Nel nostro Paese è disponibile da febbraio: è indicato per i pazienti con un alto rischio di progressione verso forme gravi di Covid-19. È paxlovid, un antivirale prodotto dalla casa farmaceutica Pfizer che promette di ridurre dell’89% il rischio di ricovero se somministrato precocemente. Per essere efficace, deve infatti essere assunto entro cinque giorni dalla positività.
In Italia è disponibile dalla fine del 2021, e dal mese di aprile Aifa ha deciso di allargarne la prescrizione anche ai medici di medicina generale e di autorizzare la distribuzione per conto nelle farmacie di comunità. Un’iniziativa volta a raggiungere il maggior numero di persone possibile.
Nonostante gli sforzi, però, nelle prime settimane dall’estensione l’antivirale ha avuto una diffusione sotto alle aspettative: il monitoraggio Aifa dopo un mese ha evidenziato come siano state distribuite appena 1.104 confezioni di farmaco attraverso le farmacie.
Questo numero, tuttavia, è cresciuto nel tempo e, in base all’ultimo monitoraggio dell’Agenzia italiana del farmaco, sono state vendute 8.823 dosi in farmacia, più del doppio rispetto alla precedente rilevazione (due settimane prima ci si fermava a quota 4.022).
Commentando il 14° rapporto Aifa, Andrea Mandelli, presidente della Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani (Fofi), ha affermato: “L’aumento dei trattamenti con l’antivirale paxlovid ritirati nelle farmacie territoriali, più che raddoppiati nelle ultime due settimane, conferma quanto sia stato decisivo il coinvolgimento dei farmacisti di comunità per rendere più facile e tempestivo l’accesso al farmaco, contribuendo a una migliore gestione del Covid-19 in questa nuova fase di crescita di contagi. È bene rimarcare – ha continuato Mandelli – che la dispensazione del farmaco antivirale da parte del farmacista di prossimità avviene in modo assolutamente gratuito, senza costi a carico del cittadino e a impatto zero per il servizio sanitario”.
Il federalismo farmaceutico
Una delle ragioni della partenza a rilento è da ricercarsi in quello che Marco Cossolo, presidente di Federfarma, definisce il federalismo farmaceutico: “L’evoluzione della farmacia è come quella di un qualsiasi servizio, prodotto o organizzazione – esemplifica –: abbiamo la fase dei pionieri, degli innovatori, la maggioranza anticipatrice, la maggioranza ritardataria e quelli che io chiamo i residui insolubili. Sui vaccini, per esempio, abbiamo visto i pionieri, gli innovatori e una parte della maggioranza anticipatrice: il 50% dei farmacisti li ha effettuati. Sui tamponi, invece, abbiamo raggiunto anche la maggioranza ritardataria, arrivando all’80% dei farmacisti che li è reso disponibile. Si tratta di un processo culturale che si sta compiendo, seppur a velocità diverse. Complessivamente, comunque, nella categoria vedo grande entusiasmo e voglia di mettersi in discussione, soprattutto tra i più giovani”.
A questo federalismo si unisce quello sanitario, che riguarda le Regioni e che influisce sulla dispensazione dei farmaci. A tre settimane dal provvedimento Aifa, per esempio, erano partite solo dieci Regioni (Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Marche, Molise, Piemonte, Toscana, Umbria e Valle d’Aosta), oltre alle Province autonome di Trento e Bolzano. La Sardegna, in un primo momento, non aveva nemmeno previsto questa opzione. “Incidere sulla distribuzione di un farmaco a livello territoriale è uno dei tanti modi per alimentare le diseguaglianze – afferma Cossolo – È assurdo che nelle prime settimane un piemontese potesse accedere a paxlovid e un sardo no”.
Il farmaco
Paxlovid è un farmaco orale, composto da due principi attivi: nirmatrelvir e ritonavir. Si tratta di tre compresse (due di nirmatrelvir e una di ritonavir) da assumere insieme ogni 12 ore per cinque giorni.
La gestione del paxlovid è piuttosto complessa: deve essere somministrato entro cinque giorni dalla positività, presenta numerose interazioni con altri farmaci ed è controindicato nelle persone con insufficienza renale. Inoltre, è rivolto solo ai pazienti con patologie molto gravi e agli over65
La sua gestione è piuttosto complessa: oltre a dover essere somministrato entro cinque giorni dalla positività, presenta numerose interazioni con altri farmaci (come quelli per il sistema nervoso, l’Alzheimer, il Parkinson, il dolore cronico e gli antiepilettici) ed è controindicato nelle persone con insufficienza renale. Inoltre, è rivolto solo ai pazienti con patologie molto gravi e agli over65. Infine, potrebbe non essere efficace nello stesso modo per tutte le varianti di Covid-19. Tutte caratteristiche che fanno procedere con i piedi di piombo i medici di medicina generale.
“Proprio a causa di questi aspetti così delicati, abbiamo organizzato, insieme ad Aifa e all’Istituto superiore di sanità, un corso di specializzazione per il farmacista, in modo che conosca le modalità di dispensazione del farmaco – ripercorre Cossolo – Del resto questo fa parte del nuovo ruolo che viene previsto dal farmacista di comunità dal DM 77”.
Il ruolo della farmacia durante la pandemia
“Negli ultimi due anni la farmacia ha fatto parte di un sistema Paese che a mio modo di vedere ha funzionato abbastanza bene”, afferma il numero uno di Federfarma, che divide il supporto fornito dalla sua categoria in due fasi: “Inizialmente ci siamo letteralmente inventati che cosa fare, dalla fabbricazione dei gel, alle barriere in plexiglass, fino ai protocolli per le sanificazioni e ai modi per sconfezionare le mascherine”. All’inizio della pandemia, infatti, quando scarseggiavano i dispositivi di protezione individuale, le mascherine venivano consegnate alle farmacie in pacchi da cento: “Per le regole del commercio non potevamo aprirle, ma questo significava che qualcuno andava a casa con cento mascherine e qualcun altro rimaneva senza”.
“Come Federfarma abbiamo partecipato alla stesura di norme di contrasto alla pandemia. La più famosa è probabilmente quella dei tamponi, ma è stato significativo arrivare a fare i test antigenici, cosa che all’inizio sembrava impossibile per un farmacista”
La seconda fase è invece stata di tipo più istituzionale: “Come Federfarma abbiamo partecipato alla stesura di norme di contrasto alla pandemia. La più famosa è probabilmente quella dei tamponi, ma è stato significativo arrivare a poter bucare le dita per fare i test antigenici, cosa che all’inizio sembrava impossibile per un farmacista”.
A questo sono seguite altre attività, come i vaccini e la stampa dei green pass fatta a titolo gratuito. “Abbiamo accompagnato, in quanto portatori di conoscenza più che di interessi, la Pubblica Amministrazione nello scrivere norme per poter fare la nostra parte a contrastare la pandemia. Questo ha portato alla presa d’atto di un fenomeno che già c’era, che ha poi trovato riscontri normativi all’interno del DM 77”.
Tutto questo è stato possibile grazie soprattutto alla responsività dei farmacisti situati nelle zone marginali. “I colleghi rurali hanno svolto un lavoro straordinario – ha commentato Cossolo – Questa è stata una delle cose che più ha convinto il legislatore, perché loro sono stati presenti in modo capillare laddove il servizio sanitario non poteva arrivare in nessun altro modo. E questo vale anche per le zone periferiche delle grandi città, dove è addirittura più complicato: mentre nella comunità rurale c’è un disagio geografico, nella periferia della grande città c’è spesso anche un disagio sociale”.
Quale futuro
L’ultimo biennio ha accelerato la trasformazione della figura del farmacista: “Io sono figlio di titolare di farmacia, mi sono laureato nel 1988 e ricordo che nei primi anni la professione non era molto stimolante, appiattita sulla mera dispensazione del farmaco, con un servizio sanitario molto invadente”, ricorda Cossolo.
“Il nuovo ruolo del farmacista farà sicuramente aumentare gli iscritti e l’abolizione dell’esame di Stato è un altro passaggio importante di cui registreremo gli effetti tra qualche tempo”
“Fino al 2017-18, a dire il vero, la situazione non è cambiata molto – rileva – E la professione era poco appetibile per i giovani. Oggi fortunatamente questo è cambiato e chi si laurea guarda con entusiasmo a quello che è diventata la farmacia. Il nuovo ruolo del farmacista farà sicuramente aumentare gli iscritti e l’abolizione dell’esame di Stato è senz’altro un altro passaggio importante di cui registreremo gli effetti tra qualche tempo”.
Per il presidente di Federfarma, infine, la farmacia ha un ruolo importante anche nello spostare gli equilibri economici, prima che clinici, del Servizio sanitario nazionale: “Abbiamo ricevuto una remunerazione aggiuntiva per gli interventi che abbiamo fatto. Una parte di questa è stata data in modo pesante sulla dispensazione dei farmaci equivalenti. I farmaci equivalenti nel primo trimestre del 2022 sono cresciuti del doppio rispetto a tutti gli altri farmaci. Questa è la capacità del farmacista di incidere sul nostro sistema”.
La quarta dose di vaccino
Sebbene gli antivirali siano importanti per contenere gli effetti più gravi del coronavirus, l’arma più potente a nostra disposizione continuano a essere i vaccini. Con il via libera della quarta dose per i soggetti fragili e gli over60, è aumentata la domanda nelle farmacie di tutta Italia.
La forte richiesta di prenotazioni per la vaccinazione testimonia la maggiore consapevolezza da parte dei cittadini sull’efficacia del vaccino che, sebbene non dia la certezza di evitare il contagio, rappresenta l’unica arma a disposizione per proteggersi dalla malattia grave da Covid
“È un segnale molto positivo per il Paese e un enorme successo per la professione – ha commentato Andrea Mandelli – La forte richiesta di prenotazioni testimonia la maggiore consapevolezza da parte dei cittadini sull’efficacia del vaccino che, sebbene non dia la certezza di evitare il contagio, rappresenta l’unica arma a disposizione per proteggersi dalla malattia grave da Covid. Molte persone, soprattutto anziane, attendevano l’allargamento della campagna per mettersi in sicurezza”.
E l’autorizzazione alle farmacie per la somministrazione del vaccino anti-Covid ha aperto anche un’altra porta, permettendo loro di dispensare anche quello antinfluenzale.