Il Rapporto Farmaci 2022, che risponde a numerosi quesiti di farmacoepidemiologia riguardo efficacia, sicurezza e modalità di utilizzo dei farmaci, arrivato alla sua settima edizione. Dentro, una straordinaria mole di dati. Potrebbero essere di più? Sì, ad esempio se fosse possibile sfruttare meglio i dati amministrativi per migliorare l’organizzazione e l’assistenza. Il punto: serve trovare una quadra fra i vincoli normativi e le esigenze della sanità pubblica.
“L’attività di farmacovigilanza è purtroppo un po’ sottovalutata anche dagli stessi operatori sanitari e spesso non viene vissuta come un momento di miglioramento della qualità della valutazione dei farmaci e dell’assistenza – ha affermato Lucia Turco, direttrice dell’Agenzia Regionale di Sanità (ARS) Toscana, in apertura dell’evento di presentazione -. Inoltre vanno sottolineate le criticità presenti nell’uso dei dati amministrativi soprattutto per la ricerca. Ci sono problemi di data protection e di privacy e noi stessi abbiamo dovuto rallentare o sospendere alcuni studi per un problema di quest’ordine legato ai dati amministrativi. Ma la ricchezza di questi dati che abbiamo sia a livello regionale che nazionale è tale che si potrebbero fare tantissimi studi: non possiamo permetterci di non usarli e vorremmo che i governanti si muovessero in questa direzione. Penso non soltanto al post marketing ma anche ai vaccini oppure ai farmaci vecchi con effetti collaterali non studiati, che a mio parere meritano di essere approfonditi: ad esempio tutti i farmaci che sono stati testati su campioni rappresentati in grandissima percentuale dal sesso maschile. Infatti ci ritroviamo con una serie di effetti collaterali o minor funzionamento del medicinale nel sesso femminile proprio perché non era presente in fase di sperimentazione clinica”.
Contenuti del rapporto
Il Rapporto raccoglie i numerosi studi che l’ARS Toscana conduce in collaborazione con i suoi partner toscani, nazionali e internazionali. Sono inclusi i risultati degli studi condotti per l’Agenzia europea del farmaco per monitorare la sicurezza dei vaccini contro il COVID-19, e l’uso di farmaci per il COVID-19 in donne in gravidanza. Inoltre sono riportati i risultati intermedi degli studi post-autorizzativi dei vaccini Pfizer, Moderna e AstraZeneca. Sono inoltre descritti i risultati intermedi di un altro studio post-autorizzativo riguardante il rischio di sviluppare angioedema a seguito dell’uso di Entresto, un farmaco indicato per l’insufficienza cardiaca. Si valuta inoltre l’efficacia dell’applicazione delle nuove misure europee sulla prevenzione delle gravidanze durante l’utilizzo di valproato e retinoidi orali, due farmaci che hanno un rischio teratogeno.
Diversi contributi derivano da studi multiregionali di farmacovigilanza: il progetto CAESAR, sulle terapie farmacologiche utilizzate nei pazienti affetti da sclerosi laterale amiotrofica e il progetto VALORE sui farmaci biologici nelle malattie reumatiche. Viene inoltre presentato uno studio su efficacia e sicurezza dei farmaci immunosoppressori nei pazienti sottoposti a trapianto renale, curato dal progetto CESIT. Viene descritta l’infrastruttura TheShinISS, sviluppata dall’Istituto Superiore di Sanità, per la conduzione di studi multiregionali sui dati amministrativi italiani.
Il Rapporto include studi eseguiti anche a livello regionale. Gli studi condotti in Toscana riguardano farmaci per l’emicrania, il diabete e il virus respiratorio sinciziale. È presente inoltre una scheda sull’incidenza di emofilia A osservata in Toscana durante e prima la campagna vaccinale anti-COVID19. Un altro studio realizzato in Lombardia indaga invece gli esiti clinici dell’uso di azitromicina nei pazienti malati di COVID-19. Infine, è presente un contributo sulla prevalenza d’uso degli antidepressivi nella popolazione generale curato da un gruppo di ricerca internazionale con rappresentanti dell’Università di Bologna.
La prefazione del volume contiene quest’anno un approfondimento sulla normativa europea e sul quadro istituzionale italiano che regolamentano l’esecuzione degli studi post-autorizzativi sui farmaci.
Come di consueto, il Rapporto viene presentato in un formato fruibile da tutti i potenziali interessati: ogni studio contiene una coppia ‘domanda-risposta’ autocontenuta con elementi di approfondimento per chi desidera comprendere il contesto della domanda e la metodologia che ha prodotto la risposta.
L’illustrazione del Rapporto è stata occasione anche per la presentazione dell’iniziativa VAC4EU da parte del capo del Dipartimento di Data Science e Biostatistica del Julius Center presso l’University Medical Center di Utrecht Miriam Sturkenboom, che presiede il sodalizio.
Dati e sanità: serve una governance
La farmacoepidemiologia è al servizio della programmazione sanitaria e della sanità pubblica. Un altro modo per dirlo è che lo sono i dati. Come fare? “Manca ancora una governance – commenta Antonio Addis, direttore UOSD Epidemiologia del Farmaco, Dipartimento di Epidemiologia Regione Lazio, e membro della CTS AIFA -. Detto così può sembrare uno slogan, ma la realtà è che i punti ci sono e anche di eccellenza: c’è gente che sa sfruttare i dati e trasformarli in risposte utili per gli operatori sanitari e i decisori. Manca invece chi sappia unire i punti. Bisogna capire che c’è un lavoro da fare per poter mettere insieme i diversi tasselli del puzzle. Qual è il corto circuito? La domanda del Garante Privacy, che ha messo tutti in imbarazzo, dalle università ai dipartimenti di farmacoepidemiologia: chi ti ha detto di fare questo mestiere? Non tutti sono stati capaci di avere la risposta pronta. Qualcuno ha risposto per pubblicare, qualcuno perché è importante oppure perché è utile, ma un po’ l’interrogativo ha spiazzato tutti. A questa domanda si può rispondere solo se si uniscono i punti: non basta dire perché lo so fare, bisogna avere una governance“.
“Non darei per scontato il principio per cui bisogna integrare i dati di farmacoepidemiologia e di farmacovigilanza – ha aggiunto Giampiero Mazzaglia, Professore Associato di Epidemiologia e Sanità Pubblica, Università di Milano Bicocca -. Noi siamo consapevoli che l’attività di farmacovigilanza è ben più ampia rispetto alla segnalazione di una reazione avversa, ma serve una spinta culturale. Il Garante ha chiesto chi ci ha portato a svolgere questo tipo di attività. Noi facciamo atti di sanità pubblica, quindi sulla base della normativa non è scontato che bisogna usare il meccanismo del consenso informato così come è stabilito per altre circostanze, a maggior ragione perché non usiamo dati personali ma collettivi. Allora ci possiamo chiedere se un dato collettivo che noi usiamo al servizio della collettività necessiti di tutto il meccanismo archeologico definito dal Gdpr anche per quanto riguarda i dati di soggetti morti. Ma nonostante tutto, un sistema di governance ci deve essere”.
Il principio di finalità del trattamento prevede che i dati personali debbano essere “raccolti per finalità determinate, esplicite e legittime, e successivamente trattati in modo che non sia incompatibile con tali finalità” (art. 5(1)(b) del GDPR)
Un contributo dal punto di vista strettamente giuridico è arrivato dall’avvocato e DPO Filippo Castagna: “In questo periodo ci siamo resi conto del valore del dato in possesso dei vari enti, soprattutto di natura pubblica, e dell’interconnessione delle banche dati. La chiave è sicuramente la normativa sulla protezione dei dati personali, che fornisce gli elementi per trovare soluzioni. Uno degli argomenti che il Garante ripete a ogni istruttoria è la necessità di vedere applicata la normativa del Regolamento generale sulla protezione dei dati (2016/679) e il nostro Codice della Privacy. Lo sottolineo perché tutte le banche dati rispondono a finalità ben individuate: come da Regolamento, i dati devono essere raccolti per finalità determinate, esplicite e legittime. Anche il riuso deve trovare una base giuridica nella normativa.
L’interconnessione di banche dati aggiunge valore, ma in una cornice che non è stata descritta inizialmente dal legislatore. La soluzione è trovare una corretta regolamentazione dei flussi, capendo anche quali dati siano necessari da interconnettere, e basare il trattamento su una base giuridica valida, anche per far fronte alle nuove esigenze scientifiche emergenti.
Va detto anche che i dati sono sempre dell’interessato. Ma, anche se questo è preponderante nella ricerca scientifica, un po’ consensocentrica, non serve sempre il consenso: è lo stesso Gdpr a prevedere basi giuridiche diverse e ulteriori. Il nuovo quadro europeo aiuterà”.
In Italia sono disponibili sia i dati che una grandissima expertise per generare informazioni utili a tutti i livelli
Nel suo intervento, il professore Ordinario di Farmacologia del Dipartimento di Diagnostica e Sanità Pubblica dell’Università degli Studi di Verona Gianluca Trifirò ha rimarcato come nel nostro Paese siano disponibili “non solo i dati ma anche una grandissima expertise per generare informazioni che siano utili in tutti i setting: regolatorio nazionale, regionale e clinico assistenziale”.
Ci sono quindi potenzialità enormi, a fronte di alcune lacune: il fatto che l’uso dei dati sia per lo più gestito a livello di progettualità, e che quindi il problema si confermi la mancanza di governance, oltre ai limiti della privacy. Per questo a livello di Progetto VALORE sono stati organizzati degli incontri per far dialogare la comunità scientifica con i DPO.
Sul tema dell’integrazione di farmacovigilanza e farmacoepidemiologia, ha affermato: “La farmacovigilanza è molto di più che una segnalazione spontanea, anche se questa rimane comunque il cardine delle decisioni regolatorie. Pensiamo ai vaccini Covid: quasi tutte le scelte sono state assunte sulla base di segnalazioni spontanee. C’è una diversità culturale fra chi si occupa di farmacovigilanza con sistemi tradizionali e chi ha una nuova visione, cioè i grandi network di banche dati, e i due mondi comunicano molto poco. Come International Society of Pharmacovigilance abbiamo promosso un gruppo sui Big Data per avvicinare il mondo della segnalazione spontanea alla farmacoepidemiologia”.
Un ulteriore contributo al dibattito è arrivato da Alfredo Vannacci, professore di Farmacologia all’Università di Firenze, tra i responsabili del Centro di Farmacovigilanza in Toscana: “Spesso nel nostro Paese ci si muove in aree grigie, un po’ a tentoni, in zone dove non c’è la norma. In questo caso ci siamo mossi con i criteri della scienza e della ricerca e nessuno aveva detto che non si potesse. Quando viene sollevato, però, dobbiamo riconoscere che non è un problema da poco, perché ci chiediamo: nella nostra società di chi è il dato? Dal punto di vista normativo ed etico, di chi sono dati sanitari? Tenderei a dire sono miei e che chi intende usarli mi deve chiedere il permesso, ma in che modo? Noi pensavamo e continuiamo a pensare che ci fosse un permesso implicito sul tipo di dato: ciò che stiamo facendo è infatti del tutto regolare dal punto di vista etico, perché mira alla salute pubblica, ma lo deve essere anche da quello meramente normativo.
Quanto all’integrazione con la farmacovigilanza, va tenuto presente che si tratta di dati diversi raccolti con finalità diverse: la segnalazione di evento avverso non è come un ricovero in ospedale; secondo me non hanno neanche lo stesso tipo di proprietario. Questo ci fa capire come sia sempre stato difficile collegare i dati generati spontaneamente con altri flussi molto ben direzionati. Su questo fronte non ho una risposta al momento, ma se la situazione ha creato problemi in passato ora ci può venire in aiuto, perché abbiamo il flusso della farmacovigilanza che non risente delle problematiche di cui risentono altri dati dal punto di vista normativo: si può rivelare uno strumento da usare per smuovere un po’ questa impasse”.