Intelligenza Artificiale, quanti pericoli. Ma se fosse l’unica possibilità di salvezza per il Servizio Sanitario Nazionale in uno scenario realistico – non pessimistico – in cui alle carenze di personale si somma l’invecchiamento della popolazione? Del ruolo dei Big Data e dell’AI nella sanità del futuro si è discusso ieri all’Italy Healthcare Innovation Summit organizzato a Milano da Bamberg Health.
“La sanità sta attraversando una fase di rapida crescita e trasformazione: secondo il Rapporto “Il Digitale in Italia” di Anitec-Assinform, Il mercato della sanità digitale in Italia è in espansione: i dati del 2022 – se confermati – mostrano un mercato che per la prima volta supera i 2 miliardi di euro di valore, con una previsione di raggiungere 2,8 miliardi nel 2025. Si tratta di numeri che riflettono l’impatto della digitalizzazione sulla società e sull’economia ma soprattutto evidenziano l’importanza di un approccio strategico alla digitalizzazione della Sanità – ha dichiarato il presidente Aintec-Assinform Marco Gay, moderatore del panel -. La sfida per gli stakeholder è massimizzare il valore per i cittadini scalando best practices e progetti innovativi e appianare la doppia disuguaglianza – nell’accesso ai servizi sanitari e nell’accesso al digitale – che mina le fondamenta della digital Transformation in Sanità in Italia“.
Per affrontare questa tematica, Gay ha sottolineare tre punti che ritiene essenziali per il futuro della sanità digitale in Italia:
- Data Centricity: I dati rappresentano la base della Digital Transformation nel settore sanitario. È fondamentale estrarre valore dal patrimonio informativo della sanità, trasformando il volume di dati in valore e farlo in diversi ambiti: dall’assistenza, alla prevenzione fino alla medicina di iniziativa.
- Collaborazione tra pubblico e privato: Un rapporto efficiente tra pubblico e privato è cruciale per realizzare le potenzialità dell’Intelligenza Artificiale e dei Big Data nel settore sanitario. Un’efficace sinergia tra questi due mondi permette di “mettere a terra” progetti su larga scala, accelerando l’innovazione e migliorando la qualità dei servizi sanitari offerti. La collaborazione tra pubblico e privato deve essere basata su obiettivi comuni e una visione condivisa, promuovendo un ecosistema in cui entrambi possano operare in maniera complementare.
- Importanza delle competenze digitali: Le competenze digitali sono essenziali sia per i professionisti che operano nel settore sanitario sia per la popolazione in generale. Dobbiamo puntare sulla formazione e sullo sviluppo delle competenze digitali per garantire che le nuove tecnologie migliorino concretamente la qualità dei servizi sanitari offerti.
Mantovani (Auxologico): “Nel giro di pochi decenni dovremo curare il doppio dei cittadini con la metà del personale”
“La conoscenza richiede informazione, che a sua volta richiede dati, e mai come sono disponibili dati: questo almeno in teoria, anche se la pratica è un po’ differente – ha sostenuto Lorenzo Giovanni Mantovani, Direttore del Laboratorio Sperimentale di Sanità Pubblica dell’IRCCS Auxologico -. Se vogliamo governare il sistema, non possiamo che partire dai dati, che alla fine si devono tradurre in azione. Al momento abbiamo una mole di dati mostruosa che giace molto spesso all’interno dei computer, ma finalmente disponiamo di strumenti in grado estrarla e di metterla insieme a partire dai dati amministrativi comunemente raccolti: se lo facessimo, riusciremmo a descrivere i fenomeni con una granularità mai avuta prima”.
Con due finalità principali, sostiene Mantovani: “Innanzitutto per l’analisi dei bisogni di popolazione e programmazione sanitaria. I dati amministrativi che abbiamo usato fino adeso non sono sufficienti a questo scopo, ma abbiamo anche dati clinici come i referti e le lettere di dimissione che possono essere tradotti in numeri, analizzati e legati ai primi. Se non lo facciamo, perdiamo una grande occasione. Il secondo punto è ancora più fondamentale perché il nostro Paese, insieme al Giappone, è in una fase di transizione demografica ed epidemiologica che comporterà nel giro di pochi decenni che ci sia il doppio delle persone da curare con la metà degli operatori sanitari. Questo significa anche una transizione dei bisogni, che da acuti quali sono stati per millenni diventeranno sempre di più bisogni cronici, che richiedono tecnologie che rendano semplice il monitoraggio e l’acquisizione di dati da usare per rendere più semplice l’attività di chi si deve prendere cura”.
Possibile? “Il passaggio è già stato fatto per fini di ricerca con record linkage probabilistici che legano dati amministrativi e clinici mantenendo i dati anonimi. Lo spostamento alla pratica, avendo decenni di ricerca dietro, è un passo tecnicamente possibile: basta volerlo, o più probabilmente essere costretti a farlo perché si tratta dell’unica cosa che potrebbe salvare il sistema, rendendo infinitamente più efficace la produttività degli operatori sanitari. In alternativa il nostro Servizio Sanitario collasserà e non per motivi finanziari, ma per la mancanza di personale”.
Voci (Città della Salute, Torino): “Servono le competenze e obbligare le Direzioni a usare i dati”
Serve qualità dei dati, ha affermato Claudio Voci, direttore della Struttura Complessa Analisi dei processi assistenziali, programmazione e controllo di gestione dell’AOU Città della Salute e della Scienza di Torino: “Se la qualità dei dati non è sufficiente, parliamo del nulla. L’obiettivo è di prendere decisioni, ma se non ci sono le competenze per lavorare su indicazioni diagnostiche e terapeutiche andiamo verso il fallimento. Oggi sono disponibili terapie avanzate con costi elevati: serve una valutazione di efficacia che si fa con strumenti diagnostici, altrimenti non riusciamo a capire se le risorse sono state allocate adeguatamente sul paziente”.
Ma non basta: servono competenze, ha detto. Ci sono best practice da citare sul tema? “Usare i dati. Se quando si va a compilare una scheda di dimissione ospedaliera non si cita la patologia, si perde un pezzo. Oggi noi insegniamo ai medici a inserire le informazioni e a fare riferimento al Programma nazionale esiti di Agenas: il clinico si abitua a capire che ha un benchmark nazionale e che deve migliorare la qualità del dato trasformando il più possibile il dato amministrativo in dato clinico. Per le prestazioni ambulatoriali non c’è un codice di patologia, ma solo quello del nomenclatore: ad esempio visita oculistica, ma per cosa? Qui dobbiamo invitare il Ministero a costruire un’architettura per collegare le informazioni. L’art. 50 della Costituzione prevede il federalismo e questo riguarda anche dati, che sono divisi e diversi; bisogna metterli a sistema, cosicché ogni cittadino possa vedere la qualità e da dove proviene e i clinici potranno comprendere le ricadute”. Cosa serve? “Obbligare le Direzioni a usare i dati. Se non li usano loro, non li usa nessuno”.
Faraci (Run 2 Cloud): “Fondamentale la collaborazione fra pubblico e privato”
Giuseppe Faraci di Run 2 Cloud ha aggiunto: “Per arrivare ai modelli giusti di AI e a soluzioni con un impatto reale sulla vita dei pazienti sono importanti due fattori: innanzitutto la consapevolezza che i dati sanitari presenti nei computer e sui server sono un asset molto importante, che lo sarà sempre di più nel futuro. In secondo luogo il coraggio di sviluppare questi nuovi modelli in partnership con le aziende: la collaborazione fra pubblico e privato è centrale“.
E le aziende? “Devono creare software semplici, facili da usare”. Anche Faraci è convinto che strumenti tecnologici potranno diventare una sorta di ChatGpt della sanità, non sostituendosi al medico ma rendendo più veloce il suo lavoro ma rendendolo più veloce attingendo a un’infinità di fonti scientifiche. “Inoltre, l’AI potrà rendere i sistemi sanitari più equi e rendere accessibili le cure migliori e a qualunque tipologia di paziente e in qualsiasi fascia di reddito: ciascuno avrà a disposizione il massimo livello di conoscenza, poi sarà medico a validarla”.
Noto (AUSL Valle d’Aosta): “Dobbiamo superare gli ostacoli legati alla privacy e all’incertezza normativa”
Infine Lorenzo Noto, direttore Struttura Complessa Sistemi Informativi e TLC della Azienda USL della Valle d’Aosta, si è soffermato sulle criticità che ancora gravano sull’uso dei dati nel quotidiano: “Le nostre organizzazioni non sono data driven e ragionano sempre su dati amministrativi e non sanitari. C’è poca visione, ma non la trovo neanche nel privato inteso come fornitori: quando parliamo di modelli di business che puntano ancora su sistemi verticali sono molto forti, ma quando ci spostiamo su modelli trasversali, con al centro il cittadino, il sistema comincia a essere debolissimo”.
Dov’è il problema? In primis nelle competenze, conferma, ma solleva anche il tema della necessità di superare degli ostacoli che permangono, legati alla privacy e all’incertezza normativa. “Alcune Regioni sono state sanzionate dal Garante per aver fornito dati Nsis al al ministero della Salute, con un trattamento che è stato giudicato illegittimo, ma noi stiamo cercando di usare l’AI per la programmazione sanitaria, la stratificazione del rischio e la personalizzazione cure – ha spiegato -. Il Dm 34/2020 dice che solo il ministero può fare stratificazione, ma la stratificazione è alla base della medicina di iniziativa che è citata in tutti gli atti di programmazione sanitaria: c’è un bias. Nel Dm 77 si prevede la stratificazione in sei cluster e comunque la programmazione sanitaria compete alla regione: qualcosa non torna. Ci sono un livello regionale e uno nazionale e le due cose devono quadrare, quindi la nostra idea è di stendere una legge regionale con un regolamento sul trattamento e la finalità dell’uso dei dati da sottoporre al Garante. Le problematiche maggiori concernono il fatto che i dati siano usati per una finalità di cura o meno; il Garante dice di no, ma noi cerchiamo di usare i dati Nsis, in formato anonimo, per sapere che quel paziente è da inserire ad esempio nel cluster 2 per l’ipertensione e a quel punto eventualmente accompagnare il medico nelle sue valutazioni”.