Tempo di raccogliere le idee dopo un evento di successo. Cosa serve alla telemedicina? Innanzitutto il coinvolgimento dei medici, ma anche ragionare su tre modelli: organizzativi, di implementazione tecnologica e di acquisizione. Facciamo il punto con Ottavio Di Cillo, presidente dell’Associazione italiana Sanità digitale e Telemedicina (AiSDeT), reduce dalla due giorni degli Stati generali della Telemedicina che ha radunato a Bari ben 22 società scientifiche.
“Il convegno è andato molto bene, a partire dal fatto di aver messo intorno a un tavolo finalmente i medici, che sembravano un po’ defilati dalle riflessioni sulla telemedicina, ma in concreto sono coloro che devono dare un servizio al cittadino: è importante creare una squadra per la telemedicina in cui ci siano anche i medici, poco sentiti finora a livello romano”, commenta l’esperto.
“Durante gli Stati generali è stato sottoscritto un documento condiviso che prende le mosse dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che dà molta importanza al fascicolo sanitario elettronico: tutto ciò che non è interoperabile con esso, non sarà finanziato – afferma -. È necessario partire dagli atti normativi, che delineano la creazione di un ecosistema nazionale della telemedicina. Un ecosistema che deve includere tutti, tecnici, startup, utenti, e ovviamente i medici”.
Oltre al DM77, vanno tenuti in conto gli standard dell’assistenza domiciliare, sottolinea Di Cillo: “Indicano in modo chiaro una volontà di coordinamento per edificare un ecosistema digitale con la presenza di medici e pazienti, con l’obiettivo di arrivare a un Servizio Sanitario Nazionale sempre più equo e universalistico, in un frangente in cui sono disponibili una serie di fondi, e in particolare le Missioni 1 e 6 del PNRR.
La ricetta per la telemedicina: tenere in conto gli atti normativi nazionali ed europei e sfruttare le risorse disponibili grazie al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza
Dobbiamo mettere insieme gli atti normativi nazionali ed europei con i fondi per il processo di transizione del SSN verso un’innovazione digitale che sia finalmente strutturata e non episodica o sperimentale come è capitato nel nostro Paese negli anni precedenti. Per questo è fondamentale un apporto collaborativo da parte di tutti gli attori che lavorano in sanità, medici in particolare, per avviare processi di lavoro capaci di superare una organizzazione a silos per arrivare a un approccio interdisciplinare. Ecco quindi la necessità della partecipazione delle società scientifiche”.
A seguito degli Stati generali sono in via di creazione gruppi di lavoro fondati sulla collaborazione e la coprogettazione: all’orizzonte un nuovo grande evento AiSDeT. “Inviteremo il ministero della Salute e Agenas, cui abbiamo inviato il documento prodotto in occasione degli Stati generali e abbiamo richiesto la creazione di un tavolo di lavoro, senza dimenticare le associazioni dei pazienti”.
Quali sono i punti cardine del documento? “Bisogna agire concretamente sui modelli organizzativi, di implementazione e di acquisizione delle tecnologie. Sul primo tema gravano le carenze di personale e l’esigenza di far entrare nella routine quotidiana la gestione di nuove logiche, oltre alla definizione della tariffazione, degli aspetti del rischio, legali e di tutela della privacy: è un lavoro che va fatto insieme ai medici – rimarca -. Sul modello tecnologico, serve garantire, come chiede il PNRR, l’integrazione e l’interoperabilità nella logica dell’ecosistema digitale, in un’ottica di circolarità delle informazioni e dei dati; è un ambito che investe quindi anche l’uso corretto dei Big Data e dell’Intelligenza Artificiale. Terzo punto, acquisizione: parliamo di forme innovative di procurement, come le Partnership Pubblico Privato (PPP), per sostenere logiche gestionali e governo dei processi da parte delle aziende sanitarie”.
Come arrivare a questo risultato? Fondamentali la formazione e l’informazione
Come arrivarci? “Sono fondamentali l’informazione e la formazione. Nel Tavolo 1 con la presenza del ministero della Salute e di quello dell’Innovazione tecnologica e della transizione digitale è stato fatto un bellissimo lavoro, dando vita a un portale di informazione e formazione, aperto a tutti, che sarà reso disponibile per le Regioni, su cui potranno andare a inserire le informazioni su cos’è la telemedicina, sui servizi, sul nomenclatore, e con la possibilità di porre domande e ricevere risposte. Ma non basta. C’è la parte dell’attività di formazione che spetta non solo alle università o alle istituzioni, perché devono essere individuate anche delle modalità di management innovativo e i nostri apicali devono avere competenze di e-leadership e, almeno in parte, conoscenza dei modelli organizzativi e tecnologici e sapere in questo contesto lavorare in team”.
Che legame c’è fra Telemedicina, PNRR e procurement?
Tra i punti centrali individuati dal presidente AiSDeT Di Cillo al termine degli Stati generali, l’acquisizione delle tecnologie. Ma che legame c’è fra telemedicina, PNRR e procurement? Ne parliamo con Ignazio Del Campo, responsabile del controllo gestionale all’Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico “G. Rodolico – San Marco” di Catania, consigliere dell’AiSDeT.
“Si tratta di aspetti strettamente correlati, perché il procurement, se è ragionato, dà valore ai servizi e ai modelli di servizi nella Pubblica Amministrazione (PA) arrivando a intervenire sui modelli e sull’offerta di servizi sanitari in ambiente digitale cioè prestazioni di telemedicina – spiega l’esperto -. La scelta della centralizzazione degli acquisti – ruolo centrale di Consip soprattutto per gli interventi connessi alla Missione 6 – Digitalizzazione DEA – diventa elemento fondamentale per conseguire la certezza di definizione delle procedure di procurement in termini di tempistiche e standardizzazione dei livelli qualitativi “minimi”, contribuendo quindi a eliminare alcune delle più evidenti criticità del sistema sanitario – la lentezza/difficoltà di acquistare beni e servizi – e offrendo migliori opportunità di conseguimento degli obiettivi di un programma di tipo performance quale è il PNRR. Il PNRR può essere considerato come lo strumento abilitante per la innovazione e trasformazione tecnologica, anche del sistema sanitario, atteso che si presenta con una solida struttura articolata su interventi, programma e singole milestone cui si affianca un robusto piano di monitoraggio sullo stato di avanzamento”.
Definire la telemedicina
“Per prima cosa è necessario sfatare un mito- aggiunge Del Campo -. La telemedicina non è l’obiettivo in sé dell’evoluzione del sistema sanitario, ma è uno strumento per qualificare e recuperare l’efficienza nell’uso delle risorse umane e materiali, nonché per migliorare la qualità della vita dei pazienti. La telemedicina non è un problema di tecnologia in senso stretto, bensì di adeguamento di pratiche cliniche e attività che oggi correntemente si svolgono in modalità “face to face” con il paziente in un nuovo ambiente. La traslazione di parti del percorso di diagnosi e cura in un ambiente digitale consente la riduzione/eliminazione di diverse sotto attività o sotto processi operativi che però hanno dei “costi”, economici e non, rilevanti sia per il sistema sia per gli utenti. Per fare questo salto è necessario un approccio incentrato sulla valutazione puntuale e accurata delle caratteristiche dei pazienti, dei percorsi diagnostico terapeutici per patologia, delle soluzioni tecnologiche disponibili e della sostenibilità economica delle scelte di innovazione”.
Queste riflessioni sono il presupposto per la costruzione di un quadro chiaro di che cosa si intende per sistema sanitario che eroga prestazioni sanitarie anche con l’utilizzo di tecnologie digitali o più semplicemente “in telemedicina”. “Alla base dell’esigenza di organizzare gli Stati generali, c’è, quindi, una semplice domanda: cosa si può erogare in telemedicina? – spiega Del Campo -. In concreto la risposta è che può essere spostato in telemedicina solo ciò che è sicuro dal punto di vista qualitativo per il paziente e altrettanto per il clinico che potrà esercitare le sue valutazioni assumendo il medesimo “rischio” cui si esporrebbe visitando il paziente in modo tradizionale. La prima cosa da fare è quindi un’analisi di quali processi sanitari non necessitano di un incontro diretto per verificare lo stato del paziente e l’andamento della malattia”.
Cosa si può erogare in telemedicina? Solo ciò che è sicuro dal punto di vista qualitativo per il paziente e per il clinico
Ma come fare per individuare le prestazioni che si possono erogare in telemedicina? “Questo dato non è banale, visto quello che stiamo vedendo proliferare: quando si comincia a subodorare la disponibilità di risorse, tutti cominciano a offrire nuove soluzioni e tutti sono in grado di fare telemedicina. Però, dal punto di vista tecnico le infrastrutture e gli strumenti che dovrebbero fare la telemedicina non sono ancora correttamente validate e certificate dai professionisti sanitari o dai professionisti di area tecnica (Direzione generale della digitalizzazione, del sistema informativo sanitario e della statistica). Soprattutto, non vi è dietro alcuna validazione dal punto di vista clinico”.
Il ministero della Salute, per arrivare all’uniformazione delle caratteristiche degli ambienti digitali, agli strumenti e regole di interscambio dei dati, ai processi di conservazione delle informazioni e di tutela della privacy, ha costituito diversi tavoli interdisciplinari che hanno cominciato a rispondere a queste domande.
“Nel Tavolo di lavoro 2: Onboarding & Validazione, in cui ho lavorato con diversi professionisti sanitari e non, è stato affrontato il tema delle infrastrutture e delle tecnologie, e stiamo ragionando per definire le caratteristiche che devono avere gli strumenti di telemedicina: integrazione con Spid, anagrafe degli utenti e fascicolo sanitario elettronico, capacità di gestire i file in formato Pdf o altro, i cosiddetti requisiti tecnici che deve avere una piattaforma di telemedicina per essere considerata tale. Ma tutto questo non può che venire dopo la grande domanda: io posso visitare in sicurezza per me e per il paziente? Se lo visito a distanza, questa prestazione è valida? Mi permette di comprendere lo stato di salute del malato, è capace di darmi indicatori di salute?”.
La risposta alle domande sulla telemedicina prevede il coinvolgimento diretto e costante degli specialisti delle singole discipline mediche
La risposta a queste domande prevede il coinvolgimento diretto e costante degli specialisti delle singole discipline mediche che possono costruire quell’insieme di indicatori e di scale di valutazione dei pazienti (stato malattia, comorbidità, autonomia nella gestione della cura, propensione all’aderenza terapeutica, supporto di caregiver, autonomia tecnologica…) tali da permettere di valutare se un paziente è eleggibile ad essere trattato per parte del percorso terapeutico in modalità telemedicina. “Per questo abbiamo voluto coinvolgere le società scientifiche negli Stati generali, per condurli con un’ideale mano verso la definizione di un catalogo di prestazioni erogabili in ambito digitale, tenuto conto ovviamente di valutazioni di sostenibilità ed economicità”.
Una volta individuate le prestazioni erogabili in telemedicina, cosa serve? Una valutazione di sostenibilità
Cosa intendiamo per sostenibilità in questo senso? “Dal punto di vista metodologico è fondamentale per prima cosa individuare il set di prestazioni erogabili in ambiente digitale e, quindi, solo successivamente, sviluppare le analisi economiche relative al costo di erogazione e alla congruità della tariffazione collegata alle prestazioni in telemedicina. Tra l’altro oggi un parametro, primo ma non sempre univoco, esiste, ed è quello del corrispettivo riconosciuto per le prestazioni in presenza – risponde Del Campo -. Di conseguenza, i più curiosi possono cimentarsi in un semplice esercizio di economia aziendale che si chiama BEP analysis (Break even point, ovvero punto di pareggio) per capire quante prestazioni in telemedicina devono essere fatte per recuperare l’investimento necessario alla costruzione, messa in opera ed esercizio della piattaforma di telemedicina”.
“In questo caso – prosegue l’esperto – dovranno essere considerati sia i costi dell’investimento (PC, piattaforma software, costi per connettività, costi per storage dati) sia i costi di esercizio (tempo/costo del medico dedicato per prestazione, tempo/costo della struttura di supporto tecnico per ora di funzionamento della piattaforma, tempo/costo di altro personale oltre ai normali costi di gestione della struttura, come pulizie, energia elettrica, riscaldamento). Il totale dei costi dovrà essere diviso per il valore unitario riconosciuto alla prestazione (tariffa da nomenclatore o da altro provvedimento) e di conseguenza avrete il numero delle prestazioni totali da erogare. Da questa analisi sarà anche possibile capire quante ore di funzionamento giornaliero dovrà garantire l’ambulatorio virtuale, quanti medici servono e molti altri elementi che, dopo avere risolto il tema metodologico ed etico del contenuto della prestazione erogata in digitale, dovranno essere affrontati per non lasciare che la telemedicina resti un miraggio”.