Malattie rare, il contributo delle professioni sanitarie passa da ricerca, formazione e riabilitazione

Per malati rari e famiglie il ruolo dei professionisti FNO TSRM e PSTRP è importante: dalla salute mentale alla assistenza domiciliare. «Ma spesso veniamo esclusi dai PDTA» dicono a TrendSanità due dei referenti

Alla scoperta delle professioni sanitarie della Federazione nazionale degli Ordini TSRM e PSTRP

«Sono due gli obiettivi della Federazione per le malattie rare – spiega la Presidente FNO TSRM e PSTRP, Teresa Calandra -. Il primo è di rivolgere la massima attenzione alle problematiche proprie di queste patologie per una migliore comprensione e formazione del nostro personale sanitario. Il secondo è di contare sulla nostra natura multi-professionale che costituisce una preziosa opportunità per coloro i quali sono affetti da malattie rare, poiché intercettiamo una parte considerevole dei loro bisogni di diagnosi, riabilitazione e prevenzione». La guida della federazione che riunisce numerosi professionisti sanitari fa il punto con TrendSanità in occasione terza edizione del convegno dedicato alle malattie rare: «Eventi come questo sono occasioni preziose per rendere evidente chi siamo, cosa facciamo e cosa possiamo fare».

Nelle malattie rare rientrano diverse patologie (circa 7mila-8mila) definite tali per la bassa diffusione nella popolazione (colpiscono non oltre 5 abitanti su 10mila dell’Unione Europea). Rappresentano un problema sanitario importante e riguardano milioni di persone in tutto il mondo. Circa l’80% è di origine genetica, per il restante 20% si tratta di malattie multifattoriali dovute a una suscettibilità individuale, ma anche ad altri fattori (ad esempio, ambientali o alimentari) e all’interazione tra cause genetiche e ambientali. Nonostante la loro eterogeneità, le malattie rare sono accomunate da diversi aspetti che includono: la difficoltà di ottenere una diagnosi appropriata e rapida, la scarsa disponibilità di cure risolutive, l’andamento della malattia spesso cronico-invalidante, l’impatto individuale, familiare e sociale.

Sono numerosi i progressi in campo scientifico, ma è necessario sviluppare nuovi approcci diagnostici e terapeutici. Nel Piano nazionale malattie rare 2023-2026, infatti, è indicato che «l’assistenza alle persone con malattie rare richiede una molteplicità di competenze, interventi e prestazioni erogate in setting assistenziali diversi (ospedaliero, ambulatoriale, residenziale, semiresidenziale, domiciliare, ecc…)».

Partendo da qui, Chiara Laura Riccardo, Tecnico della riabilitazione psichiatrica (TeRP), Segretario Commissione di albo nazionale TeRP, sottolinea l’importanza della promozione del benessere e il contrasto alla cronicità in cui anche la sensibilità e la comprensione della salute mentale sono una parte necessaria della cura delle persone con malattie rare. 

Per questo «i professionisti sanitari dovrebbero essere dotati delle competenze, delle conoscenze e della capacità di riconoscere le sfide emotive della convivenza con una malattia rara e attivare e rafforzare le risorse personali per gestire con maggiore competenza, consapevolezza e autoefficacia lo stato di salute attraverso: interventi psicoeducativi, illness management, skills ability, gestione dello stress, problem solving e coping, training cognitivi e metacognitivi e progetti di promozione della salute e prevenzione».

Parlano di malattie rare e professioni sanitarie a TrendSanità Giovanni De Biasi, componente del Comitato nazionale malattie rare (CoNaMR) e del Comitato centrale della FNO TSRM e PSTRP e Ilaria Biagini, Ortottista e membro del Comitato strategico di indirizzo del centro studi SAPIS, nato in seno alla federazione per rispondere alle esigenze di potenziamento delle attività di ricerca al servizio degli Ordini e dei suoi iscritti, nonché di supporto nella gestione delle problematiche scientifico-sanitarie nazionali.

La sfida delle malattie rare e le professioni sanitarie

Giovanni De Biasi

«L’impegno della FNO TSRM e PSTRP nelle questioni legate alle malattie rare è emerso sin dall’insediamento di questo Comitato centrale – ci spiega De Biasi –. A tal proposito, è stata istituita una delega specifica per le “relazioni con le persone assistite e loro soggetti di rappresentanza”, con il preciso mandato di prestare particolare attenzione a tutte le fragilità sanitarie, comprese le malattie rare, che rappresentano una delle forme più complesse delle fragilità. Abbiamo inizialmente cercato di stabilire un dialogo con le associazioni di rappresentanza, poiché riteniamo che per comprendere appieno le reali esigenze sanitarie sia fondamentale considerare il punto di vista delle persone assistite. Nel corso di questi anni, abbiamo promosso diverse iniziative, che ci hanno consentito di comprendere la complessità delle esigenze delle persone affette da malattie rare e delle loro famiglie, favorendo un confronto continuo. Da qui l’importanza di riconoscere che ogni professione sanitaria ha il potenziale e il dovere di contribuire al miglioramento delle condizioni di salute di queste persone e di alleviare le famiglie da oneri insostenibili».

Importante comprendere la complessità delle esigenze delle persone affette da malattie rare e delle loro famiglie e favorire un confronto continuo

«Da queste sollecitazioni, alle quali nessuno può sottrarsi, specialmente chi – come noi – si occupa di salute, è emersa la motivazione su cui stiamo sviluppando una governance delle malattie rare per le nostre professioni – dice ancora De Biasi –. All’inizio dello scorso anno abbiamo istituito un gruppo di lavoro sulle malattie rare. Composto da 18 referenti nominati dalle rispettive Commissioni di albo nazionali, tra i propri iscritti, o componenti della stessa Commissione, ma tutti esperti in malattie rare. Il gruppo è stato creato per supportare, in vari ambiti professionali il referente nel Comitato nazionale malattie rare, e si concentra sull’approfondimento di tali patologie, privilegiando il continuo scambio sia all’interno delle nostre professioni, sia con altre figure professionali. L’obiettivo è accrescere le competenze da condividere con tutti i nostri professionisti con percorsi formativi e sviluppare una comunità professionale preparata che, nell’ambito delle proprie competenze, fornisca le migliori risposte a chi ha un bisogno di salute di questo tipo». 

«La maggior parte delle malattie rare sono croniche, invalidanti e multi-sistemiche, pertanto è essenziale adottare un approccio inter-professionale che rispetti il percorso di presa in carico dall’età evolutiva, fino all’età adulta – prosegue De Biasi –. La strategia di governance delle malattie rare si orienta verso i percorsi diagnostici terapeutici assistenziali (PDTA), che richiedono un approccio interprofessionale. Nonostante le attuali difficoltà di attuazione, rappresentano il futuro e seguono la strada tracciata dalla normativa vigente. Per una presa in carico globale, è essenziale coinvolgere tutte le professioni interessate. Tuttavia, molte volte le professioni TSRM e PSTRP sono escluse da tali percorsi. Dobbiamo lavorare per rivedere i PDTA, rendendo fruibili le nostre prestazioni a chi ne ha bisogno, su tutto il territorio nazionale. A mio parere manca un coinvolgimento iniziale. Nonostante agli Ordini TSRM e PSTRP afferiscano 18 profili professionali su 31 totali, più della metà delle professioni sanitarie, non siamo coinvolti da chi organizza le strategie di intervento. Auspichiamo l’avvio di un dialogo tra le istituzioni nazionali e regionali nella gestione delle malattie rare e le varie professioni sanitarie, che offrono una vasta gamma di competenze. La nostra presenza nei Coordinamenti regionali delle malattie rare sarebbe altrettanto opportuna. Stiamo lavorando con grande impegno, consapevoli dell’importanza del nostro ruolo nella presa in carico delle persone affette da malattie rare. Tuttavia, è essenziale essere messi nelle condizioni di poter svolgere appieno questo ruolo». 

Formazione e ricerca: le chiavi per un approccio efficace

La ricerca sulle malattie rare, anche se spesso si sovrappone a quella sulle malattie più comuni, presenta aspetti di specificità correlati alle caratteristiche di queste malattie. Primo fra tutti la rarità della malattia, che comporta per l’assistito un’attesa anche di anni prima di ricevere una corretta diagnosi. E anche quando si riesce ad averla, la probabilità che non ci siano terapie specifiche per la cura è purtroppo molto elevata. Sono questi i due obiettivi (diagnosi rapida e terapie efficaci) più importanti, ma non sono certo gli unici. Perché anche garantire una buona qualità della vita, è un’altra delle priorità dei ricercatori ma anche dei professionisti sanitari.

Si fa poco sulle malattie rare durante la formazione universitaria. La vera crescita si ha quando si lavora in quei contesti

Ilaria Biagini

«Sia al Careggi di Firenze che al Policlinico Gemelli di Roma mi occupo di ricerca e di coordinamento dei trial clinici – ci dice Biagini del centro studi SAPIS –. Negli ultimi anni c’è molta attenzione alle terapie geniche per le malattie rare. Forse pochi sanno che in quest’ambito di ricerca anche le professioni sanitarie sono coinvolte in prima linea. Il coordinamento dei trial vuol dire anche sottoporre gli assistititi agli esami necessari e poi seguirli durante la terapia, mentre la parte riabilitativa è demandata in un secondo momento per il potenziamento delle funzioni residue, come accade nelle malattie “normali”. Nonostante la differenza non sia sempre così rilevante, perché al centro del trattamento c’è sempre la persona, al di là del tipo di malattia, per noi conoscere il percorso terapeutico della persona con malattia rara e le caratteristiche della malattia stessa, è fondamentale, serve un background di conoscenze non indifferente. E qui si entra nell’ambito della formazione. Durante il corso universitario per ognuna delle professioni è prevista anche una piccola parte dedicata alle malattie rare. Ma la vera formazione si fa dopo, quando si inizia a lavorare all’interno di un ambiente in cui si trattano anche queste malattie, ma sono pochissimi i centri in Italia che se ne occupano. Il nostro gruppo all’interno del SAPIS sta comunque avviando un dialogo anche con le diverse associazioni sul territorio, ma è ancora tutto in evoluzione, perché siamo partiti da poco, meno di un anno. Tra i nostri obiettivi c’è sicuramente quello di approfondire l’aspetto formativo e promuovere le nostre professioni nell’ambito della ricerca scientifica, laddove in campo riabilitativo siamo già presenti. Le nuove frontiere terapeutiche per le malattie rare prevedono investimenti in termini di risorse anche umane. Come professioni sanitarie, vogliamo far parte a tutto tondo di questo percorso di cura».

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Ivana Barberini
Giornalista specializzata in ambito medico-sanitario, alimentazione e salute