A pochi giorni dalla Giornata Mondiale delle Malattie Rare, Fondazione Telethon ha annunciato i 35 vincitori del primo round del bando aperto a ricercatori attivi sull’intero territorio nazionale, che vede un totale di 5 milioni e 270mila euro assegnati, raccolti grazie alla generosità dei donatori italiani: nuova linfa per la ricerca al servizio delle malattie rare.
Ne parliamo con la professoressa Enrica Boda del Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi (NICO) – Università di Torino, tra i tre vincitori in Piemonte del bando, che studierà la microcefalia primaria autosomica recessiva 17 (MCPH17), una microcefalia congenita causata da mutazioni nel gene CIT. I pazienti che raggiungono le età più avanzate mostrano epilessia e disabilità intellettiva. Il team di ricerca guidato da Boda – nella foto con i due dottorandi Maryam Ardakani e Martino Bonato – si propone di indagare il contributo delle alterazioni della sostanza bianca nella patologia e proporre una nuova opzione terapeutica per i pazienti con MCPH17.
Quanto e perché è importante l’impegno della ricerca sulle malattie genetiche rare?
La maggior parte delle malattie genetiche rare sono “orfane” di conoscenza e di trattamenti
Le patologie rare sono malattie che colpiscono meno di una persona ogni 2.000, prese singolarmente non sono statisticamente rilevanti e sono perciò spesso trascurate dai grandi investimenti pubblici e delle industrie farmaceutiche, che si concentrano invece sulle patologie più diffuse nella popolazione. La maggior parte delle malattie genetiche rare sono quindi “orfane” di conoscenza e di trattamenti. Sostenere la ricerca biomedica sulle malattie genetiche rare è fondamentale per eseguire diagnosi corrette, capire le basi patogenetiche di queste malattie e sviluppare trattamenti e cure che in questo momento non sono disponibili.
Qual è a suo parere la situazione della ricerca in Italia? È sufficientemente sostenuta?
La ricerca in generale, e in particolare la ricerca di base, è finanziata poco e in modo discontinuo dallo Stato
In ambito accademico e nei centri di ricerca pubblici, la ricerca in generale, e in particolare la ricerca di base, è finanziata poco e in modo discontinuo dallo Stato. L’insufficienza del finanziamento pubblico è inasprita dai costi della ricerca, che sono aumentati molto negli ultimi 10 anni, sia in relazione ai costi di nuove tecnologie – che non ci si può esimere da utilizzare se si vuole essere competitivi nel proprio campo e puntare davvero a dare delle risposte ai quesiti scientifici che sono ancora aperti – sia in relazione alla doverosa necessità di retribuire in modo dignitoso e adeguato le persone che lavorano nei nostri laboratori.
Detto questo, almeno in alcuni campi, come quello delle patologie genetiche rare o della ricerca in campo oncologico, in Italia esistono charities che sostengono in modo determinante e continuo la ricerca biomedica e la traslazione delle conoscenze prodotte nei laboratori in un miglioramento delle capacità diagnostiche e di cura. Penso ad esempio a Telethon, alla Fondazione Veronesi o ad AIRC, ma anche ad associazioni e fondazioni più piccole che si basano su donazioni di privati. L’impegno di queste realtà non si esaurisce solo nel finanziamento della ricerca, ma si estende anche alla collaborazione con le Istituzioni, com’è avvenuto ad esempio per la stesura del Piano Nazionale Malattie Rare, che è stato approvato recentemente.
Com’è nato e in cosa consiste il progetto con cui ha vinto il bando Telethon?
Il progetto che riceverà il finanziamento Telethon nasce da uno studio che portiamo avanti da alcuni anni in collaborazione con il gruppo di ricerca del Prof. Ferdinando Di Cunto, che è stato il primo ricercatore a Torino a studiare il ruolo delle proteine codificate da CIT, il gene le cui mutazioni sono associate ad una patologia del neurosviluppo, la microcefalia primaria autosomica recessiva 17 o microcefalia 17 (MCPH17). A seconda del tipo di mutazione, i pazienti mostrano alterazioni neuroanatomiche che possono risultare in mortalità precoce, un grado variabile di disabilità intellettiva e, in una frazione dei pazienti, in epilessia.
In questo momento, non esiste cura per i pazienti MCPH17 e le uniche strategie di trattamento proposto si basano sulla fisioterapia, la terapia del linguaggio e la terapia occupazionale. Si dà per scontato che la MCPH17 e le sue manifestazioni siano attribuibili unicamente ad una mancata produzione di neuroni durante lo sviluppo in utero, ultimato il quale “non ci sia più nulla da fare” per correggere i difetti neuroanatomici o favorire un più corretto sviluppo dei circuiti nervosi. Coerentemente con questa idea, fino ad ora la ricerca sulla MCPH17 si è concentrata esclusivamente sui difetti dei precursori neuronali e dei neuroni associati alle mutazioni del gene CIT.
Tuttavia, in uno studio che abbiamo recentemente pubblicato su Nature Communications, abbiamo osservato alterazioni significative anche in cellule non neuronali, e in particolare negli oligodendrociti, le cellule che producono la mielina intorno gli assoni dei neuroni, nel cervello di pazienti MCPH17 e di modelli della patologia.
Abbiamo anche dimostrato che le disfunzioni degli oligodendrociti sono indipendenti dai difetti neuronali e possono contribuire di per sé al difetto cognitivo in topi modello della malattia. Ancora più recentemente, abbiamo anche scoperto che, nonostante non corregga la microcefalia, un trattamento in epoca post-natale con un farmaco anti-ossidante è in grado di correggere almeno in parte le disfunzioni degli oligodendrociti e di ridurre significativamente le manifestazioni epilettiche e i difetti motori nel modello animale della MCPH17.
Quali sono le sue finalità? Quali prospettive apre?
L’obiettivo ultimo è quello di proporre una strategia di trattamento per i pazienti MCPH17
Sulla base di questi risultati, con il finanziamento di Telethon, ci proponiamo di testare una combinazione di approcci sperimentali e farmacologici mirati a correggere le disfunzioni degli oligodendrociti, con l’obiettivo di sostenere la maturazione e la funzione dei circuiti nervosi nei modelli animali di MCPH17. L’obiettivo ultimo è quello di proporre una strategia di trattamento per i pazienti MCPH17. Oltre al gruppo del Prof. Di Cunto, che lavora presso il nostro stesso Istituto, in questo progetto collaboreremo con il gruppo della Dott.ssa Eleonora Vannini dell’Istituto di Neuroscienze del CNR di Pisa.
Qual è il suo augurio per la Giornata delle Malattie Rare?
Il mio augurio è quello che, ad ogni livello – dai cittadini ai policy maker – si estenda la comprensione che la ricerca e i suoi risultati sono un patrimonio collettivo, che deve essere promosso e sostenuto per allargare l’accesso alla diagnosi, alla cura e a una migliore qualità della vita per tutte le persone, con malattie rare e non.