Cosa c’è dopo il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)? Ipotizzando di riuscire a centrare gli obiettivi, come sarà la sanità del futuro? Il Piano la descrive come vicina, di territorio e fortemente orientata al digitale. Con Nino Cartabellotta, presidente Fondazione Gimbe, e Ginevra Cerrina Feroni, vice presidente Garante Protezione Dati Personali (GPDP), nella Live intitolata Oltre il PNRR: il SSN del futuro, abbiamo ragionato sulle criticità del presente, provando a guardare al di là dell’orizzonte.
Il dibattito ha preso le mosse dai risultati dei sondaggi condotti tra i nostri lettori nelle scorse settimane su questo argomento, da cui emergono chiaramente alcuni tra i grandi temi del settore, dalla carenza di risorse a quella di personale.
“Per quanto riguarda gli obiettivi della sanità del futuro, sostanzialmente mi trovo d’accordo con i risultati presentati: il tema del personale, il digitale, le cure di prossimità; più di un terzo degli intervistati riprende il concetto delle maggiori risorse, un problema trasversale a tutte le necessità di sviluppo – ha commentato Cartabellotta -. Sulla carenza di personale andrei a specificare ulteriormente i differenti livelli da cui partono i 21 servizi sanitari regionali e quelli provinciali, perché con il PNRR dobbiamo raggiungere obiettivi nazionali ma questi di fatto dipendono dalla sommatoria o se preferite la media delle performance regionali, che partono da livelli molto differenti”.
“Questi risultati mi trovano abbastanza d’accordo: i nodi sono essenzialmente personale e organizzazione, e direi che la transizione verso una sanità digitale necessita di personale specializzato – ha sottolineato Cerrina Feroni -. La vera missione oggi è formare questo personale specializzato, perché la pandemia ha cambiato tutto, ha impattato sul sistema istituzionale, su quello economico e su quello sociale e ha cambiato anche il rapporto medico-paziente. Una vera sanità digitale, che preveda la telemedicina, la televisita, il telesoccorso o la teleriabilitazione, necessita di competenze che attualmente sono ancora carenti nel nostro Paese”.
Il SSN del futuro
Cosa ci aspetta in ambito sanitario per il prossimo futuro? “Non è semplice rispondere a questa domanda perché non abbiamo la sfera di cristallo e perché ci sono delle variabili imprevedibili, una per tutte la pandemia – spiega Cartabellotta -. Tra l’altro, qualche settimana fa, il Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie (ECDC) ha rilevato che al momento è impossibile disegnare qualsiasi scenario previsionale, tanto che riporta ben cinque possibili contesti che nei prossimi mesi o addirittura anni potranno interessare vari Paesi europei anche in maniera differenziata. Si va da una situazione di estrema tranquillità, come quella che stiamo vivendo in queste settimane, a una ripresa importante della pandemia. La parola d’ordine quindi è preparedness, cioè essere preparati a eventuali riprese della pandemia. Su questo mi permetto di aggiungere un dettaglio di cui si parla poco, cioè gli effetti a medio e lungo termine della pandemia. Quello più evidente è il ritardo delle prestazioni sanitarie sia chirurgiche, sia ambulatoriali, sia di screening, che nonostante lo stanziamento da parte dello Stato di quasi un miliardo fra il decreto agosto e la Legge di bilancio 2022 le Regioni non sono riuscite a recuperare, riportando al tema della carenza di personale per l’erogazione di prestazioni ordinarie o il loro recupero”.
Non è tutto. “Poi c’è l’emergenza dei nuovi bisogni di salute: pochi sanno che in Italia sono stati aperti ben 113 centri per il long Covid, che fanno parte del sistema pubblico senza nessun finanziamento aggiuntivo e sempre con lo stesso personale; per non parlare dell’impatto sulla salute mentale in particolare nei giovani, che si va a innestare in un sistema dove l’offerta di servizi di salute mentale è particolarmente carente.
Oggi ci troviamo rispetto alla situazione pre-pandemica con un ulteriore indebolimento del capitale umano sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, se pensiamo al burnout e alle condizioni di stress lavorativo in cui i medici, gli infermieri e gli altri operatori sanitari stanno lavorando
Infine, direi, ultimo punto, ma non meno importante, noi oggi ci troviamo rispetto alla situazione pre-pandemica con un ulteriore indebolimento del capitale umano sia dal punto di vista quantitativo (perché per esempio uno degli effetti collaterali sono stati non soltanto i pensionamenti, ma anche l’anticipazione del momento di andare in pensione, i licenziamenti volontari e lo spostamento verso il privato) che qualitativo, se pensiamo al burnout e alle condizioni di stress lavorativo in cui i medici, gli infermieri e gli altri operatori sanitari stanno lavorando. Un tema presente anche nelle nostre analisi e che cerchiamo di portare all’attenzione delle istituzioni. Teniamo sempre presente che, per fare un paragone di tipo clinico, il PNRR è come se fosse un organo prezioso che dobbiamo trapiantare in una persona, che è il Servizio sanitario nazionale, le cui condizioni di salute non sono ideali; quindi, se non si prevedono e non si analizzano tutte le criticità e si predispongono gli interventi per migliorare una serie di condizioni, il rischio è che il ritorno di salute delle risorse del PNRR possa non essere ottimale”.
La privacy dei dati sanitari in Italia e in Europa
Una delle priorità della Missione 6 – Salute del PNRR è l’innovazione, un argomento strettamente legato agli aspetti giuridici. A che punto siamo in Italia e in Europa?
Il binomio sanità digitale e protezione dati non soltanto è possibile ma, anzi, è auspicabile, e può essere portato avanti anche in tempi rapidissimi
“L’Italia in questo momento è in un cantiere di normativa e anche l’Europa – dichiara Cerrina Feroni -. Sciogliamo subito un nodo: il binomio sanità digitale e protezione dati non soltanto è possibile ma, anzi, è auspicabile, e può essere portato avanti anche in tempi rapidi, rapidissimi. Come Autorità Garante abbiamo siamo stati presenti proprio per agevolare uno sviluppo equilibrato e sostenibile dei servizi sanitari offerti ai cittadini, che tenesse conto della tutela dei diritti fondamentali. Ci sono esempi molto positivi: penso ad esempio ai pareri che abbiamo reso ad horas sulla piattaforma vaccini e sulla piattaforma digitale per i Green pass. Sono sfide che abbiamo realizzato accompagnando i governi nella realizzazione di importanti iniziative di riorganizzazione di progetti per il PNRR, ovviamente tenendo ben conto del fatto che il nostro ruolo non è di essere un advisor del governo ma un’autorità indipendente di controllo sulle scelte adottate dal decisore politico nel rispetto della cornice regolatoria che è europea”.
Qui per Cerroni vengono le note dolenti. “Il 22 agosto 2022 abbiamo pubblicato i pareri su due grandi pilastri di questa grande sfida della sanità digitale, l’ecosistema dei dati sanitari e il fascicolo sanitario elettronico. Purtroppo abbiamo dovuto rilevare numerosi elementi di criticità: specialmente l’ecosistema dei dati sanitari allo stato dell’arte è ancora un po’ una scatola vuota, cioè un’architettura che dovrebbe assicurare servizi omogenei sul territorio ma al momento c’è incertezza sul tipo di servizi che saranno offerti, sulla base di quali dati personali, e la questione non è banale perché si sta costruendo la più grande banca dati sulla salute del nostro Paese, di fatto duplicando ciò che già le Regioni hanno fatto perché il fascicolo sanitario elettronico secondo il nostro sistema è un sistema ovviamente regionale. L’altro punto è il fascicolo sanitario elettronico, anch’esso carente di una serie di indicazioni: ci sono ancora, per così dire, spazi bianchi che devono essere riempiti. Noi siamo vincolati dalla normativa europea che ci dice precisamente quali dati devono essere trattati e ricordo che sono dati sensibili molto particolari perché sono quelli sanitari. Una grande sfida che dovrà essere affrontata perché su questi due temi c’è strada da fare”.
Anche l’Europa, sottolinea la giurista, è un cantiere: “Si è creato uno European Health Data Space con una proposta di regolamento del maggio di quest’anno. Qui l’idea è quella di un uso primario, al fine di garantire ai cittadini un’assistenza più efficace e personalizzata anche al di fuori dei confini nazionali, e usi secondari, che sono legati alle politiche sanitarie, alla ricerca scientifica e all’uso dell’intelligenza artificiale. Come Autorità garanti europee abbiamo messo in evidenza l’importanza di questa bozza di regolamento, ma anche i rischi che eventuali usi non corretti di tali dati in ambito europeo potrebbero comportare”.
Serve una cultura della digitalizzazione
Quali sono, quindi, le principali difficoltà da superare per arrivare a una vera digitalizzazione della sanità del nostro Paese, ma anche a una corretta gestione e analisi dei dati? Risponde Cartabellotta: “Le cose da mettere sul tavolo sono tante. In questo momento, anche per l’entusiasmo legittimo che è stato fomentato dal PNRR, stiamo parlando troppo di tecnologie, però parliamo poco di formazione e ancor meno di cultura della digitalizzazione. Oggi siamo tutti molto bravi a prenotare un aereo o un treno con lo smartphone, ma, di fatto, nonostante le competenze digitali della popolazione, questa non riesce a prenotare una visita o un esame di laboratorio strumentale all’interno del proprio servizio sanitario regionale, se non in situazioni di particolare capacità da parte del servizio pubblico di offrire questo tipo di prestazione. Il privato lo sta lo sta già facendo. Bisogna capire qual è il piano di acculturamento della popolazione, ma anche della cultura digitale, perché molti ritengono che la digitalizzazione in sanità corrisponda all’uso di documenti quali i PDF che, come sappiamo, non contengono informazioni strutturate.
È importante introdurre il tema della digitalizzazione in sanità, però bisogna fare investimenti non soltanto in tecnologie ma anche in cultura e formazione
A questi aspetti possiamo aggiungerne altri, quale per esempio il problema della banda larga che non è disponibile in tutto il Paese, ma anche il fatto che in alcuni ospedali italiani si utilizzano tecnologie informatiche assolutamente obsolete, intese come hardware e software. Quindi è importante introdurre il tema della digitalizzazione in sanità e di tutte le tecnologie informatiche di mobile health, però è ovvio che bisogna prevedere e realizzare degli investimenti non soltanto in tecnologie ma anche in cultura e ovviamente in formazione, perché altrimenti rischiamo di avere a disposizione e di spendere tanto denaro pubblico per acquistare tecnologie che però in concreto non vanno a cambiare la modalità esistente di gestire percorsi e processi assistenziali”.
E la Costituzione?
In un recente dibattito, la professoressa Cerrina Feroni ha affermato che la centralizzazione dei processi di sanità digitale a livello nazionale, che svuota e depotenzia i sistemi regionali, sta avvenendo a Costituzione invariata, in via amministrativa e talvolta in via tecnica: il rischio è un arresto sotto il profilo della tenuta costituzionale nel pieno dell’attuazione del PNRR. È ancora di questo parere? “Certamente sì, e ancora di più. Questa digitalizzazione sta portando indubbiamente a una centralizzazione del sistema sanitario. Ora, noi sappiamo che il riparto di competenze ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione è molto chiaro e netto, nel senso che spetta allo Stato l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni su tutto il territorio e dei principi generali, ma la materia è regionale. Non a caso abbiamo sistemi regionali di organizzazione sanitaria molto diversi e anche sotto il profilo dell’efficacia, dell’efficienza e della virtuosità dei modelli, veramente a due, tre, quattro velocità.
Oggi, questo sistema di transizione digitale in sanità sta determinando una centralizzazione del sistema, che però, attenzione, non sta avvenendo a livello costituzionale, bensì a livello regolamentale e molto spesso tecnico-operativo. Da costituzionalista non mi scandalizzo affatto, anzi, credo che il sistema sanitario dovrebbe essere il più centralizzato possibile e quindi non vedrei assolutamente in senso negativo delle forme di riorganizzazione e di efficientamento del sistema. Tuttavia, essendo una cultrice del diritto costituzionale, ritengo che questo vada fatto affrontando seriamente il tema della cornice costituzionale che di fatto è bypassata da ciò che sta succedendo.
Privacy e sanità hanno un linguaggio comune e c’è una totale sintonia tra protezione dei dati ed esigenze di salute
Dopodiché, penso che privacy e sanità abbiano un linguaggio comune. Molte delle misure che abbiamo richiesto in questi anni riguardano proprio l’uso della tecnologia in sanità, ma soprattutto avere certezza della qualità e dell’esattezza dei dati risponde a un principio di protezione dei dati ma anche ad un’esigenza medica. Pensiamo, quando in un pronto soccorso arriva un paziente in situazioni di emergenza, a quanto sia importante per i medici che lo prendono in carico poter avere una cartella dove c’è un patient summary, cioè un profilo sanitario sintetico, aggiornato con dati chiari ed esatti; quindi la qualità del dato. C’è una totale sintonia tra protezione dei dati ed esigenze di salute”.
PNRR: c’è il rischio che le disuguaglianze aumentino anziché diminuire
In definitiva, cosa pensate possa servire per cogliere davvero l’opportunità del PNRR?
Nino Cartabellotta sottolinea come dato centrale il fatto che questi fondi non potranno essere usati per colmare le gravi carenze di personale che affliggono il sistema. “Da un lato vorrei puntare sulla necessità di quella che chiamo last opportunity dei fondi del PNRR e dall’altro ricordare che, quanto al finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale, negli ultimi tre anni (2020, 2021 e 2022) le Regioni hanno ricevuto dallo Stato circa 10 miliardi, mentre nei dieci anni precedenti (2010-2019) erano poco più di 8. Ma attenzione: è stato un finanziamento straordinario legato alla pandemia, quindi non sono soldi stanziati per un rafforzamento strutturale della sanità, motivo per cui il nodo personale continua a essere uno dei temi cruciali.
Il PNRR finanza strutture e tecnologie ma non il personale, che invece va a ricadere sulla spesa corrente
Per quello che riguarda i fondi del PNRR, non dobbiamo dimenticare che sono dei soldi che saranno investiti o per la costruzione di strutture, penso alla Componente 1, quindi Case di comunità e Ospedali di comunità, o, per quello che riguarda la Componente 2 della Missione 6, per la digitalizzazione dei servizi in particolare ospedalieri e attività come il fascicolo sanitario elettronico. Il PNRR, cioè, finanza strutture e tecnologie ma non il personale, che invece va a ricadere sulla spesa corrente. Il problema è che se noi creiamo nuovi servizi le alternative sono due: dobbiamo disinvestire da qualcosa di esistente, quindi un potenziamento di questo tipo dell’assistenza territoriale deve essere compensato con un parallelo depotenziamento dell’assistenza ospedaliera soprattutto quando l’ospedale viene utilizzato in maniera inappropriata, oppure ci vogliono risorse aggiuntive da inserire nella spesa corrente per il finanziamento del personale, perché altrimenti c’è il rischio che quelle scatole che andranno a costituire tutta la riorganizzazione dell’assistenza territoriale resteranno magari non proprio vuote in tutte le Regioni, ma non particolarmente funzionanti. Il rischio è quindi non solo che il PNRR non risolva ma che anzi aumenti il gap tra Regioni”.
Per Cerrina Feroni la priorità sono le competenze. “Innanzitutto, come abbiamo detto prima, bisogna partire da formazione e informazione: dobbiamo fare capire ai cittadini italiani come funziona questo sistema. Il fascicolo sanitario elettronico è ancora qualcosa di esoterico per tantissimi cittadini. Noi come Autorità Garante lo abbiamo detto a più riprese, invitando il governo ad attuare una campagna di informazione innanzitutto sulle nuove modalità”.
C’è bisogno di una grandissima opera più che tecnologica di diffusione di questa cultura della sanità digitale
“Secondo i dati del ministero della Salute aggiornati al 30 giugno 2022, il tenore dei dati sull’attuazione del fascicolo sanitario elettronico è ben diverso da quanto immaginavamo. In base ai nostri riscontri, la dichiarazione di attuazione del fascicolo è quasi al 100%, cioè tutte le Regioni dichiarano di aver attuato il FSE. Ma, approfondendo l’analisi, emerge invece che il FSE non viene alimentato dai medici con i dati sanitari in maniera uniforme e costante: salvo alcune Regioni, il tema dell’alimentazione del FSE è ancora molto critico e permane anche un rilevante problema di mancata redazione del profilo sanitario sintetico che diventa fondamentale nel momento dell’emergenza”.
In conclusione, non è pensabile creare un sistema se innanzitutto non si spiega ai cittadini cosa significa sanità digitale, quali sono le opportunità, gli strumenti che devono essere implementati e soprattutto conosciuti perché c’è anche un problema di fiducia. Ricorda Cerrina Feroni: “Tanti sondaggi hanno dimostrato che i cittadini non hanno ancora sufficiente fiducia nell’affidare i propri dati più sensibili a strumenti tecnologici. C’è bisogno di una grandissima opera, più che tecnologica, di diffusione della cultura della sanità digitale”.