Luca Pani e i tagli alla sanità Usa: «La riorganizzazione può compromettere l’efficacia»

Tra rischio di impoverimento del sistema sanitario, impatto sui soggetti più vulnerabili e possibili effetti a catena sull’economia, lo scenario di un Paese che potrebbe rinunciare alla sua capacità di cura e innovazione

Non passa giorno senza che Donald Trump annunci una nuova mossa capace di scuotere il mondo delle politiche sanitarie. Una delle ultime proposte è quella che contempla un drastico taglio dei finanziamenti per le iniziative federali che riguardano salute, sanità e affini per il bilancio 2026 degli Stati Uniti. Tra le misure più rilevanti, una significativa riduzione dei fondi per programmi cruciali come Medicaid (con una previsione di 220 miliardi di dollari in meno), SNAP (Supplemental Nutrition Assistance Program) e il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani, con un taglio del 16% (pari a 15 miliardi di dollari) per l’HHS. Inoltre, la ricerca scientifica e la formazione professionale sanitaria risulterebbero gravemente compromesse, con il budget del National Institutes of Health ridotto da 47 a 27 miliardi di dollari.

Ma in pratica, quali potrebbero essere i riflessi sull’accesso alla sanità da parte dei cittadini americani e, più in generale, le conseguenze su salute, medicina e ricerca scientifica?

Ne abbiamo parlato con Luca Pani, già direttore generale di AIFA, oggi ordinario di Farmacologia all’Università di Modena e Reggio Emilia e Professor of Clinical Psychiatry presso l’Università di Miami.

Qual è l’impatto previsto dei tagli alla spesa sanitaria sul sistema di assistenza sanitaria statunitense, in particolare su Medicaid, Supplemental Nutrition Assistance Program (SNAP) e il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani (HHS)?

«Prima di rispondere nel merito, vorrei premettere che rivedere un sistema sanitario ritenuto inefficiente è in sé legittimo – anzi, talvolta necessario. Tuttavia, l’entità e le modalità di questi tagli destano preoccupazione. In base alle proposte attuali, i tagli cumulativi a Medicaid (assistenza sanitaria per i meno abbienti) e a SNAP (assistenza alimentare) supererebbero i 1.100 miliardi di dollari in un decennio. Ciò equivarrebbe a una contrazione massiccia dei servizi di base di cui milioni di americani a basso reddito dipendono quotidianamente. Uno studio del Commonwealth Fund stima, ad esempio, che solo nel 2026 verrebbero a mancare 95 miliardi in fondi federali alle comunità locali, con oltre 1,03 milioni di posti di lavoro persi (soprattutto nella sanità e nel settore alimentare) e una riduzione del Pil statale complessivo di 113 miliardi. Paradossalmente, questa contrazione economica locale supererebbe i risparmi ottenuti a livello federale, segnalando potenziali problemi di sostenibilità a lungo termine. In pratica, meno finanziamenti Medicaid significano meno rimborsi a ospedali, medici, farmacie e case di cura, e tagli a SNAP si traducono in minori acquisti presso negozi di alimentari – un effetto a cascata che colpisce l’intero indotto (fornitori medicali, agricoltori, trasporti).

Tagliare Medicaid e SNAP significa mettere a rischio salute e nutrizione di milioni di americani a basso reddito

Nel concreto, l’impatto sul programma Medicaid potrebbe essere drastico: i governi statali, che gestiscono Medicaid con fondi federali per circa due terzi, si troverebbero con enormi buchi di bilancio. È improbabile che gli stati possano compensare totalmente la perdita di finanziamenti federali, quindi si prevedono restrizioni all’idoneità, riduzione di benefici o rimborsi più bassi ai fornitori. In altre parole, molte persone a basso reddito rischierebbero di perdere la copertura sanitaria o vedere limitato il proprio accesso a cure essenziali. Lo stesso dicasi per SNAP: tagliare decine di miliardi di assistenza alimentare significherebbe ridurre il potere d’acquisto in alimenti nutrienti per milioni di famiglie povere, con possibili aumenti della insicurezza alimentare e malnutrizione, specialmente nei periodi di crisi economica.

Per quanto riguarda il dipartimento della Salute e Servizi Umani (HHS), è prevista una profonda riorganizzazione interna. Il piano annunciato comporta la riduzione del personale federale di circa 20.000 dipendenti (portando l’organico da 82.000 a circa 62.000) attraverso licenziamenti e (pre)pensionamenti, e l’accorpamento di 28 divisioni esistenti in 15 nuove divisioni più snelle. Nascerà, ad esempio, una nuova Administration for a Healthy America (AHA) che unirà diverse agenzie in un unico ente. Ufficialmente, le autorità assicurano che questa ristrutturazione “non andrà a intaccare i servizi di Medicare e Medicaid” erogati agli utenti e che i tagli mirano piuttosto a eliminare ridondanze burocratiche, migliorando efficienza e risposta ai bisogni dei cittadini. Resta però il fatto che un HHS con meno risorse umane e finanziarie – si parla di un budget ridotto di circa 40 miliardi di dollari, oltre il 30% in meno – avrà meno capacità operativa. In sintesi, l’impatto previsto è un sistema più “magro” dal lato governativo, con risparmi di bilancio, ma ottenuti a costo di una ridotta erogazione di servizi sanitari e sociali e di potenziali tensioni su equità e accesso alle cure».

Come questi tagli influenzeranno la salute dei bambini e dei gruppi vulnerabili?

«I bambini e gli altri gruppi vulnerabili sono probabilmente i più colpiti da questi provvedimenti, dal momento che costituiscono una larga fetta dei beneficiari di Medicaid e SNAP. Basti pensare che circa 40 milioni di bambini – quasi un bambino su due negli Stati Uniti – ottengono la copertura sanitaria attraverso Medicaid o il programma Chip (assicurazione per bambini). Allo stesso modo, i minori rappresentano circa il 40% di tutti i partecipanti a SNAP, e ben il 62% delle famiglie che ricevono aiuti alimentari SNAP includono bambini. Questo significa che tagliare Medicaid e SNAP equivale, in larga misura, a tagliare servizi essenziali per bambini: cure pediatriche, visite di controllo, vaccinazioni da un lato; pasti nutrienti quotidiani dall’altro. Se le proposte si concretizzassero, molte famiglie a basso reddito potrebbero trovarsi costrette a rinunciare a visite mediche per i figli o ad alimenti sani sulla tavola.

Circa 40 milioni di bambini – quasi un bambino su due negli Stati Uniti – ottengono la copertura sanitaria attraverso Medicaid o il programma Chip

Le conseguenze sanitarie potrebbero essere gravi. Ridurre la copertura Medicaid per i più piccoli implica meno accesso a pediatri, dentisti, servizi di sviluppo e terapie precoci. In assenza di cure preventive, aumenterebbero le malattie non trattate in età infantile, con ripercussioni sul lungo periodo (ad esempio condizioni croniche o disabilità non gestite adeguatamente). Sul fronte alimentare, un calo dei benefici SNAP aggraverebbe la malnutrizione infantile e la fame in comunità già vulnerabili, con impatti sullo sviluppo cognitivo e fisico dei bambini. Organizzazioni e studiosi avvertono che tagli del genere metterebbero a repentaglio la salute di milioni di persone fragili e aumenterebbero la fame e le privazioni per innumerevoli famiglie – tra cui bambini, donne in gravidanza, anziani e disabili.

In altri termini, si rischia di ampliare le già preesistenti disuguaglianze di salute: quei bambini che oggi beneficiano di un minimo di rete di protezione sanitaria e nutrizionale potrebbero scivolare indietro, con più ricoveri evitabili e peggiori esiti di salute rispetto ai coetanei più abbienti.

Anche altri gruppi vulnerabili subirebbero ripercussioni. Gli anziani a basso reddito, ad esempio, spesso dipendono da Medicaid per l’assistenza a lungo termine: oltre il 60% degli ospiti delle case di riposo negli Usa ha le rette coperte da Medicaid.

Tagliare questi fondi significa mettere a rischio la continuità delle cure per molti anziani fragili, che potrebbero trovarsi senza supporto per servizi essenziali (dall’assistenza domiciliare alle residenze sanitarie).

Bambini, madri in attesa, disabili, anziani e minoranze – cioè coloro che già affrontano maggiori ostacoli nell’accesso alle cure – rischiano di essere i più danneggiati in termini di salute e benessere

Le persone con disabilità potrebbero vedere ridotti i programmi di supporto a domicilio e di assistenza comunitaria.

Inoltre, va notato che alcuni programmi mirati alle minoranze e alle donne verrebbero ridimensionati: il nuovo assetto di HHS prevede, ad esempio, tagli per 180 milioni di dollari a iniziative come il programma di prevenzione della gravidanza adolescenziale e agli uffici per la salute delle donne e delle minoranze.

Ciò segnala un indebolimento dell’attenzione verso le esigenze specifiche di questi gruppi. In sintesi, bambini, madri in attesa, disabili, anziani e minoranze – cioè coloro che già affrontano maggiori ostacoli nell’accesso alle cure – rischiano di essere i più danneggiati in termini di salute e benessere da queste misure».

In che modo la riorganizzazione dell’HHS, inclusa la creazione dell’Administration for a Healthy America (AHA), potrebbe influire sull’efficacia dei programmi sanitari?

«La riorganizzazione dell’HHS e la creazione della nuova Administration for a Healthy America  avranno effetti significativi sull’implementazione dei programmi sanitari federali. Dal punto di vista teorico, l’idea alla base di AHA è quella di snellire e coordinare meglio funzioni oggi disperse in varie agenzie. In pratica, la AHA accorperà entità come l’Hrsa (agenzia per i servizi sanitari di base), la Samhsa (agenzia per abuso di sostanze e salute mentale), l’Ahrq (agenzia per la ricerca sulla qualità dell’assistenza), l’Acl (amministrazione per la vita comunitaria) e altri uffici in un’unica struttura centralizzata.

Questo nuovo “super-dipartimento” della salute si occuperà di settori cruciali – dalla cura primaria alla salute materno-infantile, dalla salute mentale all’Hiv/Aids, fino allo sviluppo della forza lavoro sanitaria – riunendo programmi prima separati. L’obiettivo dichiarato è eliminare duplicazioni burocratiche e aumentare la sinergia tra programmi, ad esempio integrando meglio gli interventi di salute pubblica con quelli di assistenza clinica, e focalizzarsi sulle priorità nazionali (come combattere le malattie croniche attraverso cibo sano, acqua pulita e riduzione delle tossine ambientali, in linea con la nuova missione di HHS). In sintesi, sulla carta la riorganizzazione potrebbe rendere HHS più efficiente e reattivo, concentrando risorse su ciò che conta di più per “un’America in salute”.

Trump promette efficienza ma i tagli potrebbero mettere a rischio l’efficacia dei programmi nel breve-medio periodo

Detto questo, vi è il rovescio della medaglia: un cambiamento così radicale, attuato in tempi brevi e con un pesante taglio di personale, rischia di compromettere l’efficacia di molti programmi nel breve-medio termine.

La perdita di migliaia di dipendenti esperti significa inevitabilmente diluire competenze tecniche e capacità operative in settori specializzati.

Abbiamo già visto segnali allarmanti: nel Centers for Disease Control and Prevention (Cdc), ad esempio, l’intera divisione per i Disturbi del Sangue e la Genomica di Sanità Pubblica è stata di fatto smantellata (quasi tutto il personale messo in congedo), suscitando l’allarme degli esperti di ematologia. La Società Americana di Ematologia ha avvertito che l’eliminazione di quella divisione “avrà conseguenze gravi e irreversibili”, interrompendo programmi sanitari vitali, bloccando ricerche cruciali e aumentando ricoveri e decessi prevenibili in ambiti come l’anemia falciforme e l’emofilia.

Questo contraddice l’obiettivo proclamato di potenziare la lotta alle malattie croniche, perché si perdono unità operative chiave proprio in quell’ambito. Un destino simile sta toccando ai programmi per l’Hiv/Aids: con il riassetto, le funzioni relative all’Hiv vengono trasferite sotto la nuova AHA, ma circa la metà del personale del Cdc dedicato alla prevenzione dell’Hiv è stato licenziato. Gli esperti del settore, come l’Hiv+Hepatitis Policy Institute, temono che questa emorragia di competenze – definita “una distruzione che non può essere rimpiazzata” – condurrà nei prossimi anni a un aumento delle nuove infezioni da Hiv e a ritardi nel controllo dell’epidemia.

In sostanza, la riorganizzazione di AHA potrebbe portare benefici di coordinamento solo se riuscirà a mantenere intatta (o rapidamente ricostruire) la capacità tecnica che oggi risiede nelle singole agenzie. Ci sono dubbi fondati su questo aspetto: l’eliminazione o fusione di molti uffici specializzati potrebbe far perdere il focus su determinate popolazioni o problemi (ad esempio, l’Istituto nazionale per la Salute delle Minoranze dell’NIH risulta eliminato nella bozza di riorganizzazione, così come alcuni programmi mirati nelle comunità rurali e di frontiera). Inoltre, il processo stesso di transizione – accorpare strutture, ridefinire catene di comando, riallocare programmi – può generare disservizi temporanei, confusione nei ruoli e ritardi nell’erogazione delle prestazioni. In parole povere, c’è il rischio che nell’immediato l’HHS riorganizzato sia meno efficace e reattivo di prima, proprio quando molti bisogni aumentano. Molte associazioni professionali e gruppi di pazienti stanno già chiedendo correzioni di rotta (alcuni, persino azioni legali per bloccare parti della riforma) perché temono che il “cura dimagrante” dell’Hhs vada troppo oltre, compromettendo la missione fondamentale di tutela della salute pubblica.

Solo il tempo dirà se l’AHA sarà in grado di realizzare le promesse di maggiore efficienza senza sacrificare l’efficacia: per ora, il bilancio è una forte incertezza sulla capacità dei programmi sanitari federali di mantenere i livelli di servizio e risultati finora garantiti».

Quali sono le implicazioni per la ricerca scientifica e la formazione professionale sanitaria?

«Le implicazioni per la ricerca scientifica negli Stati Uniti sono potenzialmente devastanti. Il National Institutes of Health (NIH), principale ente finanziatore della ricerca medica mondiale, vedrebbe il proprio budget annuale ridotto di circa il 40% – da 47 miliardi a 27 miliardi di dollari. Un taglio di tale portata non ha precedenti nella storia recente e significherebbe migliaia di progetti di ricerca in meno finanziati ogni anno.

In pratica, laboratori universitari e centri medici di tutto il paese riceverebbero molti meno fondi per studiare nuove cure contro il cancro, sviluppare vaccini, testare terapie geniche o monitorare malattie emergenti. Molti giovani ricercatori potrebbero perdere borse di studio o scegliere di trasferirsi all’estero, e ricerche promettenti verrebbero interrotte a metà.

Molti giovani ricercatori potrebbero perdere borse di studio o scegliere di trasferirsi all’estero, e ricerche promettenti verrebbero interrotte a metà

Organizzazioni come l’American Public Health Association hanno lanciato l’allarme: i tagli proposti “bloccheranno i progressi della ricerca medica in corso e distruggeranno i finanziamenti per la prevenzione e i trattamenti futuri”, con il risultato che terapie innovative saranno ritardate o cancellate e scoperte potenzialmente rivoluzionarie non vedranno mai la luce. Inoltre, la riduzione di 44% al budget dei Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) annunciata contestualmente colpirebbe anche la ricerca epidemiologica e la preparazione alle pandemie: esperti avvertono che, con un Cdc indebolito, il Paese sarebbe molto meno preparato di fronte a future emergenze sanitarie.

Anche la formazione dei professionisti sanitari risentirebbe di queste misure.

L’Health Resources and Services Administration (Hrsa) – agenzia chiave che finanzia programmi per formare medici di base, infermieri, operatori nelle comunità svantaggiate – subirebbe un taglio di 1,73 miliardi di dollari. Ciò significa meno borse di studio, meno programmi di tirocinio e minor supporto alle università e agli ospedali che istruiscono la prossima generazione di medici e infermieri.

Nel piano trapelato di HHS, vengono eliminati esplicitamente numerosi programmi di sviluppo della forza lavoro sanitaria: gli uffici statali di sanità rurale, i finanziamenti per le residenze mediche nelle zone rurali, i programmi di formazione in cure primarie, le iniziative per aumentare la diversità razziale nel campo infermieristico, e persino alcuni fondi per la formazione odontoiatrica e la salute comportamentale risultano azzerati.

Tagliare fondi alla ricerca e alla formazione sanitaria è come “mangiare i semi” che dovrebbero garantire i frutti di domani

Queste cancellazioni colpiscono duro soprattutto le comunità carenti di professionisti: ad esempio le aree rurali, già oggi in difficoltà nel reclutare medici, vedrebbero svanire i programmi federali che sostenevano l’apertura di ospedali e cliniche e la formazione di medici locali.

A lungo termine, meno medici di base e meno infermieri formati implicano minore accesso alle cure per la popolazione e un indebolimento della capacità del sistema di rinnovarsi. Va aggiunto che sono previsti tagli anche a programmi di salute pubblica innovativi: per esempio, la fusione dell’Agenzia per la Qualità dell’Assistenza (Ahrq) nell’ufficio di pianificazione strategica di HHS lascia incerto il futuro di molte ricerche sui modi per migliorare la qualità e la sicurezza delle cure.

In sintesi, tagliare fondi alla ricerca e alla formazione sanitaria è come “mangiare i semi” che dovrebbero garantire i frutti di domani: si rischia di rallentare il progresso scientifico e di ritrovarci in pochi anni con meno innovazione medica e carenza di personale qualificato, proprio quando la popolazione invecchia e la domanda di cure aumenta».

Quali sono le prospettive politiche per l’approvazione di questi tagli?

«Le prospettive politiche al momento sono incerte e alquanto combattute. Queste proposte di taglio alla spesa sanitaria hanno innescato un acceso dibattito a Washington.

Da un lato, l’amministrazione e la maggioranza alla Camera dei Rappresentanti appaiono determinate a perseguire l’obiettivo di ridurre drasticamente la spesa, avendo approvato una risoluzione di bilancio che incorpora i tagli di cui abbiamo discusso.

Dall’altro lato, il Senato – dove l’equilibrio politico è più ristretto – sembra più cauto: la risoluzione di bilancio approvata dai senatori, per esempio, non dettaglia tagli ingenti e menziona solo un minimo di 1 miliardo di dollari di riduzione (pur lasciando la porta aperta a tagli più profondi). Questo indica che anche all’interno della coalizione di governo c’è una certa riluttanza nell’abbracciare pienamente misure così severe.

Le cifre del presidente Trump sono una proposta, ma spetta a Camera e Senato concordare ed emanare le leggi di spesa

In generale, è bene ricordare che il Congresso ha l’ultima parola sul budget federale: le cifre del presidente Trump sono una proposta, ma spetta a Camera e Senato concordare ed emanare le leggi di spesa. Non sono dunque obbligati a seguire alla lettera le intenzioni dell’esecutivo, specialmente se emergono contrasti o pressioni contrarie. Quali sono queste pressioni? Innanzitutto l’opposizione politica: i parlamentari democratici hanno chiarito di voler difendere Medicaid e SNAP, e probabilmente sfrutteranno il controllo di commissioni o il voto al Senato per attenuare i tagli.

Ma forse più rilevante è il ruolo di alcuni esponenti moderati dello stesso Partito Repubblicano: senatori e governatori dei loro stessi ranghi, provenienti da stati che beneficiano ampiamente di Medicaid (pensiamo agli stati rurali o a quelli che hanno esteso Medicaid con l’Affordable Care Act), potrebbero opporsi a tagli che penalizzerebbero duramente i propri territori. Abbiamo già visto 19 stati muoversi sul piano legale per contestare la legittimità di certi licenziamenti all’HHS, segno che il malcontento non è limitato a un solo schieramento.

Inoltre, l’opinione pubblica gioca un ruolo non trascurabile: programmi come Medicaid godono di ampio consenso tra gli americani (oltre i due terzi ne hanno un’opinione favorevole) e qualsiasi mossa per ridurne la portata rischia di essere impopolare.

Organizzazioni influenti – dagli ospedali alle associazioni mediche, dai gruppi di pazienti alle Ong come Aarp per i pensionati – stanno facendo lobby attiva affinché il Congresso rigetti o mitighi questi tagli, sottolineando i costi umani ed economici di scelte troppo drastiche.

In definitiva, il destino di queste misure sarà frutto di un complicato braccio di ferro politico.

È possibile che si arrivi a un compromesso: ad esempio tagli meno profondi o graduali, oppure l’introduzione di condizioni (come requisiti di lavoro per alcuni beneficiari) al posto di semplici tagli lineari. Potrebbe anche darsi che le misure vengano legate alle trattative sul tetto del debito o su altre leggi di spesa, diventando merce di scambio nel negoziato fra partiti.

Ciò che è chiaro è che approvare integralmente un pacchetto di riduzioni così estese non sarà semplice: come diceva un’ex Segretario Hhs, “tagliare un terzo del budget sanitario è un atto sconsiderato” e molti legislatori, anche conservatori, “non avrebbero mai immaginato di proporre una distruzione di tale portata”. Dunque le proposte, così come formulate, potrebbero subire modifiche sostanziali nel processo legislativo.

Da scienziato e clinico, non da politico, osservo questa dinamica con molte preoccupazioni che mi auguro possano essere ridotte in un prossimo futuro.

I tagli brutali e generalizzati funzionano solo se si è disposti ad accettare anche effetti collaterali molto pesanti

Rivedere un sistema che non funziona è legittimo, persino doveroso: la spesa sanitaria americana ha inefficienze note, ed è giusto interrogarsi su come ottimizzarla. Tuttavia, esistono modi diversi di procedere. Si potrebbero sperimentare riforme graduali, interventi mirati contro frodi o sprechi, investimenti in prevenzione per risparmiare in cure, e così via. I tagli brutali e generalizzati sono un po’ la “mano di ferro” delle cure: funzionano solo se si è disposti ad accettare anche effetti collaterali molto pesanti.

A meno che l’obiettivo non sia davvero quello di innescare una rivoluzione dirompente e sistemica della sanità pubblica americana – cioè cambiare radicalmente il patto sociale su cui si basa Medicaid, l’assistenza ai poveri e la salute pubblica – questa strada dei tagli lineari appare rischiosa e dolorosa.

E se davvero si vuole una rivoluzione, bisogna ricordare che le rivoluzioni richiedono inevitabilmente “sangue, sudore e lacrime”. In altre parole, un cambiamento così drastico imporrebbe sacrifici enormi sia al sistema politico che ai cittadini: bisogna essere pronti a pagarne il prezzo in termini di consenso, di stabilità e, purtroppo, di salute di molte persone nel breve periodo.

È una scelta di portata storica. Le prossime settimane e mesi ci diranno se c’è davvero la volontà politica di spingersi fino a quel punto, o se prevarrà un approccio più prudente e bilanciato».

Può interessarti

Carlo M. Buonamico
Giornalista professionista esperto di sanità, salute e sostenibilità