SYNGAP1: una malattia rara, una comunità in crescita, una sfida per la ricerca

Dall’alleanza tra scienza, clinica e famiglie nasce un nuovo modo di fare ricerca sulla sindrome SYNGAP1. Silvia Di Angelantonio: «Modelli paziente-specifici, terza missione e una comunità coesa: così stiamo cambiando il paradigma»

È una malattia genetica rara che conta in Italia meno di 60 pazienti diagnosticati, soprattutto bambini. È la sindrome SYNGAP1, causata dalle mutazioni dell’omonimo gene che codifica una proteina essenziale per il corretto funzionamento delle sinapsi neuronali. Può portare a disabilità intellettiva, epilessia, ritardo nello sviluppo e disturbi dello spettro autistico. La scarsa specificità dei sintomi è uno dei problemi del ritardo nella diagnosi.

«È una malattia del neurosviluppo, non neurodegenerativa – chiarisce Silvia Di Angelantonio, docente di Fisiologia a Sapienza Università di Roma e ricercatrice all’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) – e si manifesta nei primi anni di vita. I pazienti non perdono le funzioni acquisite, ma richiedono tempi lunghi per svilupparle e mantenerle. Alcune famiglie parlano di regressione, ma in realtà spesso è un problema di mancata continuità nell’allenamento delle abilità».

Dalla diagnosi alla consapevolezza: il ruolo della rete

Silvia Di Angelantonio

Un nodo cruciale è quello della diagnosi, oggi ancora troppo legata al caso e alla zona di residenza: «La mutazione viene identificata tramite sequenziamento genetico, ma solo alcuni pannelli per epilessie farmacoresistenti includono SYNGAP1. E non tutti i bambini affetti hanno epilessia. C’è un enorme buco diagnostico, aggravato dalle disuguaglianze territoriali: la maggior parte delle diagnosi arriva da centri del Centro-Nord».

La risposta a questo problema è duplice: lavorare alla costruzione di un registro nazionale dei pazienti e fare cultura attraverso l’informazione, i social, il coinvolgimento dei pediatri di libera scelta e delle ASL. L’associazione APS Famiglie SYNGAP1 Italia è protagonista di questa battaglia.

«Quando siamo entrati in contatto con loro – racconta Di Angelantonio – ci siamo resi conto che non bastava fare ricerca. Bisognava costruire una rete, dare forza all’associazione, coinvolgere più medici, più centri. Nel 2022 erano 27 i pazienti diagnosticati. Oggi sono più del doppio».

Il laboratorio: dai neuroni in 2D agli organoidi cerebrali

Nel suo laboratorio congiunto tra Sapienza e IIT, Di Angelantonio lavora insieme alla collega Bernadette Basilico su modelli in vitro paziente-specifici: «Utilizziamo cellule staminali pluripotenti indotte, ottenute dai pazienti tramite riprogrammazione cellulare o editing genetico. Questo ci permette di sviluppare colture neuronali in 2D e organoidi cerebrali 3D che riproducono lo sviluppo cerebrale alterato nella SYNGAP1», spiega l’esperta.

Non esiste una terapia specifica per la sindrome SYNGAP1: il futuro sarà probabilmente nella terapia genica

Oltre a essere strumenti avanzati per comprendere i meccanismi molecolari della malattia, questi modelli riducono la necessità di sperimentazione animale. «Abbiamo anche sistemi di elettrofisiologia avanzata con oltre 5.000 elettrodi per registrare l’attività neuronale in rete – aggiunge – e ci stiamo preparando a fare RNA sequencing per identificare potenziali target farmacologici».

Ad oggi, non esiste una terapia specifica per la sindrome SYNGAP1. I trattamenti sono sintomatici: antiepilettici, antipsicotici, terapie comportamentali come il metodo ABA (Analisi Comportamentale Applicata). Ma il lavoro dei ricercatori va oltre: «Stiamo esplorando la possibilità di riposizionare farmaci esistenti e di sviluppare approcci di terapia genica». Questo probabilmente sarà il futuro, ma «nel frattempo è fondamentale trovare strumenti per migliorare la qualità della vita di questi bambini e delle loro famiglie».

Terza missione e modelli di comunità

Il progetto condotto da Di Angelantonio e Basilico è stato selezionato da Sapienza come esempio di eccellenza di “terza missione” ed è stato presentato all’ANVUR. L’idea è semplice ma potente: costruire una comunità coesa che unisca ricercatori, clinici e famiglie.

«Ogni anno organizziamo un grande incontro nazionale – racconta –. Quest’anno si è tenuto a Cremona, in una struttura chiamata CR2 Sinapsi, fondata dalla Onlus Occhi Azzurri. Abbiamo coinvolto educatori professionisti, fatto formazione, focus group, momenti di confronto. Non solo su clinica e ricerca, ma anche su temi sociali fondamentali: scuola, inserimento lavorativo, dopo di noi, comunicazione aumentativa, terapie non convenzionali come i cani addestrati per le crisi epilettiche».

Ricerca trasversale e multidimensionale

«Per me – sottolinea Di Angelantonio – la ricerca non è solo il laboratorio. È anche sociologia, economia, design, comunicazione. Quest’anno, ad esempio, abbiamo coinvolto Nicoletta Balbo, sociologa della Bocconi che studia l’impatto della disabilità sulle famiglie. Vorremmo avviare un progetto di ricerca trasversale che unisca scienze dure, sociali e umane. Non è facile, ma è fondamentale».

Importante che la ricerca non si fermi al laboratorio, ma abbracci anche sociologia, design, economia e comunicazione

Un obiettivo ambizioso, in linea con la vocazione europea del progetto: SYNGAP1, infatti, rientra nel network EURAS, che riunisce le cosiddette rasopatie (un gruppo di malattie genetiche rare che colpiscono vari sistemi del corpo, come quello nervoso, cardiaco, scheletrico e cutaneo). L’obiettivo è creare un registro europeo e individuare target terapeutici comuni.

Alla fine, tutto torna lì: alla comunità. Una rete che tiene insieme famiglie, scienziati, clinici, ma anche cittadini, studenti, donatori, volontari. «Il nostro evento nazionale è sì un momento scientifico – conclude Di Angelantonio – ma anche un’occasione di allegria. Dietro l’energia che traspare in queste occasioni, tuttavia, c’è un enorme lavoro, una costruzione collettiva».

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Michela Perrone
Giornalista pubblicista