Vaccini e brevetti: il nodo della proprietà intellettuale

Tra i numerosi aspetti del dibattito sui vaccini anti-Covid, è emerso anche quello dei brevetti: da più parti si chiede la sospensione dell'accordo Trips. Qual è il quadro normativo e come orientarsi nella discussione pubblica?

Giorgio AbbiatiTra i numerosi aspetti del dibattito sui vaccini anti-Covid, è emerso anche il nodo dei brevetti. Con la risoluzione del 10 giugno il Parlamento europeo ha chiesto una deroga temporanea all’accordo Trips (Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights) per consentire l’accesso globale a vaccini e terapie a costi abbordabili. Un invito condiviso da oltre 100 accademici in tema di proprietà intellettuale a livello internazionale. Occasione per fare il punto con Giorgio Abbiati, professore associato del Dipartimento di Scienze Farmaceutiche all’Università di Milano e coordinatore del Corso di Perfezionamento in Gestione della Proprietà Industriale, membro della commissione brevetti di Ateneo e dal 2021 presidente ad interim della stessa, sullo stato dell’arte sul settore dei brevetti dei farmaci, oltre che dei vaccini, a livello nazionale ed europeo, con uno sguardo al futuro per andare oltre le criticità e mettendo in pratica le lezioni apprese durante la pandemia.

Qual è il quadro normativo, a livello nazionale ed europeo?

“La normativa di riferimento per l’Italia è il Codice della Proprietà Industriale (Cpi) emanato nel 2005 come riorganizzazione dei numerosi testi legislativi precedenti. Il Cpi fa propri i principi generali e i contenuti della Convenzione di Parigi del 1883, ovvero il primo trattato internazionale sui brevetti che, continuamente aggiornato, a oggi conta 177 stati contraenti, e rappresenta un punto di riferimento internazionale per la protezione della proprietà industriale.

L’obiettivo di un brevetto è tutelare e valorizzare un’innovazione tecnica, ovvero un prodotto o un processo che fornisce una nuova soluzione a un determinato problema tecnico. Ma soprattutto il brevetto è un diritto di esclusiva che esclude terzi dalla possibilità di realizzare o sfruttare l’invenzione senza autorizzazione. Di fatto è un monopolio temporaneo e territoriale. Il brevetto è concesso da un Ufficio Nazionale (per l’Italia, l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi – Uibm) oppure da un Ufficio Regionale che fa capo ad un gruppo di Stati (per l’Europa, l’Ufficio Europeo dei Brevetti – Epo) a seguito di una analisi della domanda che prevede una serie di fasi differenti. Le tappe possono variare a seconda dell’ufficio coinvolto, tuttavia in genere comprendono l’esame formale, la ricerca di anteriorità, la pubblicazione, l’esame di merito e infine la concessione (oppure, se non sussistono i requisiti di brevettabilità, il rifiuto). Ma, come già specificato, il brevetto è un titolo territoriale”.

Come proteggere un’invenzione all’estero?

“Esistono fondamentalmente tre modalità:

  1. il percorso nazionale, che prevede di richiedere protezione presso tutti gli Uffici Brevetti Nazionali di ogni paese di interesse, un percorso scomodo e molto costoso, soprattutto nel caso in cui il numero di paesi di interesse sia ampio;
  2. il percorso regionale si serve di un sistema centralizzato cui aderiscono un certo numero di stati in cui è possibile inoltrare un’unica richiesta di protezione con effetto sui territori dei paesi aderenti. In Europa questo sistema centralizzato è l’Epo. Tuttavia, il Brevetto Europeo, una volta concesso, dovrà essere convalidato negli stati di interesse;
  3. il percorso internazionale infine è un sistema che consente di proteggere quanto trovato in tutti Paesi membri del Trattato di Cooperazione sui Brevetti (Pct- Patent Cooperation Treaty). La procedura consiste nell’inoltrare una domanda di brevetto internazionale (Pct) che centralizza l’iter procedurale e permette di ottenere un’opinione preliminare (non vincolante) sulla brevettabilità valida in più di 139 Paesi. È importante chiarire che non esiste un “brevetto Pct”, ma solo una “domanda di brevetto Pct” (la cosiddetta fase internazionale) che andrà in seguito perfezionata e convalidata a livello regionale o nazionale (le fasi nazionali o regionali). Questa domanda può essere inoltrata direttamente presso l’Uibm o presso l’Ufficio Pct della World Intellectual Property Organization (Wipo) di Ginevra”.

Quanto dura un brevetto?

“Un brevetto concesso in Italia e in Europa è valido per un periodo di vent’anni, che decorrono dalla data di deposito della domanda. Attualmente, dopo un processo di armonizzazione che ha sanato alcune storture legislative, per i brevetti farmaceutici è possibile richiedere una estensione di validità, fino a un massimo di cinque anni, mediante gli Spc (Supplementary Protection Certificate). Sono stati istituiti con il regolamento CEE n. 1768/1992 con l’obiettivo di compensare la perdita in termini di tempo per lo sfruttamento effettivo della copertura brevettuale per i medicinali la cui commercializzazione sia soggetta ad autorizzazione all’immissione in commercio (Aic) da parte dell’Aifa o dell’Ema”.

Il sistema funziona? Quali sono le principali criticità?

“Sì, il sistema funziona, anche se le tasse richieste dall’Ufficio Brevetti Europeo e soprattutto i costi necessari per la convalida del brevetto nei Paesi europei di interesse lo rendono molto più oneroso rispetto ad esempio a un brevetto richiesto all’Ufficio Brevetti americano (Uspto). Per questa ragione a livello comunitario si è pensato all’introduzione di un Brevetto Unitario che superasse i problemi di costi del Brevetto Europeo, ma questo nuovo strumento ad oggi non è ancora partito.

Quando il Brevetto Unitario diventerà una realtà, il titolare di un brevetto richiesto per il territorio europeo non dovrà più affrontare i costi di convalida nei singoli Paesi e avrà una tutela automaticamente estesa a tutto il territorio comunitario, a un costo molto più contenuto rispetto al sistema attuale. Ma se questo nuovo sistema favorirà le grandi multinazionali, non altrettanto si può dire per aziende di piccole o medie dimensioni, che normalmente sono interessate ad una copertura territoriale più limitata: per tali aziende, in particolare se situate in Paesi di importanza strategica minore, i costi potrebbero non essere poi così vantaggiosi e d’altra parte si troverebbero a dover affrontare il rischio di infrangere brevetti di titolari esteri che, con l’attuale sistema del Brevetto Europeo, non avrebbero mai pensato di convalidare il loro titolo in tali Paesi.

Quando il Brevetto Unitario sarà realtà, il titolare di un brevetto richiesto per il territorio europeo non dovrà più affrontare i costi di convalida nei singoli Paesi

Occorre anche ricordare che il Brevetto Unitario potrebbe venire attaccato in una corte unificata e, con un’unica azione legale, potrebbe essere revocato su tutto il territorio. Questo rischio può risultare sgradito anche alle grandi multinazionali, che quindi potrebbero scegliere la strada del Brevetto Unitario solo per i brevetti di minore interesse, che quindi risulterebbero coperti in un territorio molto più vasto di quello a cui normalmente sono relegati.

Infine, il Brevetto Unitario non coprirebbe tutti gli stati europei (come fa il Brevetto Europeo), ma ne escluderebbe alcuni importanti, in primis la Gran Bretagna post-brexit, ma anche la Spagna (che non ha sottoscritto la convenzione), la Svizzera, la Turchia.

Tornando al Brevetto Europeo, un’altra criticità di tale sistema di brevettazione sono i lunghi tempi che intercorrono tra il deposito e la concessione, cui l’ufficio sta cercando di porre rimedio. Questa criticità, che non verrebbe di per sé sanata dal Brevetto Unitario in quanto il suo esame sarebbe sempre demandato all’Epo, è in parte insita nella stessa procedura, che prevede una richiesta d’esame sostanziale posticipata dopo il ricevimento e la pubblicazione del rapporto di ricerca, ed in parte dovuta all’elevato carico di lavoro degli esaminatori”.

Quali problemi si sono posti durante la pandemia e come sono stati affrontati?

“La procedura di esame di un brevetto si svolge essenzialmente mediante uno scambio di documentazione scritta, in un contraddittorio tra inventore e esaminatore dell’ufficio brevetti. In questo senso la pandemia non ha modificato in modo evidente le procedure e le tempistiche. Tuttavia, il sistema del Brevetto Europeo, in alcune fasi, prevede delle udienze orali presso una delle sedi dell’Epo (ad esempio nelle procedure di opposizione o di appello). In questi casi, è stato messo a punto un sistema di udienze tramite videoconferenza che, pur funzionando bene, non è riuscito a eguagliare l’efficacia di un’udienza in presenza. Anche i tribunali nazionali hanno introdotto un sistema di udienze in videoconferenza nelle cause di contraffazione, con le medesime problematiche legate all’assenza del confronto diretto”.

Quali sviluppi ed eventuali miglioramenti si possono ipotizzare da questo punto di vista?

“Si spera che la nuova situazione pandemica possa portare ad un ritorno graduale alla normalità, per cui non si ravvisa la necessità al momento di cambiare ulteriormente il sistema. Ciò che di “positivo”, se così si può dire, ha portato la pandemia per i professionisti in ambito brevettuale è stato l’incremento dell’informatizzazione del sistema, che ha permesso di continuare le attività senza particolari interruzioni, e di risparmiare tempo e denaro, soprattutto attraverso la riduzione drastica dei viaggi di lavoro. Questo rimarrà anche dopo la fine della pandemia”.

Brevetti e vaccini: sul fronte Covid si dibatte sulla sospensione. Cosa ne pensa?

“Gli strumenti per sospendere i brevetti in una situazione emergenziale esistono e si chiamano licenze obbligatorie, normate dal Cpi, Artt. 70-74. Queste possono essere richieste quando il titolare del brevetto non intende produrre o importare l’oggetto di un brevetto, o lo fa in misura insufficiente a soddisfarne i bisogni. Di norma, l’obbligo di concessione decorre dopo tre anni dalla data di rilascio del brevetto (o quattro anni dalla data di deposito se questo termine scade dopo il precedente).

Alla fine degli anni ’90, una deroga agli accordi Trips sul rispetto internazionale della proprietà intellettuale, nota come Dichiarazione di Doha, stabilì il principio che, in caso di emergenze sanitarie tali accordi non devono impedire l’adozione di misure atte alla salvaguardia della salute pubblica, incluso un più semplice accesso ai farmaci attraverso la concessione delle licenze obbligatorie. Un’emergenza sanitaria come quella che stiamo vivendo a livello globale rappresenta sicuramente un valido motivo per impugnare ed eventualmente forzare questo strumento.

A fine anni ’90, la Dichiarazione di Doha stabilì che in caso di emergenze sanitarie gli accordi Trips non devono impedire l’adozione di misure atte alla salvaguardia della salute pubblica

Ma nel caso specifico dei vaccini contro il Sars-CoV-2 il problema è più complesso di quanto appaia. I vaccini in genere, e in particolare i vaccini a m-Rna contro la Covid-19, sono prodotti biotecnologici complessi, assemblati mediante tecnologie differenti, i cui componenti sono sviluppati a volte da aziende diverse e sono oggetto di una serie di brevetti eterogenei (alcuni concessi, alcuni ancora sotto forma di domanda di brevetto) in capo a soggetti diversi. A queste difficoltà si aggiunge il problema non secondario del know-how, ossia quell’insieme di competenze specifiche derivanti anche dall’esperienza e a volte coperto da segreto industriale, per il corretto impiego di una tecnologia. In definitiva, i vaccini non sono “oggetti” semplici da produrre, e non è così scontato che un paese o una azienda possieda gli strumenti e una capacità produttiva adeguate. Penso che la questione del ricorso alle licenze obbligatorie sia solo un aspetto di un problema più complesso”.

Il tema dei farmaci, vaccini e brevetti è legato a considerazioni etiche: qual è la sua posizione?

“Il brevetto non attribuisce automaticamente al titolare una libertà d’uso o il diritto assoluto di sfruttare quanto trovato, ma solo il diritto di escludere terzi da un utilizzo commerciale, se non autorizzati attraverso licenze d’uso. È uno strumento che consente di proteggere gli investimenti effettuati per la ricerca e lo sviluppo di una nuova invenzione, evitando che terzi possano trarre vantaggio economico dagli sforzi altrui. In cambio di questo diritto esclusivo, al titolare del brevetto è richiesto di divulgare l’invenzione rendendo pubblica la domanda di brevetto, tutto ciò nell’ottica – a volte disattesa – di incentivare il progresso scientifico.

Il concetto di brevettabilità nel settore farmaceutico è stato spesso sottoposto a critiche di ordine etico, legate all’importanza dei farmaci per la salute umana. Non a caso in Italia la brevettazione farmaceutica è entrata in vigore solo alla fine degli anni ’70 grazie alla sentenza della Corte di Cassazione n. 20 del 9 marzo 1978. La questione è piuttosto complessa. La ricerca e lo sviluppo di un prodotto farmaceutico è un processo ad alto rischio di fallimento, lungo e costoso: si stima che una molecola su 10.000 sintetizzate riesca ad arrivare alle fasi cliniche e tra queste meno del 10% riesca a superare con successo tutte le fasi dello sviluppo clinico e giungere sul mercato. Un sistema di ricerca farmaceutica senza brevetti potrebbe funzionare qualora i finanziamenti per la ricerca e lo sviluppo di farmaci fossero interamente pubblici.

Tuttavia, è un dato di fatto che negli ultimi decenni la ricerca farmaceutica è stata condotta in prevalenza nell’industria, principalmente privata. In quest’ottica il brevetto serve a conferire un periodo di sfruttamento esclusivo utile a coprire gli investimenti e conseguire un profitto”.

Può interessarti

Adriana Riccomagno
Giornalista professionista in ambito sanitario