Un coordinamento centrale, con regole precise, uniche, con tassonomie univoche e codifiche chiare per tutti. Documenti e dati computabili. Utilizzo di Clinical Data Repository, che sono un po’ come la data warehouse. Compilazione automatica o quasi, perché i medici non possono passare il 50% del loro tempo a redigere report.
Pochi passi, per niente facili ma fattibili, per provare a far ripartire il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) in tempo per realizzare gli obbiettivi del Pnrr, senza dover rifare da capo tutto.
Perché il 2021 è forse stanno l’anno più felice di questo strumento che non era mai stato così tanto utilizzato da medici e pazienti. I motivi sono diversi, ma tanto (o poco) basta per far capire che il potenziale c’è, anche se non si vede.
Di questo e molto altro si è parlato nella Live dello scorso 5 ottobre insieme agli esperti: Mauro Grigioni, responsabile del Centro Nazionale Tecnologie Innovative in Sanità Pubblica dell’Istituto Superiore di Sanità, e Fabrizio Massimo Ferrara, coordinatore scientifico del Laboratorio sui sistemi informativi sanitari di ALTEMS, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.
Dieci anni e non sentirli
Il prossimo anno il FSE spegne le sue prime dieci candeline. Ma a quasi due lustri dalla sua nascita, questo strumento ancora non ha dato i frutti sperati e non ha ancora dimostrato pienamente la sua utilità. Ci sono tanti fascicoli regionali e ogni sistema è un mondo a parte, senza contare che di per sé il Fascicolo Sanitario Elettronico è uno strumento ancora poco utilizzato in generale: secondo alcune analisi dell’Osservatorio dell’Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano, nel 2020 solo il 38% della popolazione ne ha sentito parlare e solo il 12% è consapevole di averlo utilizzato.
Il Pnrr (Piano nazionale di ripartenza e resilienza) assegna delle risorse per il potenziamento del fascicolo sanitario elettronico, ma quello di cui di discute oggi è se continuare a investire in una tecnologia nata obsoleta o ripartire da zero.
Il potenziale del FSE
Un fascicolo sanitario elettronico efficiente è essenziale per seguire le evoluzioni dei modelli assistenziali che la pandemia ha accelerato, modelli in cui il paziente è gestito da diversi attori (ospedalieri e territoriali), ognuno con il suo proprio sistema informativo.
E con l’utilizzo della telemedicina, esploso durante la pandemia, poter contare su una piattaforma unica dei dati consentirebbe di conoscere in tempo reale la storia longitudinale del paziente e intervenire in modo più appropriato non solo nel normale percorso di cura, ma anche durante le emergenze.
Sono trascorsi quasi 10 anni dalla nascita del FSE, ma i passi in avanti sono stati davvero pochi e fino allo scoppio della pandemia è stato sottoutilizzato, sia da medici sia da pazienti: “Con l’emergenza sanitaria c’è stata un’accelerazione dell’utilizzo del fascicolo sanitario elettronico per la necessità di scambiare dati nell’era Covid – ha spiegato Grigioni – però per il Desi (Digital economy and society index), l’Italia si trova in fondo alla lista, soprattutto per quello che riguarda le competenze digitali della cittadinanza. Ma ci sono altri problemi. Il FSE nasce per raccogliere documenti e dati, però si è sviluppato di più il primo dei due aspetti, e basandosi su documenti tipo pdf. Le analisi cliniche sono costituite da numeri, ma se questi numeri non sono dati computabili, si perde una funzionalità importante del FSE. Per questa funzionalità importante sia la comunità europea sia il G7 Health stanno facendo molto per ricostruire i documenti in formato strutturale in modo da permettere la computabilità dei dati inseriti.”
Un fascicolo sanitario elettronico efficiente è essenziale per seguire le evoluzioni dei modelli assistenziali che la pandemia ha accelerato
Oggi stiamo assistendo a un uso del FSE mai visto prima: se prima della pandemia lo usavamo solo per leggere i referti, oggi ci troviamo altri servizi digitali, come il Green pass o la possibilità di prenotare visite. Ed ecco perché negli ultimi mesi l’uso di questo strumento è aumentato drasticamente.
Secondo gli ultimi dati di monitoraggio, l’FSE è stato attivato praticamente in tutte le Regioni italiane. Quattro di queste (Abruzzo, Calabria, Campania e Sicilia) sono in regime di sussidiarietà, vale a dire che, non avendo sviluppato completamente proprie soluzioni, hanno servizi attivi di FSE presso l’Infrastruttura Nazionale di Interoperabilità.
“Le regioni più virtuose, per quanto riguarda i numeri di referti inseriti nel fascicolo sanitario, sono Veneto e Lombardia – sottolinea Ferrara – però anche qui, se andiamo a vedere quanti referti sono stati registrati in proporzione alla popolazione gestita, i numeri sono bassi. Il Lazio invece, per esempio, è un po’ indietro sullo sviluppo del fascicolo sanitario elettronico. C’è un’estrema frammentazione delle informazioni, senza contare che, se è vero che negli ultimi mesi il FSE è stato usato molte volte, lo si è fatto soprattutto per scaricare il Green Pass”.
FSE e digitalizzazione del ciclo prescrittivo
Il secondo tema della Live si è incentrato sulla digitalizzazione del ciclo prescrittivo, che in questi mesi di pandemia è stato rivoluzionato: basti pensare alla ricetta dematerializzata che ha ricevuto un fortissimo impulso fin dalle prime ordinanze della protezione civile.
Ci si chiede se tutto questo rimarrà anche una volta passata l’emergenza sanitaria: “La dematerializzazione – prosegue Grigioni – ha permesso una gestione dell’assistenza sanitaria più efficiente, che si è tradotta in un risparmio di tempo per le amministrazioni, riguardo ai costi e alla mobilità; sotto gli aspetti socio-sanitari, è stata utile per esempio per i pazienti cronici e per quelli cronici allettati, perché non sempre chi se ne prende cura può recarsi dal medico a ritirare la ricetta. Credo che per certe categorie di pazienti la ricetta dematerializzata dovrebbe rimanere anche dopo la pandemia, ma non so se rimarrà per tutti, c’è sempre stata una certa viscosità da parte di alcuni attori del SSN ad accettare questo strumento, forse per pigrizia. La pandemia ha permesso di superare certe resistenze”.
FSE: una questione di interoperabilità?
I problemi del FSE non riguardano solo la struttura prettamente documentale e non computabile, oppure la tassonomia eterogenea (molti medici e app nominano una stessa prestazione in modo diverso) ma anche la scarsa possibilità di condividere le informazioni che contiene. Parliamo dell’ormai popolare (per quante volte si nomina, non per l’efficienza) bassa interoperabilità dei sistemi informativi del SSN. Una carenza ormai sistemica.
L’FSE è un documento individuale ma non è utilizzabile per supportare l’evoluzione dei processi prevista dal PNRR
L’FSE è un documento individuale, serve per l’analisi complessiva del paziente (per evitare che il paziente per esempio vada in giro con tanti cartacei), ma non è utilizzabile per supportare i processi di cui parla il PNRR, dove si parla di percorso assistenziale, di collaborazioni tra diverse parti e continuità territoriale. Senza contare che al momento è compilabile anche dal paziente stesso: “Nel FSE – riprende Ferrara – ad esempio il gruppo sanguigno lo posso scrivere io come paziente, senza nessun controllo e questo è un problema se occorre fare una trasfusione. Il sistema va quindi ripensato anche in questo aspetto.”
Accanto al FSE servirebbe quindi una piattaforma di dati per offrire due visioni: una visione che orienti il paziente (il FSE) e una più granulare (la piattaforma) che permetta, per esempio, di elaborare il grafico delle glicemie o di altri parametri, in modo che il medico sappia quello che sta succedendo e il paziente sappia che terapie seguire e quali ha già seguito.
Il Clinical Data Repository è una possibile risposta
Fabrizio Massimo Ferrara più volte in questi mesi ha proposto di usare questo strumento per agevolare l’interoperabilità dei sistemi informativi. È utile per tracciare in modo strutturato il percorso del paziente in modo trasversale agli episodi assistenziali e può lavorare su applicazioni open access non proprietarie, in modo da avere un pieno controllo dei dati e non dipendere dai fornitori; inoltre è un sistema che si può attivare già da subito, ma deve evolvere nel tempo, secondo una strategia di governo dati, definita a livello aziendale, regionale e poi nazionale.
“Il Clinical Data Repository – ha ripreso Ferrara – è un modo per rendere operabile una piattaforma di dati, (alla pari di quello che si fa con i data warehouse) e si può fare già adesso, esistono standard e strumenti open source per implementarlo. Cerchiamo di integrare questi dati come si fa con i data warehouse. Una volta che abbiamo ogni azienda con data warehouse compatibile con quello delle altre aziende, da una parte possiamo popolare il fascicolo sanitario elettronico perché ogni azienda ha una sola interfaccia con FSE, dall’altra parte abbiamo piattaforme di dati utili per seguire il percorso del paziente. Un’azienda sanitaria locale ha applicato questa strategia a fine 2019 e nel capitolato di gara ha aggiunto tre semplici righe: obbligare tutte le app a conferire dati al Clinical Data Repository dell’azienda. Quindi è qualcosa che si può già fare. Adesso.”
Chi deve compilare il Fascicolo Sanitario Elettronico?
Da più parti ci si chiede chi debba popolare il FSE, di chi sia la responsabilità di inserire tutte le informazioni. Può essere compilato in teoria da qualsiasi medico, ma come hanno sottolineato più volte i relatori, occorre introdurre degli automatismi di compilazione perché non ci si può aspettare che i medici compilino a mano ogni singolo dettaglio o che, peggio, si faccia un copia incolla della cartella clinica nel fascicolo sanitario elettronico, perché sono due strumenti completamente diversi, da usare per scopi diversi.
La responsabilità della compilazione non può nemmeno essere affidata al produttore del dispositivo medico, a cui semmai si può chiedere che il device alimenti il Clinical Data Repository dell’azienda sanitaria, ma la compilazione del FSE deve essere gestita a livello di azienda e deve essere il più automatizzata possibile.
Da dove si può ripartire per avere un FSE efficiente?
Grandi potenzialità ma anche gradi problematiche. È uno strumento prezioso il FSE ma poco funzionale, al momento, soprattutto alla luce degli obbiettivi che pone il PNRR. E quelli che si pone “Italia digitale” entro il 2026: estendere l’uso digitale ad almeno al 70% della popolazione, portare almeno il 75% delle pubbliche amministrazioni ad utilizzare servizi in cloud, raggiungere almeno l’80% di servizi pubblici essenziali online ed estendere al 100% delle famiglie e delle imprese italiane le reti a banda larga. Sono forse ambizioni troppo ambiziose?
“Parlo per l’esperienza della telemedicina che sto monitorando da vicino – ha commentato Ferrara – e posso dire che se lo strumento è di facile utilizzo, il paziente lo sa usare: per esempio la televisita viene effettuata in videocall con uno smartphone e alcune aziende si stanno attrezzando per permettere al lavoratore di non assentarsi dall’ufficio, consentendogli di fare la televisita in locali attrezzati sul posto di lavoro. Bisogna andare in questa direzione, sensibilizzando e diffondendo la cultura della digitalizzazione”.
Facilità di utilizzo, diffusione della cultura della digitalizzazione e dati computabili sono gli elementi chiave per favorire un’evoluzione efficiente del FSE
E come ha sottolineato Grigioni, per quanto riguarda in particolare il FSE: “Bisogna partire da una semplice considerazione: le tecnologie nate ieri sono già vecchie rispetto a quelle che nasceranno domani. Il Ministero della Salute e lo stesso FSE stanno spingendo verso l’interoperabilità e verso l’uso di documenti strutturati in modo che questi dati siano computabili, perché in questo modo su di essi possano essere fatti dei calcoli, fare delle medie, creare modelli e un domani usare l’intelligenza artificiale. Questo oggi non possiamo farlo. Prendiamo la legge 104 per le disabilità: quando è stato necessario capire chi vaccinare con priorità contro la COVID, non è stato facile, perché ogni database aveva criteri diversi per individuare la popolazione fragile. Con un FSE efficiente questi dati si sarebbero potuti ottenere in tempo reale. Ed è una cosa che si può fare. Perché è stato fatto: durante l’emergenza sanitaria, alcune regioni hanno comprato licenze software o si sono costruite dashboard per analizzare i dati dei territori (contagi, quarantene, etc..) saltando a piè pari la struttura tradizionale del SSN, perché c’era bisogno di avere certe informazioni subito. Questo è stato fatto a livello locale e regionale e due regioni sono riuscite a passare queste informazioni nei rispettivi FSE. Lo hanno fatto in meno di un mese”.
Per fare però un lavoro ben strutturato, occorre una visione centrale (Ministeriale o a livello di Istituto Superiore di Sanità) che coordini, dia regole, formati, codifiche, tassonomie. Non ci possono essere 21 sistemi diversi, con regole diverse.
Non ci possono essere 21 sistemi diversi, con regole diverse
Perché, come ricorda l’esperto dell’ISS, la tecnologia corre e a breve non si useranno più solo i cloud per gestire i dati ma anche l’Edge Computing, che ne rappresenta in un certo senso l’evoluzione: si tratta di un’architettura IT aperta, predisposta per le tecnologie di mobile computing e Internet of Things (IoT). Nell’Edge Computing, i dati sono elaborati dal dispositivo stesso o da un computer o server locale, invece di essere trasmessi al data center. L’Unione europea è molto attiva su questo fronte e queste tecnologie sono destinate a cambiare la gestione dei dati anche qui in casa nostra, soprattutto a livello locale.
Come dice Ferrara, i dati restano, le tecnologie cambiano, quindi piuttosto che rimanere ancorati a una tecnologia che domani è già vecchia, occorre sviluppare un sistema informativo, un fascicolo sanitario elettronico, che sappia adattarsi alle logiche digitali del momento. E in tempi ragionevoli.