Parità di genere: «Su ricerca ed epidemiologia ecco perché c’è ancora molta strada da fare»

Stato dell’arte della gender equity nella ricerca e nella clinica con Roberta Gualtierotti, professoressa di Medicina Interna all'Università di Milano

Nella scienza con la “S” maiuscola, dove la ricerca clinica e le terapie convergono verso un unico obiettivo, quello di curare le persone, emerge sempre più evidente l’importanza di includere l’analisi di sesso e genere già “by design” ovvero già dall’inizio del processo della ricerca scientifica a diversi livelli: preclinico, epidemiologico e clinico.

Una fotografia dello stato dell’arte della gender equity nella ricerca e nella clinica la scattiamo per TrendSanità dialogando con Roberta Gualtierotti, professoressa associata di Medicina Interna presso il Dipartimento di Fisiopatologia medico chirurgica e dei trapianti all’Università degli Studi di Milano e SC Medicina – Emostasi e Trombosi, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico Milano.

Come si è arrivati a stilare linee di indirizzo per l’applicazione della medicina di genere negli studi preclinici e clinici?

«Il primo passo – spiega Gualtierotti – è stato quello di coinvolgere le società scientifiche riconosciute a livello nazionale e dare poi delle indicazioni su come inserire l’argomento medicina di genere nella stesura delle prossime linee guida».

Su questo va citato il lavoro dell’Osservatorio Medicina di Genere dell’Istituto Superiore di Sanità che, nei primi mesi del 2023, ha reso disponibile un documento curato dal gruppo di lavoro “Ricerca e innovazione” con la collaborazione di esperte professioniste scientifiche denominato «Linee di indirizzo per l’applicazione della Medicina di Genere nella ricerca e negli studi preclinici e clinici» allo scopo di fornire indicazioni e suggerimenti per la stesura di studi e protocolli di ricerca che tengano conto dei determinanti di sesso e genere.

«Un passaggio ulteriore – dice ancora Gualtierotti – è quello compiuto nell’ambito della formazione professionale e dell’insegnamento a vari livelli, compreso quello degli studenti di medicina e delle professioni sanitarie, dove è stata evidenziata la necessità di integrare le competenze sulla medicina di genere nei rispettivi curricula universitari, di specializzazione e di aggiornamento continuo ECM».

Partiamo dagli studi preclinici: il sesso è una variabile che influenza i risultati sperimentali?

Dagli animali usati nelle ricerche allo studio molecolare, dalle condizioni sociali alle linee guida: prendere in considerazione le differenze di genere apre a nuove opportunità di salute

«Quando si parla di studi preclinici non possiamo parlare di genere, ovviamente, perché consideriamo cellule o modelli animali. Nel modello animale per tanti anni il sesso non è stato considerato come una variabile importante e i ricercatori utilizzavano spesso animali di solo sesso maschile, perché è più semplice analizzare dei risultati sperimentali da un solo gruppo e per le femmine è necessario considerare anche la variabile dell’influsso degli ormoni sessuali nelle varie fasi del ciclo mestruale. Anche nel caso di studi su cellule o colture cellulari è molto importante considerare le differenze di sesso, perché in base a quello si possono avere delle risposte biologiche differenti o delle caratteristiche molecolari differenti, non solo quindi a seconda del tipo di linea cellulare o di donatore. La variabile che influenza i nostri risultati sperimentali è proprio il sesso, non solo l’età o la patologia o l’essere soggetti sani. Quello che era vissuto come un ostacolo è stato in seguito visto come una grande opportunità: la possibilità di studiare queste differenze. E questi aspetti che per molto tempo sono stati trascurati oggi sono diventati un “hot topic”, ovverosia un tema centrale della ricerca». 

Ruoli sociali, dinamiche familiari e fattori culturali, come incidono nella gender equity?

«Spesso le differenze tra maschi e femmine nella frequenza e nel decorso di una malattia non dipendono solo dal sesso biologico, ma possono dipendere anche dal genere. L’interesse dei ricercatori è nel perseguire uno studio approfondito di tali differenze – afferma l’esperta – ed è fondamentale a partire dai testi di anatomia e sino ai manuali di medicina interna che ancora oggi si basano su parametri e manifestazioni cliniche prevalenti nei pazienti di sesso maschile».  

Roberta Gualtierotti

Ad esempio, l’infarto del miocardio acuto può essere considerato un vero paradigma di medicina di genere?

«L’infarto del miocardio acuto – evidenzia Gualtierotti – è più frequente nell’uomo, soprattutto perché fino alla menopausa la donna è protetta dalla presenza degli ormoni sessuali femminili. Dopo la menopausa, il rischio diventa equiparabile tra i due sessi, ma la presentazione dei sintomi può essere differente. Ad esempio, le donne possono manifestare sintomi atipici come epigastralgia e nausea. Persistendo nello studio basato esclusivamente su report riguardanti soggetti di sesso maschile, potremmo incorrere nel rischio di non identificare una sindrome coronarica acuta nelle donne, rendendo cruciale l’adozione di un approccio più inclusivo nella ricerca medica. È stato anche osservato che, spesso, nei casi di sindromi coronariche acute nella donna, le cause di un possibile ritardo nell’accesso al pronto soccorso sono spesso legate alla necessità di occuparsi delle faccende domestiche, di accudire i figli o un genitore anziano che ha bisogno di assistenza. Quindi il ruolo della donna nella società e nella famiglia può influenzare il decorso e la gravità anche di un evento come la sindrome coronarica acuta».

Le peculiarità di genere nelle sindromi coronariche acute vengono messe sotto osservazione anche nel documento dell’Istituto Superiore di Sanità – Osservatorio Medicina di Genere, dove si evidenzia la necessità di PDTA (Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali) dedicati e l’importanza della promozione di specifici programmi di informazione, formazione e prevenzione.

Si deve partire da dati disaggregati “by design” negli studi epidemiologici?

«Negli studi epidemiologici è necessario che, d’ora in poi, nel momento in cui vengono sottoposti i risultati di una ricerca alle principali riviste peer-reviewed, i dati vengano riportati disaggregati. Esistono delle linee guida anche a livello internazionale su come riportare il dato disaggregato nei report scientifici: le linee guida Sex and Gender Equity in Research (SAGER) Guidelines. Si tratta di linee guida basate su una checklist che include la verifica delle analisi di sesso e genere a diversi livelli scientifici ovverosia preclinico, clinico ed epidemiologico. Uno dei suggerimenti chiave delle raccomandazioni consiste nell’utilizzo dei dati disaggregati, appunto, ma anche l’inclusione di un’analisi di sesso e genere fin dalle fasi iniziali, ovvero dal disegno dello studio».

La medicina di genere non è una branca a sé stante, ma è parte integrante della normale ricerca e della pratica clinica

Cambiare passo per migliorare ancora. Cosa si può fare in più?

«Diffondere l’informazione e la formazione sulla medicina di genere. Far comprendere che la medicina di genere non è una branca a sé stante, ma è parte integrante della normale ricerca e della nostra pratica clinica, nonché della nostra pratica sociosanitaria, per cui anche l’esperto, il ricercatore di igiene pubblica deve essere assolutamente a conoscenza del fatto che i dati vanno analizzati in maniera differente per sesso, e, considerando, laddove possibile, anche il genere. Un altro tema che – aggiunge Gualtierotti – necessariamente fa parte anch’esso della medicina di genere, anche se è un po’ più di nicchia, è la condizione della persona con identità transgender, o del paziente che assume ormoni sessuali perché non ha un’identità cisgender. È necessario formare il professionista sanitario, in primo luogo, per poter fornire le cure migliori anche a questi pazienti, ma anche informare la popolazione dell’importanza di considerare le differenze di genere nelle cure, per evitare pregiudizi e discriminazioni».

Un tema su cui va citato ancora una volta il lavoro dell’Istituto Superiore di Sanità che raccoglie le sue attività sulla salute trangender nel portale www.infotrans.it.

Differenza di genere anche nelle innovazioni tecnologiche?

«Ritengo che sia davvero fondamentale comprendere quanto le differenze di sesso e genere debbano essere integrate nella nostra vita e considerate in ogni aspetto quotidiano. Anche nel campo dell’intelligenza artificiale sono emerse disparità nel riconoscimento fenotipico delle immagini, ad esempio, in base al sesso, all’etnia e alla diversa appartenenza culturale, considerando anche la localizzazione geografica. In campo ingegneristico, come nel caso dei crash test delle automobili, emerge una differenza evidente: le cinture di sicurezza vengono spesso testate su manichini con parametri biometrici maschili, trascurando i rischi della donna, che ha caratteristiche diverse e può trovarsi in uno stato di gravidanza. L’equità, l’eguaglianza di genere e la medicina di genere non devono essere ritenuti solo una questione di interesse per la popolazione femminile; al contrario, è essenziale analizzare entrambi i sessi affinché anche questo aspetto venga incluso in maniera appropriata nelle nostre analisi e considerazioni scientifiche».

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Silvia Pogliaghi
Giornalista scientifica, esperta di ICT in Sanità, socia UNAMSI (Unione Nazionale Medico Scientifica di Informazione)