente negli istituti richiede un approccio preventivo e curativo personalizzato e individualizzato»

«L’istituto penitenziario è una collettività forzata caratterizzata da una pronunciata multietnicità, la più alta che viene riscontrata nella nostra società. Circa un terzo della popolazione non appartiene alla nostra comunità originaria, portando con sé patologie e reattività a terapie del tutto innovative per noi. Questo richiede un approccio preventivo e curativo personalizzato e individualizzato, in linea con la filosofia moderna dell’esecuzione della pena. Il trattamento penitenziario e rieducativo non può essere fatto per masse o per corpi, ma deve essere necessariamente individuale».

Quali particolarità ha riscontrato nella salute delle detenute?

«Ecco, a proposito della pluralità di interventi diversi a cui siamo chiamati, quello per le donne è molto importante e delicato. Le detenute rappresentano circa il 4% della popolazione carceraria e presentano una compresenza di più patologie. Mostrano una presenza di disturbi psichiatrici e psicologici molto più pronunciata rispetto ai detenuti uomini».

Come vi state attrezzando per dare risposte a queste esigenze?

«Anche per rispondere a queste necessità stiamo investendo in tecnologia. Stiamo implementando il metaverso e la telemedicina: oltre 45 istituti sono già dotati di strumenti che attuano la telemedicina con risultati più che soddisfacenti, risolvendo parzialmente i problemi di trasferimento del detenuto a cui facevamo riferimento prima».

Quali altri risultati possono arrivare dall’innovazione tecnologica nel sistema penitenziario?

«La vera svolta la avrà l’intelligenza artificiale. Attraverso la nostra partecipazione al recente comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, siamo riusciti a ottenere che l’intelligenza artificiale abbia dignità di presenza nell’ambito del trattamento penitenziario. Non pensiamo a un Grande Fratello, ma a un’azione più specifica e capillare dei bisogni del singolo detenuto, soprattutto nella prevenzione dei suicidi. Stiamo lavorando con l’AGID – Agenzia per l’Italia Digitale – per individuare sistemi di allerta e rilevazione che, senza intaccare la privacy e la dignità del detenuto, ci aiutino a comprendere i processi degenerativi e a cogliere i segnali precoci di disagio».

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Cesare Buquicchio
Giornalista professionista. Capo Ufficio Stampa Ministero della Salute dal 2019 al 2022. Direttore scientifico del corso di perfezionamento CreSP, Università di Pisa