Come sta la sanità pubblica italiana? È questa la domanda con cui si apre questo 2024 con una Legge di Bilancio appena approvata e con il corredo del consueto duello verbale della politica: da una parte il Governo e la maggioranza soddisfatti per l’aumento di fondi e dall’altra le opposizioni (e non solo) che ne lamentano la carenza.
Per capire meglio la situazione e le prospettive dell’anno appena iniziato, rivolgiamo cinque domande a chi ha rivestito e riveste entrambe le posizioni (Governo o maggioranza e opposizione). Cominciamo dagli ex ministri della Salute che hanno vissuto dentro e fuori da queste dinamiche. Le prime 5 domande di oggi sono per Beatrice Lorenzin, senatrice del Partito Democratico e responsabile del dicastero dal 2013 al 2018.
1 – Le riforme
Il prossimo futuro vedrà la popolazione anziana diventare sempre più ampia, con l’aumento dei tassi di cronicità, di poli-patologici e di non autosufficienti. Basteranno PNRR, DM 77, telemedicina e fascicolo elettronico ad affrontare queste sfide?
C’è bisogno di creare un percorso condiviso insieme alle parti sociali che, dopo mesi di agitazione, non sono mai state convocate
«Diciamo che le risorse senza riforme sono semplicemente un tampone all’emergenza, ma le riforme senza risorse, purtroppo, non si possono attuare – spiega Lorenzin a TrendSanità –. In questa fase non abbiamo né riforme, né risorse, quindi è ora che Governo e maggioranza si diano una mossa. Nella discussione sul bilancio ho proposto di fare un nuovo patto della salute, perché qui c’è bisogno di creare un percorso condiviso insieme alle parti sociali che, dopo mesi di agitazione, non sono mai state convocate. Servirebbe un tavolo istituzionale e permanente con le Regioni, le società scientifiche e i ministeri competenti per mettere in moto un nuovo patto della salute che sia in grado di affrontare questo momento a 360 gradi. Non soltanto tamponare una emergenza dopo l’altra. Pensiamo all’invecchiamento della popolazione italiana: non basta ripensare la sanità se non riorganizziamo anche gli altri aspetti della società. Dall’urbanistica ai trasporti, dal peso del welfare sui giovani ai modelli di lavoro. A questo va aggiunto un ripensamento sulla prevenzione, perché bisogna invecchiare bene puntando a ridurre cronicità e poli-patologie. Ma tutto questo, tornando alla domanda iniziale, non si può fare, e nemmeno immaginare, se il fondo sanitario scende in previsione al 6,2% del Pil, se il peso dell’inflazione non viene considerato, e se non si appianano i debiti delle Regioni».
2 – Il declino
I dati ci dicono che già oggi il nostro servizio sanitario nazionale non è più universalistico: il 50% delle visite specialistiche ambulatoriali sono pagate privatamente, così come il 33% degli accertamenti diagnostici ambulatoriali. Il 7% della popolazione rinuncia alle cure, addirittura il 24% tra gli anziani. E l’aspettativa di vita cala. Il SSN è ancora un nostro punto di forza?
«Leggere la sanità con le statistiche che segnalano i limiti e le carenze non può essere un alibi per smontare la sanità pubblica. Se noi ci rassegniamo, andiamo incontro a un destino inevitabile. Ma tutto può essere cambiato e trasformato, perché il nostro Servizio Sanitario Nazionale, nonostante gli scossoni che ha ricevuto e continua a ricevere, è una macchina complessa con delle fondamenta solide costituite dal grande livello dei professionisti e del personale sanitario e dall’altissima qualità del nostro ciclo di formazione. Per questo l’emergenza attuale sul nostro personale rischia di essere più grave di quello che si immagina. È sulle persone che cammina il SSN. Un ritardo nell’adeguamento delle strutture o nella disponibilità di un farmaco lo puoi recuperare. Se crolla il livello del capitale umano crei un danno che non si recupera più. E a questo punto il declino è inevitabile».
3 – I privati
Sanità privata convenzionata, sanità integrativa, sanità classificata, cooperative: tra privato e pubblico la competizione è corretta?
«Innanzitutto, non c’è competizione, c’è un sistema che agisce su due livelli ma che non è integrato in modo corretto. Tutti i cittadini pagano la sanità pubblica con le proprie tasse. Allora Ministero e Regioni devono decidere chi fa cosa e in quale percentuale. Anche a questo servirebbe un nuovo patto della salute. Il privato è fatto di tante cose: c’è il privato no-profit, c’è il privato convenzionato e c’è il privato-privato. Il tema è un’integrazione guidata che ristabilisca gli ambiti di competenza. L’altro tema è garantire il funzionamento del Servizio Sanitario Nazionale. Se viene finanziato adeguatamente, se ha risorse, strumenti giuridici e un management adeguato non avrà problemi. E il privato farà quello che viene deciso dallo Stato».
4 – Le soluzioni
Per salvare realmente la sanità pubblica si deve immaginare un enorme aumento del finanziamento del SSN (e allora la domanda è come reperire le risorse?) o prendere atto che il sistema non è sostenibile e farlo diventare selettivo come prestazioni offerte e come partecipazione gratuita degli utenti?
Il Titolo Quinto della Costituzione, cioè il regionalismo della sanità, è la fonte del 90% dei problemi del sistema sanitario
«Ma no – ribadisce seccamente l’ex ministro – io penso che ragionare in questo modo sia oggettivamente la fine del sistema universalistico. I cittadini già contribuiscono in base al reddito con la tassazione progressiva al finanziamento del SSN. Possiamo immaginare che qualcuno possa dare qualcosa in più rispetto al reddito e in proporzione al suo carico famigliare, ma ricordiamoci che in Italia si può garantire l’accesso a terapie che in altri Paesi costano milioni di euro. E di fronte a questo non puoi pensare di fare distinguo rispetto al reddito perché non c’è nessuna assicurazione che ti protegge da questo tipo di patologia. Diverso è il ragionamento necessario sul tema dell’appropriatezza delle prestazioni e delle prescrizioni. Se mi si dice che i 40 miliardi di spesa “out of pocket” siano tutta spesa appropriata, io penso che non sia così. Penso che la maggior parte di questa spesa non sia appropriata e il fatto di non riuscire a veicolare queste risorse verso il SSN sia una forma di incapacità e di mancanza di volontà, perché si potrebbe fare. Con quei 40 miliardi ci potremmo avvicinare al livello di finanziamento della Germania. Noi dobbiamo fare in modo che ci sia un coordinamento, un’organizzazione, una programmazione sanitaria più mirata, che si lavori meglio sulla prevenzione, che si riporti l’intramoenia nel pubblico. Poi bisogna risolvere i nodi non risolti del Titolo Quinto della Costituzione, cioè il regionalismo della sanità, che è la fonte del 90% dei problemi del sistema sanitario. E, accanto a questo, c’è sempre il tema del finanziamento: non ci sono scorciatoie o soluzioni facili».
5 – I rimpianti
Una cosa che farebbe se tornasse indietro nel tempo, ai mesi in cui era a Lungotevere Ripa…
«Ho fatto le mie battaglie, e le ho combattute tutte fino alla fine, esponendomi anche a livello personale. L’unica cosa che per me è un rammarico, perché avevo avviato il tavolo apposito, è non essere riuscita a portare a casa il nuovo piano nazionale per la salute mentale. È una priorità e la pandemia da Covid-19 lo ha dimostrato. Spero che lo possa fare questo Governo e il Ministro Orazio Schillaci, perché alla fine non bisogna ricominciare tutto da capo quando finisce un governo, su certi temi ci vuole continuità» conclude Lorenzin.