Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) tenga conto dei bisogni di chi è affetto da malattie rare. È l’appello lanciato durante la presentazione 5° Rapporto Annuale OSSFOR 2021 da parte del Consorzio Per La Ricerca Economica Applicata In Sanità (Crea) e Osservatorio Malattie Rare (Omar). Tra queste, l’integrazione del Fascicolo Sanitario Elettronico, l’utilizzo puntuale dei dati raccolti nei database regionali, Piani Terapeutici immediatamente autorizzativi, l’implementazione della telemedicina, del teleconsulto e la disponibilità di dispositivi diagnostici portatili per l’assistenza domiciliare, e l’adeguamento del domicilio alle esigenze di salute.
“Oltre all’orgoglio per questa quinta edizione di un rapporto che cresce ed è sempre più spesso preso come punto di riferimento a livello istituzionale, sono lieto di annunciare diverse novità – ha affermato il coordinatore OSSFOR Francesco Macchia -: la collaborazione con la Regione Lombardia, che ci ha consentito di superare la copertura del 50% della popolazione nazionale, l’accordo strategico di collaborazione scientifica con la Società Italiana Farmacisti Ospedalieri (SIFO) e le partnership con Società Italiana di Farmacologia Clinica e Tavolo Interregionale Malattie Rare – Commissione Salute”.
“Purtroppo – ha sottolineato Federico Spandonaro, professore di Economia Sanitaria all’Università Telematica San Raffaele di Roma e Presidente del Comitato Scientifico di Crea Sanità – le malattie rare, nel PNRR, sono citate soltanto nella linea di investimento denominata ‘Valorizzazione e potenziamento della ricerca biomedica del SSN’: 200 milioni di euro per malattie e tumori rari, da spendere fra il 2023 e il 2025 dopo avere espletato le relative gare. Si tratta di una cifra significativa ma, di per sé, certo non risolutiva. Nel PNRR inoltre l’aspetto sanitario (Missione 6) e quello sociale (Missione 5) sono stati tenuti separati, eppure da tanti anni si parla di integrazione e sarebbe bene, nei concreti progetti di ‘messa a terra’, che questa integrazione avvenga veramente. Da valutare poi bene se alcuni strumenti proposti siano davvero utili ai malati rari: le case di comunità, ad esempio, potrebbero rivelarsi un livello intermedio tra medico di medicina generale e centro di riferimento che, se non ben delineato nelle sue funzioni, potrebbe anche rappresentare una complicanza o, peggio, un carico burocratico aggiuntivo laddove invece sarebbe estremamente importante snellire e semplificare”.
Fotografia delle malattie rare in Italia
Stando al Rapporto, e considerando i dati disponibili per gli anni 2018-2020 riferiti a Lazio, Lombardia e Toscana, si può stimare una prevalenza di soggetti portatori di almeno una esenzione per malattia rara, compresa tra lo 0,65% e lo 0,76% della popolazione, con la Regione Lombardia sull’estremo superiore: in totale circa 400.000 pazienti esenti per malattia rara in Italia. Si tratta di una cifra che pur non essendo esaustiva di tutti i malati rari – perché alcuni di questi privi di codice di esenzioni, privi di diagnosi definitiva o, magari, già esenti per reddito – rapporto dopo rapporto si avvicina sempre di più al reale, grazie anche all’ampliamento della lista delle malattie rare esenti operato a livello nazionale.
Le malattie rare colpiscono in misura superiore le donne, con una prevalenza dello 0,81% rispetto allo 0,69% degli uomini, anche se i dati dimostrano che ad assorbire maggiori risorse economiche sono, invece, gli uomini che assorbono il 53,7% delle risorse contro il 46,3% delle donne. Per quanto riguarda la distribuzione per età, si osserva una regolarità tra le Regioni analizzate con un primo picco in età adolescenziale (10-19 anni), un successivo picco nella quinta decade e poi un generale aumento in età anziane quando alla malattia rara si associano altre comorbidità: fanno però eccezione le malattie ultra rare, che sono per lo più caratterizzate da esordio infantile e spesso senza alcuna terapia e con esito infausto, e quindi con un picco assoluto nei primi anni di vita.
Il rapporto OSSFOR
Il rapporto contiene un approfondimento dell’epidemiologia delle malattie rare in Italia; analizza le problematiche di accesso ai farmaci orfani; esamina l’andamento delle traiettorie di accesso al mercato dei farmaci orfani e le dimensioni del relativo consumo e spesa. Viene, poi, affrontato il tema della governance delle malattie rare, del ruolo della Real-World Evidence per la valutazione post-marketing, della revisione dei regolamenti per i farmaci orfani e pediatrici e delle sperimentazioni cliniche per i farmaci orfani. Infine, una particolare attenzione è stata riservata al tema del Testo Unico per le malattie rare e appunto del PNRR, concentrandosi sulle possibili proposte che possono offrire soluzioni alle problematiche che i pazienti con malattia rara si trovano ad affrontare.
Alcuni degli esperti che hanno contribuito al rapporto sono intervenuti con le loro considerazoni. Tra questi, Tiziana Corsetti, direttrice dell’U.O.C. Farmacia, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma e responsabile dell’Area Scientifica Malattie Rare SIFO. Al centro delle sue riflessioni, il ruolo centrale del farmacista ospedaliero nella continuità terapeutica ospedale-territorio.
Gli obiettivi: implementazione del numero di PDTA, redazione di un prontuario specifico per le malattie rare, redazione di Standard Operating Procedure (SOP) interne a ogni ospedale, per tipologia di malattia rara, e supporto al clinico (gara regionale di medicinali, dispositivi e alimenti speciali).
Un altro importante ambito in cui il farmacista è coinvolto in prima persona è quello della galenica sterile e non sterile. “Non è raro che, per motivi economici, l’azienda produttrice decida di cessare la commercializzazione di un farmaco, oppure che una formulazione farmaceutica non sia adatta per la somministrazione in una determinata situazione clinica, ad esempio per un dosaggio troppo basso o per la somministrazione per Gastrostomia Endoscopica Percutanea (PEG) – ha detto -. Nell’ambito della galenica non sterile, i preparati che vengono richiesti più di frequente sono antiaritmici o antiipertensivi in capsule o sospensione, colliri di ciclosporina e tacrolimus, levotiroxina, l-citrullina, acido chenodesossicolico, riboflavina sospensione orale, idebenone capsuole o ubidecarenone capsule. I dosaggi di tali preparazioni sono personalizzati, costituendo un ulteriore vantaggio in termini di compliance del paziente”.
Annamaria De Luca, professore Ordinario Dipartimento di Farmacia – Scienze del Farmaco all’Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari, coordinatrice del gruppo di lavoro malattie rare e farmaci orfani della Società Italiana di Farmacologia Clinica, si è concentrata sulla possibilità di ridurre il rischio nella ricerca pre-clinica: “Come sappiamo, una volta arrivati alla fase clinica molti farmaci orfani falliscono. Questa è avvertita come un’enorme perdita per il colossale bisogno medico, ma anche come spreco di tempo e risorse, ne è avvertita la frustrazione da parte degli stakeholder e porta anche a esporre i pazienti a farmaci che possono essere inefficaci e a eventuali tossicità. In altri casi, il farmaco è approvato con scarse evidenze”.
De Luca ha quindi illustrato alcuni esempi di come sia possibile intervenire per arrivare al paziente con maggiore consapevolezza sulla “clinical promise” di nuove potenziali terapie. Le conclusioni: “È necessario prestare attenzione alla qualità dei dati preclinici prima di passare alla fase clinica; devono essere implementati studi orientati alla clinica, per arginare la traslazione precoce e ridurre il rischio di fallimento; comitati multidisciplinari indipendenti di esperti come il Treat Nmd Advisory Board for Therapeutics (TACT) possono colmare le lacune nella corretta conoscenza del rischio e aiutare i piani decisionali a orientarsi secondo un percorso realistico; infine un ampio consenso nella comunità delle malattie rare sulle strategie di riduzione del rischio può aiutare la ricerca e sviluppo e l’Health Technology Assessment (HTA)”.
Giovanna Scroccaro, direttrice della Direzione Farmaceutico, protesica, dispositivi medici della Regione Veneto e presidente del Comitato prezzi e rimborso (CPR) dell’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), è intervenuta per commentare la riduzione dei tempi di approvazione dei farmaci da parte dell’Agenzia stessa: “Credo sia doveroso continuare su questa strada, per garantire l’approvazione dei farmaci in tempi certi. Tengo a ricordare che la velocità con cui si chiude la negoziazione di un farmaco è fortemente collegata alla volontà di accettazione da parte dell’azienda proponente del prezzo proposto dal CPR: nel caso in cui si osservi un irrigidimento, che può verificarsi da entrambe le parti, i tempi sono decisamente più lunghi. Invito quindi le aziende farmaceutiche a valutare attentamente il rapporto della Commissione consultiva tecnico-scientifica (CTS) da cui è possibile capire il prezzo che sarà individuato. Ma invito anche le associazioni di pazienti a farsi portavoce non solo dell’obiettivo, giusto, di avere un farmaco nel più breve tempo possibile, ma anche di richiedere alle aziende farmaceutiche che il prezzo sia equo, al fine di garantire un maggior accesso da parte dei cittadini e una maggiore sostenibilità generale, che a sua volta determina un più celere accesso per successivi farmaci”.
L’impatto della pandemia sui pazienti
La pandemia ha colpito tutti, con un impatto maggiore sulle categorie più fragili: gli anziani e le persone affette da patologie pregresse, e tra questi senza dubbio vi sono i malati rari. Eppure, nonostante i gravi disagi patiti dalla rete ospedaliera le Regioni sono riuscite a dare una risposta straordinaria attraverso un aumento dei servizi sul territorio e in modo particolare dell’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI). Questo è quanto risulta dai dati raccolti attraverso una survey condotta su 15 regioni del Tavolo Tecnico Interregionale Malattie Rare e dall’analisi dei database amministrativi della Regione Lombardia, che costituiscono parte del 5° Rapporto OSSFOR.
Dai dati di un’indagine condotta su 15 regioni e dall’analisi dei database amministrativi della Regione Lombardia emerge che le regioni hanno risposto ai disagi della rete ospedaliera con un impegno straordinario nei servizi territoriali e domiciliari
L’incremento di ricorso all’ADI è ampiamente illustrato nel capitolo “L’Assistenza domiciliare ai malati rari in Italia” condotta dal Tavolo Tecnico Interregionale Malattie Rare presso la Commissione Salute, partner del lavoro svolto da OSSFOR nel 2021. La rilevazione è stata fatta attraverso il monitoraggio di 45.433.594 milioni di abitanti (76,2% della popolazione) e consente di fare un raffronto tra il 2019 e il 2020, e quindi prima e durante la pandemia. Ne emerge che nel 2020, su 320.101 soggetti registrati come malati rari, 10.762 hanno ricevuto un’assistenza domiciliare integrata e tale dato risulta in crescita rispetto al periodo pre-pandemico quando tale cifra era pari a 9.661 soggetti. I malati rari seguiti in ADI rappresentano l’1,6% del totale dei pazienti a cui l’ADI viene garantita. Del totale dei malati rari, il 3,4% riceve assistenza domiciliare, valore in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto al 2019.
“Questo dimostra come, nonostante il momento drammatico ed emergenziale, i malati rari non siano stati abbandonati a sé stessi – ha spiegato nel corso della presentazione la professoressa Paola Facchin, coordinatrice del Tavolo Interregionale Malattie Rare – Commissione Salute Conferenza delle Regioni –. Le Regioni, nonostante la limitazione all’accesso a strutture anche ambulatoriali gestite dagli ospedali, infatti, hanno messo in campo organizzazioni alternative alle tradizionali per permettere la continuità assistenziale, specie ai malati cronici e complessi o comunque in situazione di gravità. Questo ha portato un rinnovato interesse all’organizzazione territoriale e una accelerazione nell’utilizzo delle modalità di teleassistenza, di assistenza domiciliare, fino alla distribuzione di prodotti per trattamenti che non potevano essere sospesi né approvvigionati direttamente dalle farmacie aperte al pubblico”.
Non si vuol negare che i malati rari abbiano subito, come tutte le persone fragili, gli impatti della pandemia, precisano gli estensori del documento. Tale impatto trova infatti riscontro anche nell’analisi condotta sui database amministrativi della Regione Lombardia che mostrano un calo del 2,8% della prevalenza delle persone con malattia rara tra il 2019 e il 2020 e una contrazione della spesa sanitaria pro capite del -6,9%. Tale contrazione della spesa risulta essere relativa nell’ordine a una riduzione di spesa per ricoveri ordinari (-3 punti percentuali rispetto al 2019), “altre prestazioni” (-1,6 punti percentuali), ricoveri in Day Hospital (-0,5 punti percentuali) e analisi di laboratorio (-0,2 punti percentuali). In crescita rispetto all’anno precedente solamente la spesa per farmaci (+5 punti percentuali) e per protesi ed ausili (+0,3 punti percentuali). Due dati che sono certamente legati tra loro.
La diminuzione della prevalenza dei pazienti potrebbe essere legata a diversi fattori concomitanti: da una parte la maggiore mortalità di questi pazienti, che trova la sua ratio nella maggiore mortalità generale dei soggetti ‘fragili’, e dall’altra parte ad un probabile rallentamento degli iter di diagnosi, per il rinvio di esami di laboratorio e strumentali finalizzati o anche per il rallentamento di tutti gli iter burocratici necessari ad arrivare all’esenzione per malattia rara, o ancora legati ad una ridotto afflusso verso gli uffici amministrativi durante i periodi di lockdown.
Senza dubbio il mix di tutte queste cause merita un ulteriore approfondimento: Regione Lombardia e OSSFOR sono già in accordo per condurre questa ulteriore analisi nei prossimi mesi.
“È chiaro che tutta l’attività di assistenza domiciliare va potenziata e sviluppata ma i passi avanti e gli sforzi straordinari fatti in quest’anno dalle Regioni sono innegabili”
“È chiaro che tutta l’attività di assistenza domiciliare va potenziata e sviluppata – ha commentato Francesco Macchia – ma i passi avanti e gli sforzi straordinari fatti in quest’anno dalle Regioni sono innegabili. Questo momento storico in cui si sta pensando alla riorganizzazione e al nuovo modello di cure territoriali, anche grazie ai progetti che saranno legati al PNRR, rappresenta un’importante occasione da sfruttare anche tenendo ben presenti le particolari necessità dei malati rari e che non dimentichi anche l’importanza di una reale integrazione tra il livello sanitario e quello sociale”.
Le cinque proposte per l’uso del PNRR
“Facendo un confronto con le elaborazioni degli anni passati, si conferma la loro attendibilità – Barbara Polistena, Responsabile Scientifica e Consigliera di Amministrazione Crea Sanità – questo dovrebbe ormai consentire di fare una programmazione, della spesa e dei carichi assistenziali, sempre più precisa e gestibile: le malattie rare non possono più essere, dal punto di vista delle politiche sanitarie, qualcosa di inatteso e difficilmente gestibile”.
Le malattie rare non possono più essere, dal punto di vista delle politiche sanitarie, qualcosa di inatteso e difficilmente gestibile
Il quinto Rapporto OSSFOR viene pubblicato in un momento topico per la Società italiana e, in particolare per il mondo delle malattie rare: la pandemia di Covid-19, non ancora definitivamente vinta, ha messo a dura prova il SSN e l’Economia italiana, e lascerà strascichi rilevanti. Oltre ai 130.000 morti (e più) attribuibili al Covid-19, estrapolando le prime stime dell’Istat sull’eccesso di mortalità 2020, si evidenzia un ulteriore eccesso di 50/60.000 morti per altre cause (al netto, quindi, delle morti per Covid-19), la cui eziologia è ancora da chiarire completamente, ma è certamente da attribuire anche al “blocco” di fatto dell’assistenza alle “altre” patologie: ritardi di diagnosi e (almeno) posticipazione di controlli, hanno arrecato un danno ancora difficilmente quantificabile.
A questi costi non si sottrae il mondo delle malattie rare, ed anzi è presumibile che sia stato uno degli ambiti maggiormente colpiti, sia perché è, di per sé, caratterizzato da problemi di (ritardo di) diagnosi; sia perché in questo ambito sono vitali i controlli e l’assistenza domiciliare e sociale a pazienti che spesso sono disabili e non autosufficienti.
Le evidenze del Rapporto confermano, dai dati elaborati sui database amministrativi della Lombardia, la rilevanza dell’impatto del Covid-19 sui “malati rari”: la diminuzione nel 2020 della prevalenza rispetto all’anno precedente, come anche la ancor maggior contrazione dei costi di cura e assistenza, fanno paventare un forte impatto, anche in termini di vite, della pandemia sui “malati rari”.
Per evitare che i “malati rari” rischino di essere ulteriormente penalizzati, per effetto di un minore accesso alle conseguenze “benefiche” della pandemia, in primis gli investimenti del PNRR, il Rapporto ne ha analizzato i contenuti, elaborando indicazioni sugli investimenti che potrebbero favorire il mondo delle malattie rare.
Le malattie rare, nel PNRR, sono citate soltanto nella linea di investimento denominata “Valorizzazione e potenziamento della ricerca biomedica del SSN”: in complesso € 520 miliardi, di cui certamente € 200 miliardi (poco meno del 40%) per malattie e tumori rari, da spendere fra il 2023 e il 2025 dopo avere espletato le relative gare.
Si tratta, sottolinea il Rapporto, di una somma significativa sebbene non sembri tale da poter essere risolutiva nel rilancio della ricerca biomedica nel settore; e, in ogni caso, per spendere le cifre previste, nei tempi previsti, stante la complessità di gestione delle gare che caratterizza il settore pubblico, sarà opportuno prevedere procedure semplificate, sulla scorta della esperienza delle procedure in deroga messe in campo durante la pandemia, promuovendo altresì una maggiore partecipazione del mondo delle malattie rare (professionisti e pazienti in primo luogo) e della rappresentanza civica nella valutazione dei progetti; infine, prevedere meccanismi premiali per le partnership pubblico-privato che, nel settore della ricerca, hanno il duplice merito (almeno potenziale) di promuovere
un effetto leva finanziaria e di “garantire” l’effettiva capacità traslazionale della ricerca.
In base a quanto emerso dal rapporto, insomma, il quadro generale delle malattie rare ha delle tinte sempre più definite ed è ora possibile pensare alla programmazione del futuro, a partire dall’impiego delle risorse del PNRR lungo linee progettuali che siano davvero in grado di produrre effetti reali e positivi. Ecco come:
1. Per quanto riguarda lo sviluppo del Fascicolo Sanitario Elettronico, si propone di considerare una integrazione che lo renda sempre più un omnicomprensivo, includendo indicazioni per la gestione dell’emergenza nonché il piano terapeutico del paziente “raro”.
Questo potrebbe anche renderei il Piano Terapeutico Individuale automaticamente autorizzativo e contribuire a snellire la burocrazia a carico delle famiglie. Il FSE dovrebbe insomma diventare sempre più “individualizzato” e poter dire più cose possibili su tutto il percorso del paziente.
Il Fascicolo Sanitario Elettronico dovrebbe diventare sempre più “individualizzato” e poter dire più cose possibili su tutto il percorso del paziente
2. Ai fini di una migliore programmazione nazionale e regionale si propone di fare un utilizzo puntuale dei dati, ormai molto completi, contenuti nei database e nei registri regionali, mettendoli tutti in comunicazione tra loro ed evitando di costruire nuove sovrastrutture a sé stanti.
3. Per quanto riguarda l’utilizzo dei Fondi individuati nel PNRR per la ricerca, che dovranno essere allocati tramite gare, la richiesta è quella di prevedere delle procedure semplificate, sulla scorta della esperienza delle procedure in deroga messe in campo durante la pandemia, affinché questi fondi possano essere utilizzati entro il 2025 in modo efficiente e tempestivo.
A tal fine sarebbe anche utile promuovere una maggiore partecipazione del mondo delle malattie rare (professionisti e pazienti in primo luogo) e della rappresentanza civica nella valutazione dei progetti. In modo particolare per la ricerca, ma in generale per l’attuazione della maggior parte dei progetti, si fa notare che non sono previste misure di integrazione tra pubblico e privato, che invece genererebbero un effetto leva finanziaria e garantirebbero sulle reali prospettive di “rendimento” degli investimenti.
4. Una particolare attenzione è posta dal Rapporto al tema dell’Assistenza Domiciliare. Se l’obiettivo è quello di mantenere le persone per quanto più possibile in una condizione di autonomia, e quindi al di fuori dell’ospedale, è necessario rendere l’assistenza domiciliare sempre più forte – seguendo il trend cominciato con la pandemia – e magari far sì che anche il domicilio venga adeguato alle esigenze, anche attingendo ai fondi per l’edilizia stabiliti dal PNRR, sia per l’adeguamento delle private abitazioni che per la costruzione di spazi di housing sociale. Questo però prevede che vi sia fin dall’inizio la volontà e capacità di mettere insieme interventi di tipo sociale (missione 5) e sanitario (missione 6). Connesso all’assistenza domiciliare è il tema del potenziamento del teleconsulto in funzione della continuità assistenziale, l’integrazione dei servizi di prossimità con il monitoraggio dei Centri di riferimento e anche qui l’integrazione tra pubblico e privato.
5. Grazie al PNRR sarebbe poi possibile anche procedere ad un adeguamento del parco tecnologico sia prevedendo l’acquisto di attrezzature per le Advanced Therapies e comunque di altissima specialità, che di attrezzature “mobili” oltre che sviluppare la telemedicina e le pratiche di teleconsulto, che a questo punto dovrebbero anche diventare una voce di rilievo nei PDTA.
PNRR e malattie rare: prospettive
Al tema delle malattie rare in relazione alle opportunità del PNRR è stata dedicata la tavola rotonda conclusiva dell’evento di presentazione del rapporto. Tra i partecipanti Paola Binetti, Presidente Intergruppo Parlamentare per le Malattie Rare, che, in relazione all’implementazione delle Case della Comunità previste dal Piano, ha dichiarato: “Ancora oggi possiamo dire che i malati rari trovano risposta ai loro bisogni esclusivamente nel centro di riferimento di eccellenza cui si rivolgono: manca al momento una cintura di trasmissione fatta di competenze e servizi resi ai pazienti”.
La senatrice ha inoltre affrontato il nodo dei farmaci: “È molto importante il lavoro svolto dalla Farmacia ospedaliera quando consegna al paziente dimesso le medicine in modo che non debba andare incontro a vuoti di prescrizione, ma poi vogliamo che si trovi la dimensione della maggiore prossimità possibile: non possiamo pensare che necessariamente la Farmacia ospedaliera rappresenti l’unico modo di approvvigionarsi dei farmaci di cui si ha bisogno. Serve un ripensamento della filiera dell’assistenza, da prevedere quando si andranno a scrivere i PDTA ma anche il Piano nazionale delle malattie rare: questi obiettivi intermedi vanno esplicitati”.
Tiziana Nicoletti, responsabile Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici (CNAMC) di Cittadinanzattiva, ha affermato: “È fondamentale da parte delle organizzazioni civiche e dalle associazioni dei pazienti monitorare la ‘messa a terra’ di quanto previsto nel PNRR. Quanto al contenuto, ci chiediamo: si parla di 1.350 Case della Comunità che dovranno essere realizzate, ma dove? Non dimentichiamo che il nostro territorio è lungo e stretto, non dimentichiamoci le aree interne e che le malattie rare hanno una bassa incidenza: serve dare la possibilità a tutti i pazienti di accedere a queste strutture. Inoltre si è parlato tanto di ADI. Sappiamo benissimo quanto nel corso degli anni, anche prima della pandemia, sia stata penalizzata. Se vogliamo far fronte alle difficoltà emerse in modo ancora più evidente con l’avvento del Covid, è necessario pensare anche alle carenze di personale: servono medici di medicina generale, infermieri e le altre figure professionali che lavorano sul territorio. Sappiamo quanto sia difficile arrivare a una diagnosi, ma come si fa se non ci sono le persone e non sono formate per andare a cogliere insieme ai pazienti i primi sintomi?”.
Infine, ha sottolineato Nicoletti, prima che ci sia una reale ricaduta dai fondi del PNRR ci vorrà del tempo: “Passeranno anni. Ma nel frattempo ci sono pazienti che hanno bisogno di diagnosi e di cure. Non vorrei che la diminuzione evidenziata dal Rapporto fosse legata all’impossibilità per molti cittadini di avere una diagnosi”.
Paolo Ursillo, Dirigente Medico, Ufficio Monitoraggio Performance Sanitarie dell’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (AGENAS), conclude: “Nel panorama nazionale, è evidente come le regioni, seppur nella diversità, riescano a dare risposte pronte alle domande di sanità pubblica. Il PNRR è una grande opportunità che non va sprecata perché può far fare un salto avanti di decenni al sistema sanitario. Questo vale soprattutto per la digitalizzazione e il passaggio a processi totalmente digitali: non si tratta solo di informatizzare qualcosa che oggi è cartaceo, ma di arrivare ad avere banche dati che si parlano e che con i dati disponibili si possano fare attività di monitoraggio, individuazione dei fabbisogni e in definitiva offrire servizi migliori ai cittadini”.