Prevenzione, accesso alle prestazioni, assistenza territoriale: sono questi i cardini su cui si concentra il Rapporto civico sulla salute 2022 presentato il 5 maggio da Cittadinanzattiva.
“Si tratta di settori particolarmente fragili, le cui criticità si sono acuite con la pandemia”, ha osservato in apertura Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva.
Il documento quest’anno unisce due analisi: la prima riguarda le 13.748 segnalazioni ricevute dai cittadini, l’altra si concentra invece sul federalismo sanitario, per descrivere i servizi regionali dal punto di vista organizzativo, la loro capacità di amministrare e di fornire risposte ai cittadini.
Il 23,8% delle segnalazioni ha riguardato la difficoltà di accesso alle prestazioni. Oltre il 70% dei cittadini ha lamentato attese troppo lunghe: “Il nostro campione non è statisticamente significativo perché basato su segnalazioni spontanee – ha premesso Isabella Mori, responsabile del servizio di tutela di Cittadinanzattiva – Questo però non ci impedisce di segnalare i tempi d’attesa massimi per alcuni esami diagnostici o visite specialistiche”. Parliamo di quasi due anni (720 giorni) per una mammografia e di circa un anno per un’ecografia (375 giorni), una tac (365), o un intervento ortopedico (360).
Prevenzione, accesso alle prestazioni, assistenza territoriale: sono questi i cardini del Rapporto civico sulla salute 2022 di Cittadinanzattiva
Secondo le analisi della Corte dei Conti e di Agenas-Sant’Anna di Pisa, per quel che riguarda la specialistica ambulatoriale si è assistito a una riduzione complessiva fra il 2019 e il 2020 di oltre 144,5 milioni di prestazioni, per un valore complessivo di 2,1 miliardi di euro. Il volume dei ricoveri totali erogati (ordinari e in Day Hospital) nelle strutture pubbliche o private si è ridotto di circa 1.775.000 prestazioni (pari a -21%, -14,4% di quelli urgenti e – 26% degli ordinari).
Nell’area oncologica, tra il 2019 e il 2020 c’è stata una riduzione di circa 5.100 interventi chirurgici per tumore al seno (-10% a livello nazionale), 3.000 per tumore al colon retto (-17,7% a livello nazionale), 1.700 per il cancro alla prostata.
Si calcola che a rinunciare alle cure, nel corso del 2021, sia stato più di un cittadino su dieci. “Tipicamente a patire di più questa situazione sono le persone più fragili, che avrebbero bisogno di un sistema più organizzato di visite e controlli”, ha affermato Mori.
La prevenzione
Per la prima volta il report considera anche la prevenzione. Anche in questo caso il quadro non è incoraggiante, con screening oncologici in ritardo in oltre la metà delle Regioni e coperture in calo per i vaccini ordinari.
Nonostante la spesa per i vaccini sia raddoppiata dal 2014 al 2020, passando da 4,8 a 9,4 euro pro capite, 6 Regioni non raggiungono ancora la percentuale ottimale del 95% nella copertura dell’esavalente, secondo gli ultimi dati disponibili del Ministero della Salute (2019).
Regioni bocciate anche per quanto riguarda il vaccino antinfluenzale: nella stagione 2020-2021 soltanto in tre hanno superato il 75% di copertura (Umbria, Calabria e Sicilia).
In picchiata la vaccinazione Hpv: le ragazze undicenni che hanno effettuato il ciclo completo passano dal 41,6% del 2019 al 30,3% del 2020. I dati riferiti alla popolazione maschile segnalano tassi di copertura ancora più bassi: 24,2% nel 2020 rispetto al 32,2% nel 2019.
Le principali criticità evidenziate per le vaccinazioni ordinarie sono state:
- la generale riduzione dell’attività dei centri vaccinali
- la carenza o indisponibilità di dosi
- i tempi di attesa
- le chiusure centri vaccinali
“Dalle interviste con le segreterie regionali è inoltre emerso che solo il 47% delle Regioni ha attivato campagne di informazione e formazione per cittadini e operatori sanitari coinvolti nell’attuazione delle strategie vaccinali – ha riportato Valeria Fava, responsabile del coordinamento delle politiche della salute di Cittadinanzattiva – Accogliamo invece come buona notizia che esistano accordi regionali per effettuare le vaccinazioni ordinarie in farmacia nel 45% dei casi”.
Per la prima volta il report considera anche la prevenzione, ma i dati che emergono non sono incoraggianti
In calo anche le coperture per gli screening. In particolare, nel 2021 si è registrato un -28,5% per gli esami mammografici, -34,3% per quelli del colon-retto e -35,6% per la cervice uterina, con adesioni rispettivamente del 53,7%, 48% e 38,5%.
“Sono stati registrati rallentamenti sistemici in tutte le Regioni, mentre Piemonte e Sardegna hanno segnalato che le interruzioni hanno riguardato solo alcuni territori, in particolare nelle aree interne”, ha commentato Fava.
L’assistenza territoriale
L’assistenza territoriale integrata (Adi) è uno dei pilastri del Pnrr, che, a fronte di un investimento di 2,7 miliardi, si propone, entro il 2026, di raggiungere il 10% (nel 2020 la media nazionale è stata del 2,8%) Al momento, infatti, è tra gli ambiti nei quali si segnalano le maggiori inefficienze. Il 17,4% delle 13.748 segnalazioni ricevute da Cittadinanzattiva riguarda questo tema, in particolare:
- il rapporto con i medici di medicina generale (mmg) e i pediatri di libera scelta (25,8%), di cui i cittadini lamentano lo scarso raccordo con gli specialisti e i servizi sul territorio, la scarsa disponibilità in termini di orario, reperibilità e presa in carico;
- le carenze dei servizi di continuità assistenziale (13,9%) come irreperibilità o orari limitati della guardia medica;
- le carenze dell’assistenza domiciliare integrata (12,1%), soprattutto per la mancata integrazione dei servizi sociali e sanitari, le difficoltà nell’attivazione, la mancanza di alcune figure specialistiche (fra cui gli psicologi), il numero inadeguato di giorni o ore.
Franco Lavalle, vicepresidente Omceo di Bari, ha commentato: “I mmg hanno un rapporto privilegiato con il paziente che noi specialisti non abbiamo. È vero che spesso manca il tempo di cura, ma è un problema di mancanza di personale, che almeno fino al 2025 non migliorerà. È importante capire che oggi abbiamo una carenza nelle piante organiche che provoca effetti a cascata in tutti gli ambiti”.
“Abbiamo attivato una mappatura civica delle nuove strutture sanitarie previste dalla Missione 6 del Pnrr, per capire in che modo i soldi saranno investiti sui territori – ha reso noto Fava – Si tratta di un documento dinamico, che sarà aggiornato costantemente”.
Il 12,8% delle segnalazioni che riguardano l’assistenza territoriale richiamano il tema della salute mentale, trascurata e sottofinanziata non solo in Italia.
L’assistenza territoriale integrata è uno dei pilastri del Pnrr ma al momento è tra gli ambiti nei quali si segnalano le maggiori inefficienze
Nel nostro Paese si contano 126 Dipartimenti per la Salute Mentale e 1.299 strutture territoriali: è la Toscana a registrare il valore più alto (7,5 strutture ogni 100.000 abitanti), seguita da Valle d’Aosta (5,7) e Veneto (4,4). Sono 15 le Regioni che presentano valori inferiori alla media nazionale (pari a 2,6).
Le problematiche più segnalate riguardano le difficoltà nella gestione di una situazione ormai diventata insostenibile a livello familiare (28%), la protesta per la scarsa qualità dell’assistenza fornita dai Dipartimenti di Salute Mentale (24%), le difficoltà di accesso alle cure pubbliche (20%), l’incapacità di gestire gli effetti collaterali delle cure farmacologiche (12%), lo strazio legato alle procedure di attivazione del trattamento sanitario obbligatorio (8%).
Di fronte a questi numeri, Paolo Petralia, vicepresidente vicario di Fiaso, ha invitato alla collaborazione: “Dobbiamo essere in grado di costruire una riforma che oltre a essere tecnica, giuridica, economica e organizzativa, manageriale, sia anche una riforma culturale. Per costruire assetti stabili dobbiamo ripartire dall’importanza della relazione”.
La sanità digitale
Altro caposaldo del Pnrr riguarda la sanità digitale: è previsto oltre un miliardo di euro, per esempio, per rendere il Fascicolo sanitario elettronico (Fse) omogeneo e per diffonderlo. “Abbiamo visto che l’utilizzo da parte dei cittadini ma anche dei medici è ancora insufficiente e differisce molto da Regione a Regione”, ha ricordato Fava.
Il monitoraggio realizzato dall’Agenzia per l’Italia Digitale mette infatti in evidenza uno scarto tra attivazione e utilizzo del Fse: mentre la realizzazione del Fse regionale raggiunge un valore tra il 90 e il 100% per tutte le Regioni d’Italia, l’indicatore di utilizzo, da parte dei cittadini, dei medici e delle aziende sanitarie, come mostra la rilevazione svolta da Doxapharma e Crea Sanità, conferma che solo il 38% della popolazione italiana ha sentito parlare del Fse e solo il 12% è consapevole di averlo utilizzato almeno una volta.
E poi c’è la telemedicina: prima dell’emergenza sanitaria il suo utilizzo superava di poco il 10%, adesso è oltre il 30% per molte applicazioni. Il servizio più utilizzato è il teleconsulto con medici specialisti (da parte del 47% degli specialisti e del 39% dei mmg), che raccoglie l’interesse per il futuro di 8 medici su 10. Seguono, in termini di utilizzo durante l’emergenza, la televisita (39% degli specialisti e dei mmg) e il telemonitoraggio (rispettivamente 28% e 43%).
I servizi di telemedicina sono invece ancora poco utilizzati dai pazienti, non tanto per la mancanza di interesse, ma a causa dell’offerta ancora limitata. I pazienti hanno infatti dichiarato che la modalità più utilizzata per monitorare a distanza il loro stato di salute è una semplice telefonata oppure una videochiamata di controllo (per il 23% dei casi). Molto meno utilizzati i vari servizi strutturati, come la televisita con lo specialista (nell’8%), la teleriabilitazione (6%) o il telemonitoraggio dei parametri clinici (4%).
Farmacisti e infermieri in prima linea
“Mi fa piacere constatare che c’è una riduzione delle segnalazioni che hanno a che fare con il mondo delle farmacie – ha commentato Andrea Mandelli, presidente della Federazione degli Ordini dei Farmacisti italiani (Fofi) – Le criticità che ci sono purtroppo sono sistemiche e non dipendono da noi, sebbene restino uno stimolo a mantenere alto l’impegno”.
Mandelli ha poi ricordato come, durante la pandemia, la farmacia sia stata il presidio di prossimità più vicino al cittadino: “Non abbiamo mai chiuso, abbiamo allungato gli orari in pausa pranzo per garantire accesso e il distanziamento persone che venivano in farmacia”.
Ad oggi sono 2,5 milioni le vaccinazioni anti-Covid somministrate in farmacia: “Abbiamo livelli di gradimento che sfiorano il 100% – ha affermato il presidente di Fofi – Dobbiamo partire da qui per ragionare di una prevenzione più attiva che il farmacista può fare, anche nelle vaccinazioni tradizionali. Somministrare il vaccino in farmacia significa inoltre permettere ai medici di tornare in ospedale, fondamentale in un momento di carenza come questo”.
Il report di Cittadinanzattiva ha infatti evidenziato un altro problema endemico del nostro paese: la mancanza di personale sanitario, medici ma non solo. Tra il 2009 e il 2018 il personale dipendente del Servizio sanitario nazionale è calato del 6,5%, passando da 693.600 unità a 648.507. Per quanto riguarda gli infermieri, la media Ocse supera l’8,5 per mille abitanti. La media italiana è di 5,7. E sebbene il Decreto Rilancio abbia previsto un incremento di 9.600 infermieri di famiglia e di comunità, al momento ne mancano all’appello quasi il 90%: sono infatti in servizio 1.132 professionisti, pari all’11% di quanto previsto.
Le politiche sanitarie in Italia non hanno mai brillato per investimento nelle professioni sanitarie
“Le politiche sanitarie in Italia non hanno mai brillato per investimento nelle professioni sanitarie – ha commentato Nicola Draoli, consigliere nazionale della Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche (Fnopi) – Il Dm71 ci dice che sono necessari complessivamente 50.000 infermieri, di cui circa la metà sono di famiglia e comunità. I numeri di immatricolazione all’università non ci permetteranno di colmare questo gap, però noi possiamo agire su tre livelli: un adeguato skill mix, una varianza di professionisti in posti diversi; competenze differenziate e specializzazioni riconosciute. Forse possiamo avere un minor numero di infermieri, a patto che una parte di questi siano in grado di fare anche da care manager di una filiera assistenziale che non necessariamente deve essere composta solo da infermieri. Dobbiamo essere in grado di mettere il professionista giusto al posto giusto. Per farlo, serve una riforma coraggiosa della Pubblica amministrazione sul tema del reclutamento. Si tratta di un cambio culturale che deve riguardare tutti”.