«Salviamo l’idea delle case di comunità, solo così la salute sarà parte attiva di tutti i territori»

Livia Turco, Ministro della Salute dal 2006 al 2008, risponde alle cinque domande di TrendSanità sul Servizio Sanitario Nazionale di ieri, di oggi e di domani

Come sta la sanità pubblica italiana? È questa la domanda con cui si è aperto questo 2024 con la Legge di Bilancio e con il corredo del consueto duello verbale della politica: da una parte il Governo e la maggioranza soddisfatti per l’aumento di fondi e dall’altra le opposizioni (e non solo) che ne lamentano la carenza.

Per capire meglio la situazione e le prospettive dell’anno, rivolgiamo cinque domande a chi ha rivestito e riveste entrambe le posizioni (Governo o maggioranza e opposizione). Abbiamo cominciato dagli ex ministri della Salute con le interviste a Beatrice LorenzinGiulia GrilloRoberto Speranza, Mariapia Garavaglia e Renato Balduzzi. Oggi le 5 domande sono per Livia Turco, Ministro della Salute dal 2006 al 2008.

1 – LE RIFORME

Il prossimo futuro vedrà la popolazione anziana diventare sempre più ampia, con l’aumento dei tassi di cronicità, di poli-patologici e di non autosufficienti. Basteranno PNRR, DM 77, telemedicina e fascicolo elettronico ad affrontare queste sfide?

«Intanto, il PNRR su questo andava applicato per come era stato pensato. Inoltre, si sarebbero dovuti varare i decreti attuativi della riforma che era stata fatta col governo Draghi. Con queste scelte si sarebbe già fatto un grande passo in avanti. Invece, con la miseria di risorse stanziate e con una impostazione che rinuncia, di fatto, a insistere sull’integrazione sociosanitaria prevista anche dal DM 77, credo si sia fatto un grande passo indietro. C’era una grande opportunità, lavorando sulla gestione della non autosufficienza e sulla riforma della medicina territoriale. Ma mi pare che l’arretramento su questo sia netto e sia un danno pesante.

Sulla gestione della non autosufficienza e sulla riforma della medicina territoriale c’è stato un netto arretramento

Sul tema della nuova autosufficienza e degli anziani, purtroppo, siamo tornati alla propaganda. Anche perché parlare degli anziani non significa solo parlare di non autosufficienti. Bisogna anche parlare di anziani attivi, di prevenzione, di valorizzazione dell’anziano come risorsa. E credo che su questo ci sia probabilmente una battaglia culturale che vada fatta, oltre a promuovere politiche. E devo dire che, almeno per quanto riguarda questa parte, nel decreto attuativo della riforma si è tenuto un po’ più conto di questi aspetti».

2 – IL DECLINO

I dati ci dicono che già oggi il nostro Servizio sanitario nazionale non è più universalistico: il 50% delle visite specialistiche ambulatoriali sono pagate privatamente, così come il 33% degli accertamenti diagnostici ambulatoriali. Il 7% della popolazione rinuncia alle cure, addirittura il 24% tra gli anziani. E l’aspettativa di vita cala. Il SSN è ancora un nostro punto di forza?

«Io penso che il Servizio Sanitario Nazionale resti un punto di forza e bisogna consolidarlo. Cioè, intendiamoci, la prova della pandemia da covid-19 è stata una prova straordinaria e la nostra sanità ha retto, sono stati fatti gli investimenti giusti, è stata fatta una politica europea e questo è punto fermo. Noi abbiamo un grande bene comune che è il nostro sistema sanitario pubblico, dobbiamo fare di tutto per difenderlo e dobbiamo vedere le criticità che affronta. La prima è quella del personale, è la questione che incide di più. Poi valutare la qualità delle prestazioni e la tenuta del sistema. Bisogna fare le riforme necessarie, come dicevamo, ma se vogliamo considerarlo un grande bene comune, è necessario che ci siano le risorse umane ed economiche per farlo funzionare.

Risorse, personale e medicina territoriale con l’integrazione sociosanitaria sono tre punti fondamentali per far funzionare il SSN

Vedo tre punti fondamentali, risorse, personale e la medicina territoriale con l’integrazione sociosanitaria. Per me, quest’ultima, è una battaglia che va avanti da anni, dai tempi della Legge 328 del 2000. Con la ministra Bindi, che era alla Salute quando io ero ministra per la Solidarietà Sociale, avevamo scritto i decreti proprio su come attuare l’integrazione sociosanitaria. Questo continua a rimanere un nodo irrisolto. Il DM 77 potrebbe consentirne la realizzazione nell’ottica della medicina territoriale e su questo credo sia fondamentale proprio il progetto delle case di comunità.

La cultura delle case di comunità ha un approccio innovativo che punta sulla salute, sulla prevenzione, sul cittadino attivo nei confronti della sua salute, che punta a coinvolgere tutta la comunità in cui si vive e farne parte attiva nei confronti della salute del suo territorio. È importante anche l’approccio culturale se si vuole difendere la sanità pubblica e io lo vedo nel DM 77 varato da Roberto Speranza. E credo sarebbe veramente un disastro non attuarlo perché sanità pubblica significa anche avere un approccio innovativo, per esempio far vivere i determinanti della salute che incidono sulla qualità della salute stessa. E i determinanti sociali della salute, che sono le condizioni di lavoro, le condizioni di vita, le condizioni di marginalità sociale, le puoi prendere in carico soltanto se c’è una attiva medicina di comunità. Per me questo è un punto assolutamente fondamentale e qualificante per la tenuta e l’innovazione del sistema. E poi c’è il tema del personale che deve essere adeguato in termini quantitativi, in termini qualitativi, in termini di risorse e, di conseguenza, in termini di salario».

3 – I PRIVATI

Sanità privata convenzionata, sanità integrativa, sanità classificata, cooperative: tra privato e pubblico la competizione è corretta? 

«È chiaro che il pubblico non può ignorare il privato perché sarebbe una miopia, bisogna, col sistema dell’accreditamento, chiedere al privato di garantire la qualità del sistema pubblico. Quindi io non vedo nessuna competizione e nessuna esclusiva. Esclusività del pubblico? No, vedo, come avviene da anni nelle buone politiche, l’integrazione tra pubblico e privato. Il cui criterio di valutazione è l’accreditamento sulla base della qualità delle prestazioni e dei servizi».

4 – LE SOLUZIONI

Per salvare realmente la sanità pubblica si deve immaginare un enorme aumento del finanziamento del SSN (e allora la domanda è come reperire le risorse?) o prendere atto che il sistema non è sostenibile e farlo diventare selettivo come prestazioni offerte e come partecipazione gratuita degli utenti?

«Io sono per approfondire tutte le ipotesi innovative che ci sono. Ma selezionare le prestazioni non mi convince. Io resto legata al servizio sanitario universalistico. Certo, altra cosa è che si partecipi sulla base del livello del reddito, ma è la base su cui è costruito il servizio sanitario universalistico e pubblico. Ed è un vantaggio per tutti perché garantisce la qualità per tutti. Se andiamo nell’ottica del servizio sanitario pubblico “povero”, a cui accedono solo i poveri, andiamo da un’altra parte, diventa un’altra cosa. L’esperienza ci ha dimostrato che è un vantaggio per tutti avere un servizio sanitario pubblico di qualità e quindi io insisterei su questo. Lavorando meglio ad azioni di integrazione tra pubblico e privato».

5 – I RIMPIANTI

Una cosa che farebbe se tornasse indietro nel tempo, ai mesi in cui era a Lungotevere Ripa…

«Sono stata in quelle stanze solo per due anni e devo dire che, francamente, sono stati due anni durissimi in cui abbiamo vissuto gli attacchi al governo Prodi e un attacco furibondo alla sanità pubblica. Veniva dipinta la sanità pubblica come malasanità. Era il periodo della sanità di Formigoni, il “modello Lombardia” con Formigoni trionfava, il servizio pubblico era tutta malasanità. Io sono molto orgogliosa di aver speso tutte le mie risorse ed energie per difendere la dignità della sanità pubblica e del Servizio Sanitario Nazionale. Abbiamo fatto di tutto per reperire le risorse per implementare i Lea, aumentando gli investimenti nella sanità. Abbiamo lavorato sull’Articolo 20, un piano straordinario di interventi in materia di ristrutturazione edilizia, di ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario pubblico e di realizzazione di residenze per anziani e soggetti non autosufficienti. Abbiamo affrontato quel tema durissimo che erano i piani di rientro, per porre regole là dove la sanità era fuori controllo. È stata una battaglia molto dura, però è stato fondamentale farla. E, nel contempo, abbiamo avviato riforme importanti come, per esempio, quella delle case della salute che hanno anticipato le attuali case della comunità, o quella sulla medicina di genere, che è fondamentale per realizzare la medicina del territorio, o quella per le politiche della dignità del fine vita. Quindi io francamente non ho rimpianti e, anzi, dico che in quei due anni durissimi come governo Prodi abbiamo dimostrato di avere molto a cuore la sanità pubblica».

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Cesare Buquicchio
Giornalista professionista. Condirettore TrendSanità. Capo Ufficio Stampa Ministero della Salute dal 2019 al 2022. Direttore scientifico del corso di perfezionamento CreSP, Università di Pisa