Quanto sarebbe più semplice la strada verso la certificazione europea se si potessero avviare precocemente studi clinici per i dispositivi medici su un gruppo ristretto di pazienti? È una domanda importante, soprattutto a pochi giorni dall’entrata in vigore effettiva del Regolamento sui Dispositivi medici 2017/745 (MDR) che fa della sperimentazione e della valutazione di efficacia due pilastri fondamentali per la certificazione dei medical device.
La risposta alla domanda si chiama studio di fattibilità precoce, in inglese Early Feasability Study (EFS), che altro non sono se non indagini cliniche condotte nelle prime fasi della sperimentazione e su pochi pazienti. A cosa servono? A capire, prima di completare gli studi finalizzati alle autorizzazioni, se ci sono miglioramenti da apportare e soprattutto se il dispositivo funziona ed è davvero innovativo.
Un’idea americana
Lo studio di fattibilità precoce è un’idea nata negli Stati Uniti: per aiutare a promuovere l’innovazione dei dispositivi medici, il Centro per i dispositivi e la salute radiologica (CDRH) dell’FDA ha sviluppato, nel corso degli ultimi anni, un programma dedicato a questa tipologia di studi.
Molti osservatori oggi ritengono l’EFS un passaggio fondamentale nel processo di innovazione dei dispositivi medici, ma in Europa al momento non è previsto. Il programma, nel merito, punta a:
- valutare, in via prospettica, la sicurezza e il livello di prestazioni del dispositivo medico;
- aumentare l’accesso dei pazienti a tecnologie potenzialmente vantaggiose o a bisogni insoddisfatti;
- supportare l’innovazione dei dispositivi considerati più interessanti per il sistema sanitario.
Questo sistema funziona molto bene negli USA perché si basa su una collaborazione costante tra FDA, sponsor, ricercatori e innovatori di dispositivi medici. Questi sono i principali vantaggi degli EFS negli Stati Uniti:
- realizzare uno studio di tecnologie innovative su un ridotto numero di persone prima di iniziare un’indagine più ampia. FDA tiene in considerazione l’EFS in fase di autorizzazione;
- verificare una nuova indicazione specifica per un dispositivo oppure l’applicazione di un dispositivo per un uso diverso, una nuova applicazione clinica, rivedere il disegno di uno studio;
- avere un rapporto di piena collaborazione con FDA, il tutto finalizzato al miglioramento della qualità del dispositivo che viene sperimentato.
Questo tipo di sperimentazione consente anche l’accesso a fonti di finanziamento, la riduzione dei tempi autorizzativi e il dialogo con le autorità regolatorie, che da noi è assente.
In questo modo si procede con lo studio completo solo per i progetti davvero innovativi.
In parole semplici, l’EFS può testare un dispositivo in fase di sviluppo molto prima che il processo di produzione sia concluso oppure valutare un dispositivo commercializzato che viene utilizzato per una nuova indicazione clinica. Può inoltre soddisfare determinate esigenze di cura e migliorare l’assistenza ai pazienti, soprattutto quando non esistono trattamenti alternativi efficaci.
Negli ultimi 6 anni, l’FDA ha approvato oltre 200 EFS che hanno coinvolto più di 2.500 pazienti. L’utilizzo più elevato di questo programma si è registrato nelle aree cardiovascolari e neurovascolari.
Alla luce del riassetto della governance sanitaria di cui si discute e che probabilmente sarà implementata nei prossimi mesi, un processo come quello degli EFS potrebbe rappresentare uno stimolo nel ridefinire le sperimentazioni cliniche nel nostro paese, le cui lungaggini burocratiche hanno determinato ritardi nella commercializzazione di dispositivi innovativi. Quello dei medical device è un settore non solo che cresce, ma che continua ad evolversi, a innovarsi e a innovare: introdurre gli studi di fattibilità precoce significherebbe portare l’Italia in una posizione di leadership nella valutazione clinica di nuovi dispositivi.
Gli EFS possono rappresentare uno stimolo per promuovere la sperimentazione clinica in Italia
La maggior parte dei dispositivi medici viene sperimentata e approvata negli Stati Uniti e nell’UE. I processi regolatori sono simili ma, fino all’avvento del MDR, in Europa era più facile approvare i medical device.
L’FDA, che negli USA approva sia i dispositivi medici sia i farmaci, per certificare un medical device richiede che questo sia efficace o equivalente rispetto ad un dispositivo di comparazione.
Nell’UE, secondo le vecchie direttive che tra poco saranno soppiantate dal Regolamento 2017/74, un dispositivo veniva approvato nel momento in cui dimostrava di essere conforme e di svolgere la funzione prevista. Con il MDR si richiedono invece prove cliniche robuste di efficacia e sicurezza, requisiti che avvicinano molto la regolamentazione UE a quella d’oltreoceano.
Il MDR, vale la pena ricordarlo, è la più grande modifica alle normative sui dispositivi medici nell’UE da quando è stata introdotta la marcatura CE nel 1993.
Gli Early Feasability Studies, questi sconosciuti
In Italia gli EFS non sono molto popolari.
Secondo una recente ricerca fatta da Confindustria Dispostivi Medici tra i suoi associati, sono poche le aziende del settore che sanno cosa siano gli studi di fattibilità precoce, mentre il resto vorrebbe saperne di più e soprattutto capire quali siano i vantaggi ad attivare un percorso di questo tipo.
I risultati di questo studio, che valuta anche come strutturare uno studio di fattibilità precoce, saranno esposti durante la seconda edizione di Innovabiomed a Verona, un evento in cui si farà il punto sulle innovazioni tecnologiche, con particolare attenzione alle startup.
L’intento è quello di sensibilizzare le aziende su questa opportunità, non solo nel loro interesse, ma anche per quello del Paese: l’Italia potrebbe essere il primo paese dell’Unione Europea ad adottare gli studi di fattibilità precoce e questo potrebbe attrarre investimenti in ricerca, perché se l’EFS diventasse uno strumento riconosciuto (dal governo e dalle istituzioni europee) altre grandi aziende potrebbero essere interessate a venire in Italia per svolgere questi studi.
La dottoressa Marcella Marletta, che oggi è docente di Farmacologia, Patologia e Scienze regolatorie presso l’Università San Raffaele di Roma, è stata Direttore generale della Direzione dei dispositivi medici e del servizio farmaceutico del Ministero della Salute. In questo ruolo, è stata fra i primi a portare l’idea degli EFS in Italia: “Nel 2011 ho partecipato con i rappresentanti degli altri Stati Membri al meeting dell’High Level Conference a Bruxelles e alcuni esponenti dell’FDA americana hanno descritto all’Europa le differenze tra le normative americane e le direttive europee relative alla certificazione dei dispositivi medici. In quegli anni, secondo gli americani, noi europei eravamo più veloci nell’accesso delle tecnologie al mercato grazie alle direttive comunitarie che erano più semplici, e garantivano rapidamente l’immissione in commercio di dispositivi conformi e sicuri. Grazie alle vecchie direttive noi europei eravamo i primi e loro i 42esimi nell’accesso al mercato, oggi loro sono i primi e noi siamo rimasti indietro. Con il nuovo Regolamento europeo, è probabile che scivoleremo ancora, perché si impongono regole più restrittive che comportano un allungamento dei tempi per le approvazioni e un aumento dei costi per le sperimentazioni. Gli USA, con gli studi di fattibilità precoce, si garantiscono per primi l’accesso al mercato”.
Gli USA, con gli studi di fattibilità precoce, si garantiscono per primi l’accesso al mercato
In Italia è già stato avviato un importante studio di valutazione delle normative sui dispositivi medici in base ad un accordo di collaborazione tra il Ministero della Salute – Direzione generale dei dispositivi medici e del servizio farmaceutico e il CRISPEL, Centro di Ricerca Interdipartimentale per gli Studi Politico-costituzionali e di Legislazione comparata, per la realizzazione e lo sviluppo di progetti di ricerca, per la durata di 24 mesi, presentati dal CRISPEL in Raggruppamento Temporaneo (RTI) con la Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli e C.R.E.A. Sanità. Si tratta di progetti pilota da effettuarsi nell’ambito di un programma di fattibilità precoce su dispositivi medici nelle aree della diabetologia, neurologia e cardiovascolare.
“Gli studi precoci di efficacia sono un’iniziativa molto valida – ha commentato Fernanda Gellona, Direttore Generale di Confindustria Dispositivi Medici – e in linea di principio si potrebbero fare per qualunque tipo di dispositivo. L’idea del Ministero è stata quella di affidare all’Università di Roma3 lo studio di questi modelli per capire come applicarli alla realtà italiana. Gli EFS sono utili qualora un’azienda o startup proponga l’idea di sviluppare un nuovo dispositivo oppure di utilizzare in modo diverso uno già marcato, quindi un’innovazione disruptive o incrementale (riposizionamento), effettuando delle sperimentazioni su numeri piccoli di pazienti”.
Gli EFS sono utili per valutare precocemente la possibile innovazione
Facendo test ridotti, i costi si riducono. In generale, per i dispositivi medici, il numero di pazienti coinvolti è già più piccolo rispetto alle sperimentazioni sui farmaci. Con questi studi precoci, questo numero si riduce ancora di più, e permette all’azienda di capire se l’idea è valida e quindi di avviare l’attività di sperimentazione vera e propria per ottenere la marcatura CE.
Il percorso delle sperimentazioni cliniche in Italia è lungo e complesso da un punto di vista burocratico, oltre che oneroso: gli studi devono essere autorizzati dal comitato etico e dal ministero. “Per gli EFS – continua Gellona – si sta immaginando di affidarsi solo all’autorizzazione del comitato etico. Si tratta di un’analisi preliminare per decidere se vale la pena intraprendere tutto l’iter per la marcatura”.
Questo tipo di approccio è d’aiuto alle startup anche per ottenere finanziamenti e dalle prime analisi effettuate pare che gli EFS siano compatibili con il MDR che entrerà a regime tra poche settimane. Gli studi di fattibilità precoce potrebbero essere anticipatori delle sperimentazioni, velocizzando non solo il processo, ma anche l’accesso per il paziente. Il tempo che si guadagna in questo modo è molto utile anche per l’azienda per perfezionare ulteriormente il dispositivo, in termini di disegno, indicazione o platea. Fare questi cambi in fase di autorizzazione, cioè di valutazione di conformità, complica le cose.
Seguire l’esempio degli Stati Uniti
“Si potrebbe valutare l’opportunità di un programma pilota sugli EFS come negli USA – propone Marletta – promuovendo il progresso e creando grandi centri clinici di eccellenza nei quali reclutare velocemente i pazienti e svolgere le sperimentazioni nei tempi e nei modi migliori. Se l’Italia facesse da pilota in questa transizione e l’Europa concordasse sull’utilità degli EFS, valutando la possibilità di un riconoscimento di questi studi anche nell’ambito della certificazione CE da parte degli Organismi Notificati, si potrebbe capovolgere di nuovo la situazione, con l’Europa di nuovo in testa per il time to market, e nel contempo si potrebbero creare nuovi spin off”.
La posizione europea non è ancora definita ma con il periodo di transizione tra le vecchie direttive e il nuovo regolamento, i problemi dovuti all’esiguo numero di organismi notificati, la banca dati EUDAMED che, di fatto, non è ancora partita, sarà difficile raggiungere gli Stati Uniti. Perché, appesantendo le responsabilità e le incombenze, in automatico si rallentano i processi. Tutte le aziende devono fornire i dati clinici, quindi quei dispositivi per i quali i dati clinici non sono ancora disponibili porteranno inevitabilmente a un rallentamento.
Il Regolamento europeo, anche se non prevede attualmente gli studi di fattibilità precoce, potrebbe essere comunque compatibile con gli EFS. In Italia, come detto, non sono regolamentati, quindi non possono essere usati con la finalità di ottenere la certificazione CE. “Ma uno studio clinico condotto per ottenere la certificazione è oggi finalizzato esclusivamente alla conferma della rispondenza ai requisiti di conformità necessari per il rilascio della Certificazione CE e non al miglioramento delle caratteristiche del prodotto o al miglioramento della sua progettazione in fase di sviluppo – prosegue Marletta – per cui gli EFS possono comunque essere avviati volontariamente dalle aziende per migliorare il prototipo a cui stanno lavorando. Anche in America gli studi di fattibilità precoce sono volontari, ma nel momento in cui si chiede l’autorizzazione assumono valore documentale anche per le autorità”.
È questo il passaggio che manca qui da noi: al momento gli EFS non hanno valore per le autorità regolatorie. Se dopo l’esperienza del progetto pilota del Ministero si andasse avanti e gli organismi notificati valutassero anche questi studi, si potrebbe facilitare il percorso della certificazione, con vantaggi per le aziende e per i pazienti.
Al momento gli EFS non hanno valore per le autorità regolatorie in Italia
Una volta completato lo studio pilota, bisognerà vedere a livello europeo come gli organismi notificati valuteranno questi dati clinici a supporto della futura certificazione e quale utilizzo ne faranno le Autorità Competenti degli Stati Membri: “Se, ad esempio, la Commissione LEA riconoscesse l’utilità della documentazione degli EFS in un dialogo precoce e costante con l’autorità competente – conclude Marletta – si potrebbe migliorare l’accesso precoce alle cure con dispositivi medici nuovi per pazienti con patologie che non hanno valide alternative terapeutiche e soprattutto si potrebbero riconoscere i dispositivi veramente innovativi”.
Il punto è che da noi le istituzioni e gli enti regolatori parlano poco fra di loro: in America l’FDA ha un rapporto di continua collaborazione con le aziende per favorire la crescita; mentre in Europa non c’è dialogo tra autorità, organismi e aziende, è tutto un passaggio di carte. Ecco perché gli Stati Uniti ci corrono davanti. Seguirne l’esempio è un modo per tornare ad essere veloci, anche perché questo settore sta crescendo e le aziende di dispositivi medici, schiacciate dal nuovo Regolamento europeo, da una parte, e dalle lungaggini burocratiche italiane per approvare le sperimentazioni, dall’altra, potrebbero essere tentate a commercializzare i loro prodotti solo negli USA.