L’AI nelle linee guida europee per la rianimazione cardiopolmonare

La possibilità di sopravvivenza all’arresto cardiaco diminuisce del 10% per ogni minuto che passa senza manovre di soccorso. È fondamentale agire in modo tempestivo e l'intelligenza artificiale potrebbe essere una buona alleata

L’intelligenza artificiale entra nelle linee guida sulla rianimazione cardiopolmonare dell’European Resuscitation Council (ERC), il Consiglio interdisciplinare europeo per la medicina rianimatoria e l’assistenza medica di emergenza. Il documento, che viene aggiornato ogni 5 anni, uscirà nel mese di ottobre e in questo momento è a disposizione per i pubblici commenti.

Elena Giovanna Bignami

La fonte principale per la revisione delle linee guida è uno studio recentemente pubblicato su Resuscitation Plus e condotto da un team multidisciplinare e internazionale coordinato da Federico Semeraro, anestesista rianimatore di Bologna e Presidente dell’ERC, ed Elena Giovanna Bignami, docente di Anestesia e Rianimazione all’Università di Parma e Presidente della SIAARTI, la Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva. Lo studio è stato promosso dall’Italian Resuscitation Council, società scientifica che riunisce medici, infermieri e operatori esperti in rianimazione cardiopolmonare.

Lo studio ha analizzato 197 lavori scientifici pubblicati fino al 2024, mappando per la prima volta in modo sistematico l’applicazione dell’intelligenza artificiale (IA) nella gestione dell’arresto cardiaco. «L’uso dell’AI in questo campo ha mostrato risultati promettenti, soprattutto nella capacità di prevedere un arresto, classificare i ritmi cardiaci e prevedere gli esiti neurologici dopo la rianimazione – spiega Federico Semeraro -. Questa revisione fornisce la base scientifica per portare l’AI dal laboratorio alla gestione reale di sistema dell’arresto cardiaco».

La possibilità di sopravvivenza all’arresto cardiaco diminuisce del 10% per ogni minuto che passa senza manovre di soccorso

Nonostante i risultati incoraggianti – con algoritmi che raggiungono prestazioni molto elevate (in alcuni casi superiori al 90% di accuratezza) – il lavoro sottolinea come l’adozione reale nella pratica clinica sia ancora limitata. «La sfida ora è integrare questi strumenti nella routine ospedaliera in modo sicuro ed efficace e validarne l’utilità clinica attraverso studi prospettici», afferma Elena Giovanna Bignami.

Andrea Scapigliati

Tra le tecniche analizzate figurano l’apprendimento automatico, il deep learning e il natural language processing (NLP) usato, ad esempio, per supportare operatori e operatrici delle centrali operative 118 nel riconoscere precocemente un arresto cardiaco. «Un assistente virtuale basato su NLP si è dimostrato capace di riconoscere l’arresto più rapidamente di un operatore umano», aggiunge Andrea Scapigliati, Presidente dell’Italian Resuscitation Council (IRC) e Direttore Cardioanestesia della Fondazione Policlinico Gemelli, IRCCS, Università Cattolica di Roma. «Intelligenza artificiale è un termine che comprende molti strumenti diversi – ricorda a TrendSanità Semeraro -. Nello studio abbiamo giocoforza dovuto “congelare” quanto c’era a disposizione fino a dicembre 2024. È importante stabilire un punto zero anche con elementi che hanno un’evoluzione così rapida».

I numeri dell’arresto cardiaco

Ogni anno in Europa si verificano circa 400.000 arresti cardiaci extraospedalieri (60.000 in Italia) e si stima che nel 58% dei casi chi assiste intervenga con le manovre salvavita (massaggio cardiaco, ventilazioni) e in circa il 20% dei casi anche con il defibrillatore. La sopravvivenza è di circa l’8%. La possibilità di sopravvivenza all’arresto cardiaco diminuisce del 10% per ogni minuto che passa senza manovre di soccorso.

Diversi studi internazionali hanno dimostrato e misurato quanto un maggiore partecipazione della popolazione ai corsi di rianimazione cardiopolmonare aumenti la percentuale di chi interviene in caso di arresto cardiaco e il tasso di sopravvivenza delle persone che ne sono colpite.

Uno studio giapponese, pubblicato sulla rivista scientifica Resuscitation nel 2024, ha analizzato oltre 350.000 casi di arresto cardiaco avvenuti in presenza di altre persone tra il 2005 e il 2020. In questo lasso di tempo il numero di cittadini giapponesi che avevano seguito un corso certificato di rianimazione cardiopolmonare è più che triplicato (da 9,9 nel 2005 a 34,9 milioni nel 2020, pari al 32,2% della popolazione generale con più di 15 anni) e, contestualmente, è cresciuta dal 40% al 57% la percentuale di chi è stato in grado di intervenire con le manovre salvavita. Se si analizzano i casi di arresto cardiaco defibrillabili, ovvero quelli per cui era indicato l’uso del defibrillatore, il tasso di sopravvivenza a 30 giorni delle persone soccorse da chi aveva assistito all’arresto cardiaco è stato del 35% nel 2020, in crescita rispetto al 2005 quando era inferiore al 25%. Nel 2020 si fermava invece al 26% la sopravvivenza delle persone che non erano state soccorse dagli astanti con le manovre salvavita. Nei casi più gravi, quelli non defibrillabili, la sopravvivenza delle persone soccorse dai presenti ha superato il 4% nel 2020 (era inferiore al 3,5% nel 2005).

Anche una ricerca svedese pubblicata sul New England Journal of Medicine nel 2015 ha sottolineato la forte correlazione tra il numero di persone formate alle manovre salvavita, la percentuale di chi è in grado di intervenire in caso di arresto cardiaco e la sopravvivenza di chi ne è colpito. Da un’analisi di oltre 30.300 arresti cardiaci verificatisi in presenza di altre persone tra il 1990 e il 2011 è emerso che la sopravvivenza a 30 giorni è stata del 10,5% nei casi in cui gli astanti sono intervenuti con la rianimazione cardiopolmonare (in media il 51,1% del totale) e solo del 4% quando questo non è avvenuto. La percentuale di chi è intervenuto in caso di emergenza è cresciuta nel tempo (nel 1990 era di circa il 35%, nel 2011 superiore al 60%) contestualmente con l’aumento del numero di cittadini che avevano seguito un corso di rianimazione cardiopolmonare (che aveva raggiunto circa il 30% della popolazione svedese).

Uno studio danese, pubblicato su Jama Network nel 2023 ha esaminato oltre 50.000 casi di arresto cardiaco extra-ospedalieri verificatisi in Danimarca tra il 2005 e il 2019. È stato osservato in questo periodo un aumento della sopravvivenza a 30 giorni dal 4,5% del 2005 al 14% del 2019, associato a un notevole incremento della percentuale dei soccorritori occasionali che sono stati in grado di effettuare la rianimazione cardiopolmonare in attesa dell’arrivo dei soccorsi (dal 27% del 2005 all’80% del 2019). Su questo incremento ha inciso il fatto che l’insegnamento della rianimazione cardiopolmonare è stato reso obbligatorio in Danimarca dal 2006 per ottenere la patente e per iscriversi ai corsi professionali al punto che nel 2019 nel paese scandinavo le persone che avevano ottenuto una formazione certificata sulla rianimazione cardiopolmonare erano ampiamente oltre il 40% della popolazione totale, più del doppio rispetto a solo dieci anni prima.

«La tecnologia, oltre alla formazione e all’informazione, potrebbe aumentare in modo fondamentale la sopravvivenza – conclude Semeraro -. Le nuove linee guida ERC del 2025 dovranno tenere conto di queste innovazioni per salvare più vite in modo tempestivo ed equo».

Le sfide del futuro

Realisticamente, l’intelligenza artificiale entrerà prepotentemente nella sanità e nella medicina entro il prossimo decennio. Le sfide dei prossimi anni riguardano da una parte la protezione dei dati, dall’altra la tutela dei soggetti più fragili, che quando si parla di arresto cardiaco sono quelle colpite mentre sono da sole, magari a casa propria.

Federico Semeraro

«I Large Language Model che abbiamo oggi a disposizione sono progettati per il general purpose, mentre è importante che le università e i centri di ricerca sviluppino modelli AI addestrati su dei task precisi: non possiamo infatti usare uno strumento di AI commerciale per elaborare dati personali o coperti da privacy. Chi fa ricerca deve costruire ambienti sicura per poter fare ricerca su dati sensibili», continua Semeraro.

Infine, l’intelligenza artificiale potrebbe essere anche una tutela per chi vive da solo: «Molti lavori si stanno concentrando sull’AI interna agli smartwatch, in grado di riconoscere una caduta e lanciare l’allarme se non c’è polso. Si tratta di studi molto recenti e per questo non inclusi nella nostra review. O ancora: si stanno allenando i device che riconoscono la voce a capire se le persone stanno male in casa. Oggi abbiamo la tecnologia per riconoscere l’arresto cardiaco anche in persone da sole, ma dobbiamo sperimentarla sul campo. Le nostre linee guida riconosceranno proprio questo: che la ricerca ha strumenti pronti per essere utilizzati, ma questi vanno implementati. Si tratta di riconoscere le potenzialità e suggerire che cosa fare in futuro». 

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Michela Perrone
Giornalista pubblicista