Secondo il rapporto 2023 “La quasi terza età: salute e benessere della popolazione over 65” dell’Osservatorio Salute Benessere e Resilienza, che ha analizzato vari aspetti del legame tra salute e anziani, l’isolamento sociale emerge come una delle preoccupazioni principali.
Del resto, l’Istat, già nel 2020, identificava come persone sole circa il 40% degli over 75.
Eppure, quello dell’invecchiamento in salute, anche psichica, è un problema ancora poco considerato, opaco, se non invisibile. I più soli spesso sono gli anziani autosufficienti che non sono seguiti quotidianamente.
Ne abbiamo parlato a TrendSanità con Duilio Carusi, coordinatore dell’Osservatorio e adjunct professor alla Luiss Business School.
Quali sono gli effetti dell’isolamento sociale negli anziani?
«È importante partire dalla distribuzione demografica e abitativa dell’Italia, con una delle percentuali di popolazione anziana più alte al mondo, seconda soltanto al Giappone. L’Italia, pur avendo grandi centri urbani, ha poi una popolazione distribuita, con più di 5.500 piccoli comuni che sono sotto i 5.000 abitanti. Ciò vuol dire che quasi il 70% dei comuni è di piccole dimensioni e buona parte della popolazione vive in questo tipo di realtà, una differenza non da poco rispetto agli scenari internazionali.
Quando si parla di sanità e di salute non si può prescindere dai luoghi di vita. Nelle rilevazioni del nostro Osservatorio abbiamo uno strumento specifico che misura l’Indice di Vicinanza della salute, un concetto nuovo che nella sua definizione non ha precedenti.
Riguarda la relazione che c’è fra l’individuo e il bene salute in termini di spazio, di tempo e di condizioni abilitanti, perché non basta avere un servizio vicino nello spazio, ad esempio al domicilio o sul proprio telefonino, ma bisogna avere anche le condizioni abilitanti, le capacità e la possibilità di poterne effettivamente fruire.
È una premessa fondamentale, soprattutto se si parla di anziani, in cui sono spesso le condizioni abilitanti a mancare, così come le competenze digitali. Pertanto, nonostante gli sforzi a livello di sistema per portare salute alla popolazione, molto spesso la difficoltà è a livello del destinatario.
Se si parla di anziani, spesso sono le condizioni abilitanti a mancare, così come le competenze digitali
La criticità più significativa è l’isolamento, una condizione che richiede un intervento prioritario e aggravato dalla scarsa coesione sociale. Grazie al Dominio Isolamento dell’Indice di Vicinanza della salute, si può osservare come questa condizione si attesti su livelli critici già da diversi anni: un valore di solo 9 punti per gli over 65 rispetto ad un punteggio di 91 per la media nazionale.
Le iniziative per promuovere le relazioni tra individui sono più scarse, in particolare dopo la pandemia, con un impatto rilevante sulle opportunità di socializzazione e di supporto.
Un altro aspetto critico è che la salute mentale degli anziani registra performance inferiori rispetto alla media nazionale: per il 2022 si osserva un divario di circa 50 punti percentuali tra la media nazionale (105) e gli over 65 (53). Anche se si nota un miglioramento negli indicatori statistici, il divario rispetto allo standard nazionale resta elevato.
Gli anziani presentano patologie peculiari, che vivano in città o nelle zone rurali. Occorre quindi una pianificazione attenta ai bacini di utenza e alla componente orografica e viaria per la distribuzione delle case e degli ospedali di comunità, per evitare i “deserti sanitari” non solo nelle campagne ma anche nelle periferie delle grandi città».
Nuove tecnologie e caregiver: qual è la relazione?
«La mia è una posizione forse un po’ controcorrente riguardo alla tecnologia, alla telemedicina e alle relazioni sociali mediate. Non credo che il problema dell’isolamento si possa risolvere solo con la tecnologia: è fondamentale la presenza umana. Gli anziani spesso non hanno le competenze tecniche necessarie per utilizzare autonomamente tali strumenti, così com’è necessario lo sviluppo di competenze specifiche per chi si prende cura della popolazione anziana.
Questo è un tema che richiederà progressi sia normativi che operativi. Ad esempio, se investiamo risorse del PNRR nello sviluppo della telemedicina per gli anziani, dobbiamo considerare che anche molti caregiver non sanno utilizzare questi strumenti.
Per questo, è fondamentale formare caregiver, affinché diventino veri e propri intermediari tra gli anziani e il sistema sanitario
È necessario che queste figure siano in grado di parlare l’italiano e abbiano competenze digitali di base o avanzate. Potrebbe essere utile promuovere la formazione dei caregiver con una sorta di patentino che li abiliti come interfaccia del sistema salute.
Quello del caregiver è un lavoro che non si limita a fornire cure fisiche, ma implica una comprensione più ampia delle esigenze degli anziani, che possono essere ancora vigili ma con limitazioni fisiche. Il concetto di disabilità e di fragilità è cambiato, con una nuova “zona grigia” e un’estensione potenziale fino a venti anni di nuova vita.
Certamente questa nuova conformazione dell’aspettativa di vita comporta anche nuovi costi per l’assistenza e ripercussioni sulle nuove generazioni e sui flussi di popolazione. Si pensi al costo di un caregiver esterno al nucleo familiare protratto per un sempre maggior numero di anni, ai vari costi correlati all’assistenza, alla perdita di potere d’acquisto, e si capisce come e perché si stia invertendo una situazione che vedeva dapprima i “nonni” essere a supporto dei “nipoti” e oggi, invece, utilizzare tutte le proprie risorse (dalle pensioni alla casa) per far fronte a una vecchiaia sempre più lunga».
Cosa si può fare per combattere l’isolamento?
«Esistono diverse iniziative. Ad esempio, si investe su nuove forme di housing, riprogettando il sistema abitativo sia nelle città che nelle campagne.
Un’altra grande risorsa è il terzo settore, che tradizionalmente ha una vocazione all’assistenza e al volontariato, anche per motivi religiosi. Questa sussidiarietà orizzontale permette di promuovere assistenza e iniziative attraverso una rete capillare già esistente. Il contrasto all’isolamento non ha una ricaduta economica immediata, ma rappresenta un’iniziativa strategica nazionale per migliorare il benessere della popolazione.
A lungo termine, questo può tradursi in un risparmio sanitario: ridurre l’isolamento e migliorare la qualità della vita può diminuire il divario tra gli anni di vita in buona salute e gli anni di vita totali, aumentando così il numero di anni in salute e riducendo l’assorbimento di risorse dal sistema sanitario».
Cosa dovevamo o potevamo imparare dal Covid?
«Abbiamo ancora molto da imparare su come programmare, poiché continuiamo a inseguire le contingenze. Negli ultimi anni, in particolare con il Covid-19, abbiamo accumulato ritardi nelle prestazioni sanitarie e affrontato sfide nella gestione della comunicazione.
Tuttavia, non possiamo risolvere questi problemi punto per punto, accumulando piani ad hoc spesso poco raccordati tra loro. È necessario prendersi il tempo per pianificare e programmare un riassetto complessivo del nostro sistema di tutela della salute. L’ultimo rapporto dell’Osservatorio, intitolato “Unire i puntini: verso un piano nazionale di salute”, presentato al Senato nel febbraio 2024, evidenzia proprio questa necessità.
Uno degli insegnamenti principali della pandemia è che non possiamo limitarci a una visione puramente sanitaria. Il Ministero della Salute si è dotato non a caso di un dipartimento One Health che promuove un approccio olistico alla salute, riconoscendo anche l’importanza dei determinanti sociali da integrare nel sistema sanitario.
Non bastano gli aspetti clinici o le sole prestazioni sanitarie da garantire. Il mondo è cambiato radicalmente in termini di aspettative, disponibilità economiche e possibilità tecnologiche negli ultimi 4-5 anni. Questi fattori ci impongono di andare oltre un semplice aggiornamento del vecchio impianto del piano sanitario, che manca dal 2008».
Ospedale, territorio e prevenzione: è un approccio superato?
«Continuare a parlare di ospedale, territorio e prevenzione è ormai obsoleto. Lo sviluppo dell’assistenza domiciliare non è più solo una questione territoriale, ma come recita il PNRR la “casa è primo luogo di cura”. Con l’incremento della cronicità, la prevenzione diventa anche secondaria e terziaria e non riguarda più solo ciò che avviene prima di un evento, ma sconfina nei setting di cura, che siano ospedalieri, territoriali o domiciliari.
Le nostre categorie mentali necessitano di un aggiornamento, di rivedere cosa intendiamo per “anziani” e riconoscere che una vita attiva si estende fino agli 80 anni e oltre. Molti anziani continuano a contribuire all’economia e svolgono un ruolo significativo nella società
Se le reti sociali fossero meno disgregate, potrebbero ancora essere attivi e alleggerire la famiglia da vari compiti, con un impatto economico misurabile e un valore intangibile. Il rapporto tra nonni e nipoti, ad esempio, non ha solo un valore economico per il risparmio sui costi della baby-sitter, ma apporta benefici esperienziali, valoriali e di felicità».
Solidarietà e mutualismo: sono ancora un pilastro del sistema italiano?
«Certamente. Lo era da prima dell’istituzione del SSN e continua ad esserlo. Oltre ai fondi sanitari di matrice mutualistica e solidaristica, possiamo contare su un condiviso impianto valoriale di natura solidaristica. Le realtà mutualistiche e solidaristiche resistono nel nostro sistema sanitario nazionale e sono una risorsa importante che l’Italia deve sfruttare appieno.
In quest’ottica, l’andamento del dominio Welfare Integrativo dell’Indice generale di Vicinanza della salute mostra una crescita rilevante nel corso dei 10 anni presi in considerazione: partendo da un valore di 100 nel 2010, arriva a 177 punti nel 2019 e 188 nell’ultimo anno rilevato (2022). Questo trend positivo è fortemente condizionato dal crescente aumento del numero di iscritti ai fondi sanitari integrativi, che oggi copre quasi 16 milioni di cittadini italiani.
Gli strumenti di welfare rappresentano, infatti, un tema molto sensibile per la popolazione, come attestato dall’indagine Censis 2021, dove una delle richieste ritenute più importanti dai lavoratori è avere più servizi di welfare (86,5%), secondo solo a un incremento di reddito al (91,1%).
Anche queste forme di assistenza rappresentano uno strumento di Vicinanza della salute e forniscono un contributo importante al nostro sistema sanitario che la pandemia ha contribuito a rendere sempre più esausto e che avrebbe tanto bisogno di nuova linfa».