Prelaj: «L’AI è una necessità nella ricerca oncologica. Con ESAC creiamo connessioni concrete»

Dalla necessità di una piattaforma che unisca competenze cliniche, tecnologiche e accademiche, nasce la European Interdisciplinary Society for AI in Cancer Research (ESAC). Ne parliamo con la fondatrice, Arsela Prelaj, per capire quali divari mira a colmare e che ruolo avrà l’AI nella ricerca oncologica

Intelligenza artificiale e oncologia: una frontiera che richiede nuovi strumenti, nuove competenze e soprattutto nuove alleanze. È da questa consapevolezza che nasce la European Interdisciplinary Society for AI in Cancer Research (ESAC), la prima società scientifica europea interamente dedicata all’applicazione dell’intelligenza artificiale nella ricerca oncologica. Non si tratta semplicemente di una nuova sigla nel panorama scientifico, ma di un’iniziativa ambiziosa, pensata per riunire sotto un unico tetto professionisti con competenze diverse — oncologi, radiologi, patologi, ingegneri e data scientist — con l’obiettivo comune di accelerare l’innovazione e superare i divari nella ricerca contro il cancro.

A fondare e guidare ESAC è la dottoressa Arsela Prelaj, oncologa e ricercatrice all’Istituto Nazionale dei Tumori, tra le voci di riferimento a livello internazionale su questi temi. A margine del recente convegno “Artificial Intelligence in Cancer Research”, l’abbiamo incontrata per approfondire motivazioni, obiettivi e prospettive della nuova Società

ESAC nasce per questo: condividere conoscenza, accelerare la ricerca e formare una nuova generazione di esperti

Dottoressa Prelaj, quali motivazioni l’hanno spinta a fondare ESAC e quali gap della ricerca oncologica mira a colmare con l’AI?

Arsela Prelaj

«Era il momento di creare una rete scientifica capace di unire davvero competenze cliniche, tecnologiche e accademiche. ESAC nasce per questo: condividere conoscenza, accelerare la ricerca e formare una nuova generazione di esperti. La motivazione principale nasce dalla consapevolezza che stiamo affrontando una frontiera completamente nuova. Nel 2025, la ricerca oncologica è diventata estremamente complessa, basata su un’enorme quantità di dati e richiede l’expertise di numerosi specialisti. Ciò che abbiamo notato è che, nonostante il crescente interesse verso questo campo da parte di diverse professionalità, cioè radiologi, patologi, oncologi e ingegneri, mancava una piattaforma comune.

Le società scientifiche esistenti, come l’ESMO (Società Europea di Oncologia Medica), con cui collaboriamo attivamente, lavorano egregiamente nei rispettivi ambiti, ma abbiamo identificato la necessità di creare un collegamento tra tutte queste specialità. Con colleghi di diverse discipline che studiano il cancro, ci conosciamo ormai da anni, molti sono amici che invito regolarmente a queste conferenze, di cui questa è già la terza edizione. Progressivamente, abbiamo deciso di unire le forze, condividendo esperienze nei vari ambiti: diagnostica, screening, terapie e molto altro. Siamo convinti che mettendo insieme le diverse competenze, sia cliniche, sia tecnologiche e specialmente, nell’ambito dell’intelligenza artificiale, possiamo fare davvero la differenza. L’AI rappresenta uno strumento trasversale, che può essere applicato in vari contesti della ricerca oncologica, in alcune aree più precocemente, in altre con un’implementazione più graduale».

A proposito dei dati, qual è la sua posizione sull’uso secondario dei dati per la ricerca, previsto dal nuovo regolamento europeo?

«L’uso secondario dei dati, nell’era dell’intelligenza artificiale, non è solo un’opportunità ma una necessità. Per condurre una ricerca di qualità con l’AI dobbiamo poter utilizzare i dati per rispondere a domande che inizialmente non ci eravamo posti. Le domande scientifiche, infatti, sono molteplici e in continua evoluzione: non è possibile creare un protocollo specifico per ciascuna possibile domanda.

L’uso secondario dei dati, nell’era dell’intelligenza artificiale, non è solo un’opportunità ma una necessità

Inoltre, con l’avanzare della ricerca e la pubblicazione di nuovi risultati, emergono continuamente nuovi quesiti scientifici. Considerando l’enorme lavoro di raccolta dati alle spalle e il fatto che generalmente i pazienti sono tra i soggetti più disponibili a condividere le proprie informazioni per la ricerca, regolamentare adeguatamente l’uso secondario dei dati diventa fondamentale».

Abbiamo accennato ai pazienti. Come pensate di coinvolgere i pazienti oncologici nei vostri progetti?

«I pazienti sono già attivamente coinvolti nei nostri progetti. Ad esempio, nella rete di Apollo11 che coordino a livello italiano su 48 centri, l’associazione pazienti di Lung Cancer Italia partecipa già come componente essenziale della ricerca. Hanno contribuito alla stesura del consenso informato e sono parte integrante di tutte le query scientifiche.

Con la nuova Società ESAC intendiamo ampliare ulteriormente questo coinvolgimento anche nell’ambito dei meeting scientifici. Abbiamo infatti previsto un comitato scientifico che abbiamo definito ‘person-centered’, non solo ‘patient-centered’, perché crediamo fortemente nel valore dell’informazione: più i pazienti sono informati e consapevoli, migliore sarà anche la loro capacità di accettare e comprendere i nuovi strumenti tecnologici a disposizione».

Più i pazienti sono informati, più facilmente comprendono e accettano le nuove tecnologie

Lei è ricercatrice e oncologa all’Istituto Nazionale dei Tumori. Come l’INT ha supportato la nascita di ESAC e quali ricadute concrete vi aspettate per i pazienti italiani?

«L’Istituto Nazionale dei Tumori ha accolto con grande entusiasmo questa iniziativa, vedendola come un’importante innovazione. È un privilegio per l’INT ospitare la sede legale di ESAC, contribuendo così a un’innovazione che potrebbe realmente fare la storia della ricerca oncologica. Naturalmente non possiamo prevedere con certezza il futuro, ma essendo tutti esperti del settore, abbiamo grandi aspettative. L’Istituto ha immediatamente compreso il valore di questa visione e la sta supportando pienamente, tanto da organizzare questo importante convegno internazionale. I risultati concreti li vedremo nei prossimi mesi».

Un’ultima domanda: come bilancerete l’innovazione tecnologica con l’esigenza di garantire equità nell’accesso alle cure per tutti i pazienti europei?

«Questa è una domanda fondamentale e certamente complessa. Una delle ragioni principali della creazione della nostra Società è proprio quella di guidare e indirizzare il flusso di innovazione che sta emergendo, per facilitarne l’implementazione clinica in modo equo.

Una delle missioni di ESAC è guidare l’innovazione tecnologica assicurandone un’implementazione clinica equa

Naturalmente, questo non significa che tutti gli strumenti sviluppati saranno adatti a qualsiasi contesto. Lavoriamo secondo il principio della ‘fairness’, una metodologia che ci consente di analizzare potenziali bias e problemi legati alle diverse popolazioni, puntando alla massima inclusività possibile. È essenziale non solo sviluppare, ma anche testare rigorosamente i nostri modelli per valutarne l’equità. Il nostro obiettivo è creare strumenti che siano il più possibile generalizzabili, anche se alcuni di essi dovranno inevitabilmente essere più specifici per determinate popolazioni. C’è molto lavoro da fare in questa direzione, ma è una sfida che affrontiamo con grande impegno».

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Silvia Pogliaghi
Giornalista scientifica, esperta di ICT in Sanità, socia UNAMSI (Unione Nazionale Medico Scientifica di Informazione)