Tossicità finanziaria in ambito oncologico: perché parlarne? Il punto con Elio Borgonovi

In Italia la “tossicità finanziaria” in oncologia pesa sui pazienti e le famiglie con costi diretti e indiretti, diseguaglianze territoriali e ostacoli burocratici. In questo ciclo di interviste, raccogliamo diverse voci per inquadrare e capire dove nasce il problema, chi lo subisce e cosa si può fare per cambiare rotta

In un sistema sanitario che promette cure gratuite e universali, c’è un costo nascosto che colpisce molti pazienti oncologici: la tossicità finanziaria, detta anche tossicità economica. Non è solo una questione di spese mediche, ma anche di disparità, di viaggi sanitari, di rinunce e di solitudine economica. In questo ciclo di interviste, raccogliamo diverse voci di per inquadrare e capire dove nasce il problema, chi lo subisce e cosa si può fare per cambiare rotta.

Ma perché bisogna parlarne? Perché i costi diretti e indiretti per le cure oncologiche sono stati indicati in circa 1.841€ all’anno per esami clinici [dati FAVO 2025], per visite specialistiche, farmaci non oncologici e spese di viaggio e alloggio. E perché l’esenzione “048” copre solo farmaci, visite ed esami specifici. E quindi rischiamo di restare scoperti molti costi correlati a farmaci di supporto, integratori e visite per effetti correlati non direttamente oncologici e altre necessità. Per questi ultimi costi le famiglie ricorrono a spese “out of pocket”, ovvero di tasca propria.

Inquadriamo il problema sotto il profilo di economia sanitaria con Elio Borgonovi, Presidente del CERGAS, Università Bocconi.

Esiste una correlazione tra condizione economica e sopravvivenza nei tumori? La “tossicità finanziaria” in ambito oncologico può essere associata a peggiori esiti clinici?

Elio Borgonovi

«In una ricerca condotta per CNA pensionati, una percentuale di circa 1,5% dei rispondenti aveva sostenuto spese di salute superiore ai 3mila euro. Il dato non era riferito specificatamente a pazienti oncologici, ma indubbiamente questa correlazione esiste. In uno studio di alcuni anni fa riferito a Londra, emergeva che ad ogni miglio di distanza dal centro peggiorava la condizione. Lo studio sui determinanti di salute, fattori socioeconomici più importanti, sono quindi a “cerchi concentrici” come viene evidenziato in questa ricerca. Se ricordo bene, uno studio analogo è stato fatto anche a Torino dal collega Giuseppe Costa. In effetti, la condizione economica è uno dei fattori che incide maggiormente sull’attesa di vita e soprattutto sull’attesa di vita in buona salute. Nel nostro paese il servizio sanitario garantisce una equità soprattutto quando si tratta di condizioni di salute gravi, mentre è più debole nell’affrontare condizioni che appaiono meno gravi, ma che incidono sia sulla sopravvivenza sia sulla qualità della vita. Il caso dell’oncologia è uno di quelli emblematici a riguardo».

Esistono disparità geografiche significative nella tossicità finanziaria oncologica in Italia?

«È un dato inconfutabile poiché i dati sulla mobilità passiva penalizzano i pazienti delle regioni del Sud e, in secondo piano, i residenti nelle aree interne, ossia in aree collinari e montane, lontane dai centri dotati di strutture di offerta. Un possibile rimedio potrebbe essere quello di collegare queste aree ai centri più avanzati tramite sistemi di telemonitoraggio».

La tossicità finanziaria impatta economicamente anche sul caregiver del malato oncologico?

«La tossicità economica ha un influsso indiretto perché non consente ai pazienti di ricorrere a caregiver professionali. In un certo senso si può dire che le difficoltà economiche si propagano a “cerchi concentrici”, dal paziente alle proprie famiglie e ai caregiver, che non di rado accettano prestazioni con pagamento in nero e quindi senza adeguate garanzie».

Quali interventi, secondo lei, potrebbero ridurre immediatamente la tossicità finanziaria in oncologia?

«Come già detto, innanzitutto lo sviluppo di sistemi di telemonitoraggio che consentirebbero di ridurre la mobilità solo per trattamenti che possono essere erogati in sicurezza in centri specializzati ed avere poi un’assistenza presso il proprio domicilio o comunque vicino le proprie residenze. In secondo luogo, si potrebbe pensare alla diffusione di fondi di tipo solidaristico che permetterebbero di sostenere le spese per i pazienti oncologici con i contributi di pazienti che hanno minori bisogni assistenziali. Faccio riferimento a quella che si chiama “cross-subsidization”, che avviene tra chi utilizza poco i fondi e chi li utilizza in maniera maggiore, come nel caso dei pazienti. Tuttavia, è necessario rivedere la normativa, anche fiscale, di quello che viene definito “il secondo pilastro del sistema sanitario”. Un ulteriore intervento potrebbe essere quello di inserire organicamente l’apporto di organizzazioni non profit che operano a favore dei pazienti oncologici nella programmazione regionale».

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Silvia Pogliaghi
Giornalista scientifica, esperta di ICT in Sanità, socia UNAMSI (Unione Nazionale Medico Scientifica di Informazione)