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Verso una fisioterapia di prossimità

Nel contesto della riforma dell’assistenza territoriale, la fisioterapia può svolgere un ruolo strategico per garantire cure più accessibili ed efficienti. La recente analisi della Fondazione GIMBE, realizzata per l’Ordine dei Fisioterapisti del Piemonte e della Valle d’Aosta, ha esaminato le attuali modalità di accesso ai servizi fisioterapici, evidenziando criticità e possibili soluzioni per migliorarne disponibilità ed efficienza.

A livello internazionale, l’accesso diretto alla fisioterapia è già realtà in diversi paesi, tra cui Regno Unito, Australia e Svezia. In Italia, una delle prospettive in discussione riguarda la possibilità per i pazienti di accedere direttamente alla fisioterapia per specifiche condizioni cliniche, su prescrizione del Medico di Medicina Generale, del Pediatra di Libera Scelta o dello Specialista. Questa misura, attualmente oggetto di confronto istituzionale, potrebbe ridurre i tempi di attesa e migliorare l’integrazione dei percorsi di cura.

Come sono organizzati i servizi fisioterapici in Italia? Quali differenze normative esistono tra le diverse regioni? E in che modo il ruolo del fisioterapista può evolvere alla luce delle trasformazioni previste dal DM77 e dal PNRR?

Ne parliamo con:

  • Tiziano Innocenti
    Direttore dell’Unità di Metodologia della Ricerca della Fondazione GIMBE
  • Franco Ripa
    Vicedirettore dell’Assessorato alla Sanità del Piemonte
  • Sabrina Altavilla
    Presidente dell’Ordine dei Fisioterapisti di Piemonte e Valle d’Aosta

Conduce:

  • Rossella Iannone
    Direttrice responsabile TrendSanità

Congresso FISMAD, il punto sul carcinoma epatocellulare: prevenzione, diagnosi precoce e nuove terapie fanno la differenza

Il carcinoma epatocellulare è il tumore primitivo maligno del fegato più frequente e costituisce una delle principali cause di morte per cancro a livello mondiale. Al tema, il XXXI Congresso nazionale delle Malattie Digestive, promosso dalla Federazione Italiana delle Società delle Malattie dell’Apparato Digerente (FISMAD), che vede la presenza numerosa della Società Italiana di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva (SIGE), ha dedicato una sessione.

In Italia, secondo i dati più recenti, nel 2023 sono state stimate circa 12.200 nuove diagnosi di tumore epatico, con un tasso incidenza/letalità ancora vicino all’unità, a segnalare come questa neoplasia sia spesso diagnosticata in fase avanzata e pertanto difficilmente curabile. Attualmente, nel nostro Paese, si stima che oltre 33.000 persone vivano dopo una diagnosi di tumore del fegato.

Eziologia e proiezioni

Il carcinoma epatocellulare insorge quasi esclusivamente in soggetti affetti da epatopatia cronica, in particolare nei pazienti affetti da cirrosi epatica di diversa natura – tra cui, virus da epatite B e C, abuso alcolico, e soprattutto la MASLD o malattia epatica associata a disfunzione metabolica. La steatosi epatica, condizione caratterizzante la MASLD, è attualmente una delle patologie più comuni nei Paesi occidentali, colpendo globalmente circa un terzo degli adulti e fino al 90% dei pazienti affetti da obesità, ipertensione arteriosa diabete mellito tipo 2. Da qui al 2040 in molti Paesi europei è previsto un aumento dei casi di carcinoma epatocellulare, e questo andamento. è principalmente attribuibile all’elevata assunzione di alcol, all’obesità e alle patologie ad essa collegate, in assenza di adeguati programmi di educazione a corretti stili di vita.

In questo contesto, «il ruolo dell’epatologo è centrale e strategico: una gestione specialistica e precoce delle epatopatie croniche consente non solo di abolire, o rallentare, la progressione della malattia epatica diminuendo il rischio di sviluppare il carcinoma epatocellulare, ma anche di porre in essere programmi di sorveglianza volti all’identificazione precoce del tumore, migliorando pertanto in modo significativo la prognosi dei pazienti – sostiene Edoardo G. Giannini, Professore Ordinario di Gastroenterologia all’Università di Genova, tra i protagonisti del Congresso FISMAD in corso a Roma dal 13 al 15 aprile -. L’ecografia addominale da eseguire ogni sei mesi, eventualmente associata al dosaggio dell’alfa-fetoproteina, rappresenta attualmente lo strumento di sorveglianza raccomandato per i pazienti a rischio di sviluppare il carcinoma epatocellulare». 

Cosa fare

«Quando, nel corso di programmi di screening e sorveglianza, viene identificata una lesione epatica sospetta, si deve procedere con esami di imaging di secondo livello – tomografia computerizzata o risonanza magnetica epatica con mezzo di contrasto – in grado di fornire elementi diagnostici fondamentali per la caratterizzazione della lesione e, nei casi dubbi,  alla biopsia – prosegue Giannini -. Negli ultimi anni, il tradizionale, rigido modello di classificazione è stato superato da un approccio più flessibile e personalizzato, sviluppato grazie ad autori italiani, che tiene conto non solo delle caratteristiche tumorali (numero, dimensioni e localizzazione delle lesioni) e della riserva funzionale epatica, ma anche delle comorbidità, dello stato generale del paziente e delle sue preferenze. In questo modo, la selezione dell’opzione più appropriata (chirurgica, locoregionale, sistemica o palliativa) avviene nell’ambito di un team multidisciplinare valutando le strategie disponibili in modo gerarchico, partendo da quelle a maggiore intento curativo per declinare progressivamente a quelle di controllo della malattia o di supporto sintomatico». 

Terapie in atto

«Per i pazienti in stadio iniziale o con malattia localizzata, sono disponibili terapie potenzialmente curative, tra cui la resezione chirurgica, il trapianto di fegato o l’ablazione percutanea mediante radiofrequenza o microonde. Nei casi di malattia più avanzata, le opzioni includono trattamenti locoregionali come la chemioembolizzazione transarteriosa, oppure terapie sistemiche, tra cui i farmaci a bersaglio molecolare (sorafenib, lenvatinib) e l’immunoterapia (atezolizumab + bevacizumab, durvalumab + tremelimumab), con un progressivo miglioramento delle prospettive di sopravvivenza anche nei pazienti non candidabili a trattamenti curativi. In tale contesto, sta acquisendo crescente rilevanza anche il concetto di terapia di conversione, ovvero l’impiego mirato di trattamenti sistemici o locoregionali con l’obiettivo di ridurre il carico tumorale e rendere potenzialmente eleggibili alla chirurgia o al trapianto pazienti inizialmente non candidabili a trattamenti curativi», conclude Giannini. 

Infine, la gestione del paziente affetto da carcinoma epatocellulare richiede una presa in carico multidisciplinare, in cui l’epatologo continua a ricoprire un ruolo chiave insostituibile, non solo nella diagnosi precoce, ma anche nella valutazione e preservazione della funzione epatica, nella scelta condivisa dei trattamenti e nella loro gestione, e nella rivalutazione iterativa dei pazienti al fine di migliorare la sopravvivenza globale.

La telemedicina per la riabilitazione cardiologica territoriale: il modello Maugeri 

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«Tutto è iniziato da un problema reale: a fine anni ‘90 i Centri che seguivano i pazienti con scompenso cardiaco avanzato in lista per il trapianto cardiaco erano pochissimi e arrivavano da tutta Italia. Così, spesso l’unica opzione per il paziente e i familiari era stazionare vicino agli ospedali o ai centri di riabilitazione, ma la situazione era diventata insostenibile». Simonetta Scalvini oggi è Responsabile della Cardiologia riabilitativa e del Servizio di Continuità Assistenziale di IRCSS Maugeri Lumezzane (Brescia). La specialista ha sempre avuto una passione per l’organizzazione e i percorsi di cura per i pazienti cronici. 

«In Val Camonica i pazienti che abitavano lontano dall’ospedale spesso sottovalutavano i sintomi cardiologici, arrivando troppo tardi al Pronto Soccorso, oppure in modo non appropriato. Il collega cardiologo del posto mi disse che in Israele avevano sviluppato ECG portatili che trasmettevano i tracciati via telefono e successivamente la risposta poteva essere inviata via fax». 

Nasce così il primo progetto di telemedicina cardiologica territoriale: si parte con uno studio pilota che coinvolge 10 medici di medicina generale della Val Camonica e 10 pazienti con scompenso cardiaco di Maugeri. «I MMG eseguivano l’ECG, lo trasmettevano, e parlavano subito con un cardiologo. Da quel primo studio pubblicato sono seguite oltre 40 pubblicazioni e l’espansione della rete a oltre 1.800 medici di famiglia. Il risultato? Una riduzione dell’80% delle visite inappropriate e maggiore efficienza delle liste d’attesa e dell’invio in Pronto Soccorso. Oggi corrisponderebbe al teleconsulto specialistico.

L’infermiere case manager

Seguendo i modelli internazionali, Scalvini introduce la figura dell’infermiere case manager, che segue il paziente, raccoglie i dati clinici e riceve i dati dai dispositivi collegandosi alle piattaforme in cloud. «Si tratta di una sorta di “tutor” che prende in carico il paziente alla dimissione e coordina la sua gestione fuori dall’ospedale integrandosi con gli specialisti e gli MMG». La gestione del cronico infatti non è monopatologia: «La nurse, a seconda delle problematiche che ha il paziente, chiama lo specialista di riferimento. Questo modello ha comportato una riduzione delle riospedalizzazioni, il raggiungimento dei target terapeutici, la precoce conoscenza dei sintomi del paziente, l’aumento della parte educazionale in cardiologia». 

Simonetta Scalvini

Con il tempo questo paradigma è stato esteso ad altre aree, come la pneumologia, la neurologia e la fisiatria, sempre con l’obiettivo di mantenere la continuità assistenziale. «La principale barriera a questo modello è stata la difficoltà di cambiare il modello organizzativo, soprattutto per gli specialisti. Oggi i giovani medici sono più avvezzi alle nuove tecnologie e ai nuovi modelli organizzativi; all’università invece si insegna solo la gestione dell’acuto, mentre solo raramente si  affrontano temi inerenti alla cronicità, all’economia sanitaria e all’organizzazione».

L’introduzione di nuove tecnologie comporta un maggior controllo sull’operato del medico, ma assicura anche una migliore aderenza alle linee guida e fornisce elementi su cui intervenire qualora non sia ottimale.


Affidare un paziente a un’infermiera significa aumentare la percentuale di raggiungimento degli obiettivi terapeutici rispetto a un ambulatorio divisionale poco organizzato: «So che se ci saranno dei problemi la nurse avviserà lo specialista più indicato, altrimenti seguirà da vicino la quotidianità del paziente, fornendo anche assistenza per quanto riguarda i supporti digitali».

Il problema dell’aderenza terapeutica e dell’utilizzo nel mondo reale dei farmaci che hanno dimostrato grande efficacia nei principali trial clinici è da sempre annoso: «In passato abbiamo pubblicato un lavoro che dimostrava che, in tutta la Regione Lombardia, su oltre 150.000 pazienti con scompenso cardiaco cronico, quelli trattati con i farmaci consigliati nelle linee guida erano appena il 19%», ricorda Scalvini. 

Telemechron, pensato per durare oltre la sperimentazione

Maugeri può essere considerato a tutti gli effetti un servizio di telemedicina: dal 2006 in poi, grazie a una delibera della Regione Lombardia, è stata attivata la tariffa per la telesorveglianza dello scompenso cardiaco, e nel 2011 quella per la BPCO. Vi è poi un Laboratorio di telemedicina dove si studiano le nuove applicazioni e per fare questo si partecipa ai grandi bandi europei e nazionali per la ricerca.

Il case manager è una sorta di “tutor” che prende in carico il paziente alla dimissione e coordina la sua gestione fuori dall’ospedale integrandosi con gli specialisti e gli MMG

Qualche anno fa nasce Telemechron, un progetto per pazienti con scompenso cardiaco e diabete. «Quest’ultima è una delle malattie che più frequentemente porta a una patologia cardiaca. Il nostro obiettivo è modificare gli stili di vita del paziente: incentivare attività fisica, calo ponderale, controllo dei parametri clinici». In questo caso la tecnologia arriva da CompuGroup Medical, che mette a disposizione un ECG indossabile (CGM HI 3 LEADS ECG) un contapassi  FitBit e una piattaforma per la raccolta dati (CGM CARE MAP), che viene poi completata da un’App terza. «L’azienda aveva dispositivi che sarebbero stati utili per il progetto e la voglia di sperimentare con noi», dice la cardiologa.

Per quanto riguarda il personale, il team è stato composto da una case manager infermieristica e una laureata in scienze motorie che si è occupata dell’attività fisica adattata. 

Telemechron è durato 3 anni e ha coinvolto, oltre a Maugeri, l’USL Toscana Nord Ovest e Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari della Provincia Autonoma di Trento. Sono oltre 100 i pazienti arruolati. «Il progetto è randomizzato e ha mostrato che chi ha ricevuto il trattamento ha registrato un netto miglioramento dell’attività fisica, un calo ponderale, il raggiungimento dei target terapeutici e dei parametri quali l’emoglobina glicata e l’LDL. Avevamo già svolto altri studi, ma in questo caso volevamo utilizzare un approccio personalizzato, che superasse i limiti del classico modello riabilitativo e che potesse durare oltre il progetto. Per questo abbiamo cercato di trovare condizioni che fossero più vicine possibile alla vita quotidiana dei singoli pazienti».

FP CIDA e CIMO-FESMED al Ministro Zangrillo: «Accorpare i rinnovi 2022-2024 e 2025-2027. Serve una svolta per i dirigenti pubblici»

«Occorre una svolta netta per ridare credibilità alla contrattazione pubblica». È quanto hanno scritto la Federazione della Funzione Pubblica dei dirigenti, professionisti e delle alte professionalità e la Federazione CIMO-FESMED, aderenti a CIDA, in una lettera indirizzata al Ministro per la Pubblica Amministrazione, Paolo Zangrillo, in cui si propone di accorpare in un’unica tornata i rinnovi contrattuali dei trienni 2022/2024 e 2025/2027.

La richiesta nasce dalla constatazione di un blocco sostanziale: a oggi, risulta firmato solo il CCNL 2022/24 del comparto Funzioni Centrali. Tutti gli altri comparti sono fermi o in forte ritardo, mentre per le aree della dirigenza e delle alte professionalità – rappresentate da FP CIDA – e dei medici – rappresentate da CIMO-FESMED – le trattative non sono nemmeno partite.

Secondo FP CIDA, il mancato rinnovo comporta una perdita economica stimata in circa 400 euro lordi mensili per i funzionari e quasi 600 euro per dirigenti e professionisti pubblici, con effetti diretti sulla tenuta del potere d’acquisto e sulla motivazione del personale. Per quanto riguarda i medici, CIMO-FESMED ha calcolato, per il solo triennio contrattuale 2022-2024, una perdita mensile pari in media a circa 400 euro lordi.

FP CIDA segnala che lo stanziamento complessivo previsto (fonte ARAN) ammonta a 31 miliardi di euro su nove anni: 20 miliardi per i trienni 2022/24 e 2025/27 e 11 miliardi per il 2028/30. Una cifra importante, che rende tecnicamente possibile l’unificazione dei due trienni, anche alla luce delle risorse già previste dalla Legge di Bilancio 2025/2027.

«Accorpare i due trienni significherebbe accelerare i tempi e dare finalmente un segnale di rispetto a chi ogni giorno serve lo Stato – dichiara Roberto Caruso, Presidente di FP CIDA –. Ma per essere davvero all’altezza della platea coinvolta, oltre 3 milioni di lavoratori pubblici compresi i non contrattualizzati, le risorse vanno necessariamente integrate. Lo stanziamento attuale, pur significativo, non basta a garantire un rinnovo dignitoso e tempestivo dei contratti».

«La fuga dei medici dal Servizio sanitario nazionale rischia di svuotare gli ospedali, e l’unico modo per arrestarla è rendere nuovamente attrattivo il lavoro nelle strutture sanitarie pubbliche – aggiunge Guido Quici, Presidente CIMO-FESMED -. Per questo è fondamentale intervenire rapidamente migliorando le condizioni di lavoro e aumentando gli stipendi per renderli competitivi con gli altri Paesi europei».

Sergio Segato è il nuovo presidente della Federazione Italiana delle Società delle Malattie dell’Apparato Digerente

Sergio Segato guiderà la FISMAD, la Federazione Italiana delle Società delle Malattie dell’Apparato Digerente per i prossimi due anni, assumendo un ruolo di leadership in un settore fondamentale per la salute pubblica. La nomina è stata annunciata dal Consiglio Direttivo della FISMAD, evidenziando l’importanza di un continuo impegno nella ricerca e nella cura delle malattie digestive.

Nato a Varese, dopo la laurea di Medicina e Chirurgia conseguita all’Università di Pavia, Segato si specializza in Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva e in Medicina Interna.

Inizia la sua carriera presso l’azienda Ospedaliero Universitaria Macchi di Varese ora ASST dei Sette Laghi, dove nel 2006 è nominato direttore della Struttura Complessa di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, nel 2013 direttore del Dipartimento di Medicina Specialistica e nel 2023 Direttore del Dipartimento di Malattie dell’Apparato Digerente, Nutrizione e Metabolismo. 

Sergio Segato è attualmente responsabile del Comitato Qualità di AIGO (Associazione italiana gastroenterologi ed endoscopisti ospedalieri) per la quale è stato presidente per la regione Lombardia per il 2016 e 2017 e Vicepresidente Nazionale dal 2022 al 2024.

Autore di numerose pubblicazioni scientifiche, è coordinatore della Commissione sulle Emorragie Digestive e membro della Commissione Qualità ed Appropriatezza della rete Epato-Gastroenterologica della Regione Lombardia.

Change in Cardiology 2025: innovazione, multidisciplinarietà e accesso al cuore del futuro

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Oltre 2.500 specialisti da tutto il mondo si sono dati appuntamento a Torino per il Congresso che si conferma un punto di riferimento internazionale per la comunità cardiologica. Sotto la direzione scientifica di Giuseppe Musumeci (Direttore S.C. Cardiologia, Ospedale Mauriziano di Torino), Ferdinando Varbella (Direttore S.C. Cardiologia Rivoli), Giuseppe Patti (Direttore Dipartimento Toraco-Cardio-Vascolare, AOU Maggiore della Carità di Novara) e Italo Porto (Direttore Cardiologia Policlinico San Martino, Genova), nell’edizione di quest’anno si è parlato anche di lotta all’obesità come patologia cardiovascolare, accesso all’innovazione, importanza della collaborazione tra medicina e ingegneria, e ruolo crescente dell’intelligenza artificiale nella personalizzazione delle cure.

Obesità e rischio cardiovascolare: il bisogno di nuovi percorsi

L’obesità è stata al centro del dibattito, evidenziando il suo ruolo significativo nell’aumento del rischio cardiovascolare e della mortalità. Sovrappeso e obesità colpiscono ormai più del 60% della popolazione europea e sono un importante fattore di rischio cardiovascolare, ma possono essere prevenuti e curati: la sensibilizzazione verso un corretto stile di vita è fondamentale, ma deve essere affiancata da un’opportuna strategia per la salute, che comincia con appositi percorsi diagnostici, terapeutici e assistenziali (PDTA) multidisciplinari dedicati al tema.

«L’obesità aumenta il rischio cardiovascolare e la mortalità cardiovascolare – spiegano i Direttori scientifici del Change – ma negli ultimi decenni, anche secondo il Consensus sull’Obesità e sulla Malattia cardiovascolare pubblicato nel 2024 dalla Società Europea di Cardiologia, la gestione di questa condizione ha ricevuto molta meno attenzione rispetto agli altri fattori di rischio cardiovascolari modificabili. Oggi, con i nuovi farmaci contro l’obesità, abbiamo a disposizione strumenti con un enorme potenziale, che devono però essere inseriti all’interno di percorsi terapeutici dedicati per la prevenzione di eventi avversi cardiovascolari nella popolazione sovrappeso e obesa e per evitare recidive nei tanti pazienti sovrappeso che hanno già avuto un infarto o una malattia cardiaca e che sono ad altissimo rischio».

I nuovi farmaci contro l’obesità hanno un grande potenziale, ma vanno integrati in PDTA specifici per prevenire eventi cardiovascolari e recidive nei pazienti a rischio

Per affrontare questa sfida, i centri organizzatori del congresso hanno sviluppato PDTA specifici che prevedono una stretta collaborazione con la dietologia clinica e l’impostazione della terapia farmacologica con semaglutide e tirzepatide nei pazienti che ne hanno bisogno. Questi trattamenti hanno mostrato risultati promettenti, con una perdita di peso tra il 10% e il 20% e una significativa riduzione del rischio di eventi cardiovascolari.​

La diffusione del PDTA cardiologico sull’obesità ad altre cardiologie e altre regioni, oltre a Piemonte e Liguria, potrebbe consentire la creazione di un registro nazionale dei pazienti obesi a rischio cardiovascolare, che permetterebbe di valutare quanti pazienti vengono trattati, come vengono trattati, quali sono i risultati clinici e in generale di controllare il fenomeno.

Accesso all’innovazione: una sfida tra sostenibilità e rapidità

«La cardiologia vive di innovazione continua: farmaci, dispositivi per l’interventistica, pacemaker, defibrillatori. Ma l’accesso a queste tecnologie è spesso rallentato da ostacoli regolatori e vincoli di budget», ha spiegato a TrendSanità Giuseppe Musumeci. Due i nodi principali: da un lato la complessità dei piani terapeutici per i farmaci innovativi, dall’altro i limiti imposti dai tetti di spesa regionali sui dispositivi. Serve, secondo Musumeci, un dialogo più stretto tra clinici, regolatori e decisori politici, per conciliare sostenibilità e diritto alla cura.

Musumeci ha inoltre sottolineato tre priorità emerse dal congresso:​  «Oltre all’obesità – che deve essere riconosciuta come patologia, rendendo rimborsabili i nuovi farmaci, il trattamento interventistico delle valvulopatie, in particolar modo quella aortica, e anche in questo caso bisogna eliminare le restrizioni di budget per permettere a tutti i clinici di trattare i pazienti che ne hanno bisogno; e il trattamento del colesterolo alto, la terapia ipolipemizzante e il trattamento del paziente diabetico, cercando di superare l’inerzia terapeutica anche nei medici cardiologi per garantire al paziente il miglior trattamento possibile, il miglior compenso cardiometabolico e ridurre le malattie cardiovascolari».

Ingegneria e medicina: il binomio del futuro

Change in Cardiology è anche un laboratorio di multidisciplinarietà. «Questo Congresso parla due lingue: quella del medico e quella dell’ingegnere», ha sottolineato Filippo Molinari, Vicerettore per il Piano strategico del Politecnico di Torino. «In un momento in cui i metodi e le tecnologie stanno diventando sempre più importanti e sempre più impattanti, da una parte c’è bisogno di competenze molto tecniche che però siano in grado di dialogare con i problemi clinici e dall’altra parte c’è bisogno di sapere quali sono i veri problemi che si stanno affrontando per cercare le soluzioni più efficienti».

L’intelligenza artificiale, l’analisi delle immagini, lo sviluppo di modelli predittivi stanno trasformando la cardiologia, e servono professionisti in grado di integrare le competenze cliniche con quelle tecnologiche.

Manuela Appendino, coordinatrice della Commissione Clinica Biomedica dell’Ordine degli Ingegneri di Torino, ha portato avanti il progetto formativo avviato tre anni fa con Change in Bioengineering: «Finalmente riusciamo a far convivere in un contesto clinico molto interessante come quello del Change in Cardiology la professione dell’ingegnere biomedico che collabora direttamente con i cardiologi. Diamo agli studenti la possibilità di assistere a interventi live, ma anche di confrontarsi su innovazione, regolamenti europei e dialogo tra clinica, industria e start-up».

Ribadisce il ruolo fondamentale dell’ingegnere biomedico Giuseppe Ferro, presidente dell’Ordine torinese: «Non solo per ricerca e sviluppo, il mandato dell’ingegnere biomedico attiene in particolare alla certificazione e alla sicurezza dei dispositivi utilizzati in sanità. A maggior ragione, in un momento come questo, dove la ricerca di nuovi materiali e di nuove tecnologie è sempre più presente come supporto alla classe medica».

Intelligenza artificiale e medicina personalizzata

Infine, l’intelligenza artificiale. Charles A. Taylor, fondatore di HeartFlow e pioniere nella computational medicine, ha illustrato come l’AI possa supportare l’interpretazione dei dati derivanti dagli strumenti di imaging, permettendo diagnosi non invasive e personalizzate delle malattie coronariche.  «L’interpretazione di questi dati spesso rappresenta una vera sfida per i medici», ha affermato Taylor. «Questa tecnologia consente di personalizzare le cure, fornendo informazioni dettagliate su ciascun paziente per guidare il medico verso il trattamento più adatto».

Conferma William Wijns (National University of Ireland Galway), esperto mondiale di cardiologia interventistica: «Grazie all’AI applicata all’angiografia, oggi possiamo ottenere in tempo reale dati complessi come la riserva di flusso coronarico o la vulnerabilità della placca, personalizzando ogni decisione terapeutica e riducendo il ricorso a procedure non necessarie».

Appuntamento al 2026

Change in Cardiology si è confermato ancora una volta un osservatorio privilegiato sull’innovazione cardiologica, capace di unire competenze cliniche, tecnologiche e strategiche per disegnare il cuore del futuro. Un confronto che non si ferma qui: l’appuntamento è già fissato per il 2026, con nuove sfide, nuove idee e la stessa ambizione di cambiare il corso della cardiologia.

Immagine di copertina: © Piero Ottaviano

40% di “no” alla donazione organi: l’allarme degli anestesisti-rianimatori

In occasione della Giornata Nazionale per la Donazione di Organi e Tessuti di oggi, 11 aprile, SIAARTI lancia una campagna di sensibilizzazione per promuovere la cultura della donazione in Italia, in un momento particolarmente critico.

I dati dei primi tre mesi del 2025 rivelano un quadro preoccupante: il 40% delle 950mila persone che hanno rinnovato la carta d’identità si è esplicitamente opposto alla donazione degli organi. Si tratta della percentuale più alta degli ultimi dieci anni, da quando vengono registrate le dichiarazioni di volontà. SIAARTI condivide la preoccupazione espressa dal Centro Nazionale Trapianti: questo trend rischia di compromettere la possibilità di salvare migliaia di vite umane in attesa di trapianto.

«Come anestesisti-rianimatori, siamo testimoni quotidiani del valore straordinario della donazione e del trapianto – dichiara Elena Bignami, Presidente SIAARTI -. Siamo anche consapevoli dei dubbi e delle paure che possono accompagnare una scelta così importante. La nostra campagna intende fornire informazioni chiare, trasparenti e affidabili sul processo di donazione».

La morte di un paziente potenziale donatore è confermata sempre da una commissione di medici esperti, in un ambiente regolato e trasparente. «I test per l’accertamento della morte cerebrale sono molteplici, scientificamente fondati e incontrovertibili – spiega Alberto Zanella, Responsabile del Gruppo Donatori multiorgano e Anestesia e Terapia Intensiva nei trapianti d’organo di SIAARTI -. Le équipe che curano il paziente sono sempre distinte da quelle che si occupano della donazione e del trapianto per garantire che la cura del paziente sia sempre la priorità assoluta».

Marinella Zanierato, responsabile della Macroarea Nord SIAARTI, sottolinea che «la donazione non è solo una questione di generosità, ma è anche un atto di fiducia nella medicina e nella società. SIAARTI assicura che questo processo avvenga in totale sicurezza, nel pieno rispetto delle normative e delle procedure».

È importante sapere che tutti possono essere potenziali donatori: non contano l’età o lo stato di salute precedente, ma una valutazione clinica approfondita. Fare una scelta consapevole può cambiare il futuro di una o più delle circa 8.000 persone attualmente in attesa di trapianto in Italia.

«Vi invitiamo a riflettere e a esprimere la vostra volontà – conclude Zanella -. Un semplice ‘sì’ può moltiplicare la vita».

Apre in Sardegna il primo ambulatorio nazionale di psicoreumatologia. Plauso dal CREI

Il Collegio Reumatologi Italiani-CREI rivolge il suo plauso all’avvio del primo Ambulatorio nazionale di Psicoreumatologia, un servizio unico nel suo genere in Italia interamente dedicato ai pazienti affetti da patologie reumatiche. L’ambulatorio, creato dall’ASL Gallura a Tempio Pausania, è stato avviato grazie alla collaborazione tra la Direzione Generale dell’ASL, nella persona del DG Marcello G. Acciaro, il Distretto Sanitario di Tempio Pausania, diretto da Antonio F. Cossu ed il servizio di Reumatologia della Asl Gallura, nella figura di Daniela Marotto, Past-President CREI. Il servizio di psicoreumatologia sarà erogato dallo specialista Ambulatoriale Psicologo-Psicoterapeuta Marcello G. Tanca della stessa ASL.

L’origine del servizio

Perchè un servizio così innovativo ed insolito? «Crescenti evidenze scientifiche, ci rivelano l’alto tasso di comorbidità di depressione e disturbi d’ansia nei pazienti con malattie reumatologiche – risponde Daniela Marotto, che sarà anche responsabile del servizio di nuova insorgenza denominato proprio Ambulatorio di Psicoreumatologia -. Sappiamo quanto sia difficile convivere con una patologia reumatologica che mette a dura prova la salute psichica dei pazienti, influendo altresì sulla qualità di vita di chi sta attorno. E siamo anche consapevoli di come mente e corpo siano in costante interazione, tanto che la presenza dei processi infiammatori può influenzare il funzionamento mentale, e viceversa.

«Sappiamo quanto sia difficile convivere con una patologia reumatologica che mette a dura prova la salute psichica dei pazienti»

Per esempio, è oramai assodato che il carico di stress psicologico cronico dei nostri pazienti si configura come fattore di mantenimento delle infiammazioni sottostanti e che tali infiammazioni possono essere a loro volta implicate nei cambiamenti dell’umore, nella manifestazione di ansia, nelle difficoltà del sonno e in un funzionamento neurocognitivo meno efficiente. Pertanto, una migliore assistenza ai pazienti reumatici passa attraverso la fondamentale considerazione della complessa interazione tra sintomi psichici e sintomi fisici».

«Per tutte queste ragioni – prosegue Daniela Marotto -, la ASL Gallura ha istituito un servizio ambulatoriale specialistico psicologico-clinico fortemente sostenuto dal Direttore Generale Marcello Acciaro e rivolto a pazienti reumatologici, ravvisandone la necessità non più trascurabile. L’obiettivo è quello di soddisfare le esigenze di salute fisica, mentale e sociale, attraverso il modello di cura collaborativa interdisciplinare».

L’approccio e la presa in carico

L’Ambulatorio di Psicoreumatologia trova collocazione all’interno dell’ambulatorio di Reumatologia del distretto di Tempio Pausania, a cui afferisce e di cui costituisce parte integrante, coordinandone le attività in un rapporto di continua interazione.

Nello specifico le prestazioni saranno erogate dallo Specialista Ambulatoriale Psicologo-Psicoterapeuta Marcello G. Tanca della ASL Gallura, neuroscienziato esperto nella relazione che intercorre tra funzionamento mentale alterato (sintomi psicologici/ neuro-psichiatrici) e processi infiammatori.

«L’ambulatorio metterà in primo piano nel suo lavoro la salute nella sua interezza, aprendo le porte alle neuroscienze nella pratica clinica – precisa Marcello Tanca -. Giungendo così ad esprimere un approccio molto articolato e innovativo che valuta la stretta interazione tra sistema immunitario, endocrinologico e nervoso. Questo tipo di presa in carico del paziente punta ad indagare l’influenza dell’infiammazione cronica del Sistema nervoso centrale sull’insorgenza o aggravamento e mancata risposta terapeutica di diverse patologie, ma anche ad approfondire l’apporto positivo di strategie di riabilitazione che, in quanto correttamente avviate e mirate, permettano al cervello di riadattarsi dopo lesioni o malattie».

La strategia organizzativa

Le attività del nuovo servizio consistono prevalentemente in Valutazioni Psicodiagnostiche e Trattamenti Psicologico-Clinici (tra i quali specifici interventi Psicoterapeutici), dedicando particolare attenzione alla ricerca scientifica di tipo multidisciplinare. «La strategia di cura delle malattie reumatologiche, patologie complesse con esiti invalidanti, necessita di un approccio multidisciplinare accurato e omnicomprensivo che offra al paziente percorsi assistenziali semplificati e trattamenti qualificati – sostiene il Direttore Generale ASL Gallura Marcello Acciaro – per questo abbiamo avviato questo nuovo servizio della nostra ASL, che è una scelta innovativa a livello Nazionale: ne siamo particolarmente orgogliosi perché consapevoli di offrire un supporto diverso che potrà essere un riferimento non solo per la nostra Azienda, ma anche alle province vicine visto l’alto numero di pazienti che si rivolge al nostro Servizio di Reumatologia».L’innovativo ambulatorio di Tanca è già attivo dall’inizio di marzo tutti i martedì dalle 9 alle 14 presso il Distretto di Tempio Pausania. Per maggiori informazioni sulle modalità di accesso, rivolgersi al Poliambulatorio di Tempio.

Vaccinazioni e malattie respiratorie: un documento congiunto per rafforzare la prevenzione

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Comprendere il ruolo centrale delle vaccinazioni nella prevenzione e gestione delle patologie respiratorie è l’obiettivo del documento “Vaccination strategies in respiratory diseases: recommendation from AIPO-ITS/ETS, SIMIT, SIP/IRS and SItI”, presentato a Milano. Il testo nasce dalla collaborazione tra quattro autorevoli società scientifiche – AIPO-ITS/ETS (Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri), SIMIT (Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali), SIP/IRS (Società Italiana di Pneumologia) e SItI (Società Italiana di Igiene, Medicina preventiva e Sanità Pubblica) – e rappresenta uno strumento di valorizzazione per quella che è l’arma più potente di cui disponiamo al fine di prevenire e controllare le patologie virali: i vaccini. Con uno sguardo particolare ai soggetti fragili e ai pazienti affetti da patologie croniche.

Una copertura vaccinale ancora lontana dagli obiettivi

Sul fronte delle vaccinazioni siamo ancora lontani dal raggiungere gli obiettivi fissati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. In particolare, la campagna contro SARS-CoV-2 ha registrato risultati inferiori alle attese, mentre per il virus antinfluenzale la situazione è risultata eterogenea a livello regionale. La Lombardia, ad esempio, ha mostrato un’adesione significativa, ma persistono ampie aree di criticità.

Ma, come sappiamo, i vaccini sono vittime del loro stesso successo. Quando la malattia viene debellata, viene a mancare la percezione del rischio e, di conseguenza, la volontà di ricorrere al vaccino.

Sul fronte delle vaccinazioni siamo ancora lontani dal raggiungere gli obiettivi fissati dall’OMS

Singolare anche la situazione del vaccino contro RSV (Virus Respiratorio Sinciziale) che registra un successo nella somministrazione ai neonati ma, in maniera significativamente inferiore, negli adulti.

Focus sui principali agenti patogeni

Il documento – pubblicato sulla rivista Respiration – prende in esame i principali patogeni respiratori: influenza, RSV, SARS-CoV-2, Streptococcus pneumoniae e virus della varicella-zoster (VZV). La vaccinazione contro questi agenti si rivela particolarmente utile nei pazienti con patologie respiratorie croniche, spesso esposti a rischi maggiori di riacutizzazioni e ospedalizzazioni.

Un esempio emblematico è rappresentato dal recente ricovero di Papa Francesco al Policlinico Gemelli, inizialmente per una bronchite, poi evoluta in una polmonite bilaterale, in un quadro clinico già segnato da bronchiectasie. Un episodio che mette in evidenza quanto sia importante la prevenzione anche nei soggetti già in carico per malattie respiratorie.

Un documento chiaro, pensato per i clinici

A moderare la presentazione è stato Sergio Harari, Direttore dell’UO di Pneumologia dell’Ospedale San Giuseppe Multimedica IRCCS di Milano. Harari ha sottolineato il valore pratico del documento come strumento operativo: «Al fine di contrastare l’ondata di scetticismo legata ai vaccini, è necessario che i medici dedichino del tempo a parlare di vaccinazioni ai propri pazienti al fine di aiutarli a superare pregiudizi e paure infondate».

Una visione globale sulle vaccinazioni

Claudio Micheletto, Presidente AIPO-ITS e Direttore dell’UOC di Pneumologia all’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona, ha rimarcato la visione integrata del documento: «In questo documento di indirizzo si è voluto fornire una visione globale, non sulle singole malattie o sulla singola vaccinazione, ma sulle malattie respiratorie nel loro insieme. Oltre alle vaccinazioni già raccomandate, come l’antinfluenzale e l’anti-pneumococcica, le linee guida internazionali di riferimento hanno recepito l’evidenza scientifica di nuove vaccinazioni, come, ad esempio, l’herpes zoster e l’anti-virus respiratorio sinciziale. È fondamentale che il paziente possa avere accesso alle vaccinazioni preventive».

Nel documento di indirizzo si è voluto fornire una visione globale, non sulle singole malattie o sulla singola vaccinazione, ma sulle malattie respiratorie nel loro insieme

Micheletto ha inoltre evidenziato l’importanza dell’alleanza tra società scientifiche: «L’altro valore aggiunto di questo strumento di indirizzo è la coesione di tutte le società scientifiche italiane che si occupano di patologie respiratorie croniche: AIPO-ITS/ETS e SIP/IRS per il mondo pneumologico, SIMIT per le malattie infettive, e SitI per gli igienisti. Nel documento abbiamo messo in evidenza come il paziente respiratorio sia un paziente particolarmente a rischio, non solo in termini di morbilità e mortalità, ma anche per quanto concerne le riacutizzazioni».

Una responsabilità condivisa

Roberto Parrella, Presidente SIMIT, ha espresso soddisfazione per il risultato raggiunto: «Sono orgoglioso di questo documento. Non è scontato che quattro società scientifiche si mettano insieme e costruiscano uno strumento di questa portata, basato su evidenze scientifiche consolidate e recenti».

La vaccinazione non è solo una scelta clinica ma anche un’opportunità per ridurre le disuguaglianze, migliorare la qualità di vita e contenere i costi per il SSN

Parrella ha poi ricordato il ruolo chiave dei vaccini, soprattutto nei soggetti più fragili: «Le vaccinazioni costituiscono uno straordinario strumento di protezione per le popolazioni fragili caratterizzate da pazienti affetti da patologie croniche, anziani o immunodepressi. Dalle evidenze scientifiche disponibili emerge che, proteggendo questa popolazione dai più comuni e principali patogeni respiratori, e anche dal virus della varicella-zoster (VZR) – che può interferire sulla qualità della vita e sul percorso di cura del paziente con patologia respiratoria cronica – è possibile ridurre in maniera significativa le complicanze che tali infezioni possono comportare, diminuire i costi sanitari e migliorare la qualità della vita dei pazienti». Una scelta non solo clinica dunque, ma anche un’opportunità per ridurre le disuguaglianze, migliorare la qualità di vita dei pazienti e contenere i costi per il SSN.

L’urgenza di un cambio di passo

A ribadire l’urgenza di una maggiore adesione vaccinale è anche Fabrizio Luppi, delegato SIPIRS e pneumologo presso la Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori: «Quest’anno abbiamo assistito a un assalto dei pronto soccorso da parte di pazienti che non si erano vaccinati contro l’influenza, affetti da polmoniti legate al virus influenzale. Questo conferma la riluttanza rispetto a questo strumento preventivo. In questo scenario, la prevenzione assume un ruolo fondamentale e, fortunatamente, oggi disponiamo di numerosi vaccini in grado di ridurre significativamente il rischio di infezioni respiratorie gravi e, in alcuni casi, mortali».

Luppi ha inoltre richiamato l’importanza della diagnosi precoce e del ricorso agli antivirali nei pazienti a rischio, sottolineando l’elevato profilo di sicurezza dei vaccini attualmente disponibili.

La vaccinazione come atto collettivo

Infine, Luigi Vezzosi, Segretario Generale della SItI, in forza presso UOS di Prevenzione delle Malattie infettive, ATS Val Padana (Cremona), ha sottolineato il valore collettivo della vaccinazione, in particolare per proteggere soggetti fragili e immunodepressi: «In epoca post COVID-19, grazie a un potenziamento della capacità diagnostica si è visto che l’ambiente in cui viviamo è popolato da numerosi virus respiratori. Il Piano Nazionale vaccinale invita i soggetti fragili, anziani e immunodepressi, che sono più a rischio di ospedalizzazione, a vaccinarsi. Vaccinarsi contro virus come l’influenza, il SARS-CoV-2, l’RSV o contro patogeni come lo pneumococco e il virus della varicella-zoster significa ridurre le riacutizzazioni, prevenire i ricoveri e migliorare la qualità di vita di milioni di persone con patologie respiratorie. La vaccinazione, oggi più che mai, non è solo una scelta individuale, ma un atto di responsabilità collettiva e uno strumento chiave per la sostenibilità del nostro sistema sanitario».

Occorre investire nella comunicazione pubblica per superare lo scetticismo diffuso verso i vaccini, ancora presente in ampie fasce della popolazione

Il ruolo della comunicazione

Perché le strategie di prevenzione abbiano successo, è indispensabile l’impegno condiviso tra media, istituzioni e comunità scientifica. Occorre infatti investire nella comunicazione pubblica per superare lo scetticismo diffuso verso i vaccini, ancora presente in ampie fasce della popolazione.

Un lavoro capillare, continuo e fondato su evidenze che – come dimostra questo documento – può fare la differenza nel contrasto alle patologie respiratorie, oggi più che mai al centro delle sfide sanitarie globali.

Migrazione sanitaria e malattie rare: chieste misure per sostenere le spese di chi è costretto a curarsi lontano dalla propria Regione

Prevedere misure specifiche per sostenere i costi dei trasferimenti delle persone costrette a spostarsi dalla propria Regione per ricevere cure adeguate e per garantire loro assistenza psicologica e sociale. È una delle richieste emerse da una conferenza stampa promossa in Senato dall’onorevole Orfeo Mazzella (M5S) insieme a tre realtà del Terzo Settore attivamente impegnate per fornire aiuti concreti ai numerosi cittadini Italiani costretti ad affrontare, insieme alle loro famiglie, non solo diagnosi gravi ma anche spesso problemi economici e logistici legati all’impossibilità di potersi curare nella propria Regione. CasAmica, organizzazione di volontariato che dal 1986 si occupa di accogliere presso le proprie strutture in Lazio e Lombardia i migranti della salute e le loro famiglie; Codice Viola, un’associazione che dal 1986 è impegnata a migliorare la sopravvivenza e la qualità di vita dei pazienti affetti da adenocarcinoma del pancreas e UNIAMO Federazione Italiana Malattie Rare, che opera da 25 anni per la tutela e la difesa dei diritti delle persone con malattia rara e delle loro famiglie.

«Ho voluto organizzare questo incontro per dare voce a chi, ogni giorno, si trova ad affrontare una doppia sofferenza: quella della malattia e quella della distanza. È inaccettabile che in un paese come il nostro, il diritto alla salute non sia garantito per tutti allo stesso modo. Dobbiamo fare di più per sostenere chi è costretto a cercare cure lontano da casa», dichiara il senatore Orfeo Mazzella.

Migrazione sanitaria: i dati in Italia

Secondo l’ultimo report AGENAS sulla mobilità sanitaria interregionale sebbene il numero di ricoveri in mobilità sia diminuito (668.145 nel 2023 rispetto ai 707.811 del 2019), la spesa è aumentata leggermente, passando da 2,84 miliardi di euro nel 2019 a 2,88 miliardi nel 2023. Questo incremento è principalmente attribuibile all’aumento della mobilità legata ai ricoveri per diagnosi di alta complessità, che comportano trattamenti più costosi e specializzati. Il flusso migratorio per ricoveri ospedalieri è prevalentemente diretto da Sud a Nord e le regioni più attrattive per la mobilità sanitaria sono l’Emilia-Romagna, la Lombardia e il Veneto.

La costante crescita del fenomeno della migrazione sanitaria è confermata anche dallo “Studio sui migranti sanitari” realizzato da EMG Different per CasAmica. L’analisi è stata realizzata su un campione rappresentativo di cittadini residenti in Calabria, Puglia, Campania, Sicilia e Sardegna con età compresa tra i 35 ai 65 anni di età, al fine di studiare la migrazione sanitaria e le motivazioni che spingono i malati a cercare cure fuori dalla propria regione.

Dallo studio emerge che 14,3 milioni di cittadini, pari all’81% del campione esaminato, negli ultimi 3 anni hanno avuto bisogno di cure mediche per sé o per i propri familiari. Tra questi, ben 1 milione di cittadini provenienti dalle regioni del Sud Italia e delle isole ha scelto di curarsi in una regione diversa dalla propria per motivi legati all’opportunità di ottenere una migliore offerta sanitaria (51%) e medici più preparati (39%) o addirittura alla concreta impossibilità di ricevere cure adeguate alla propria patologia nella regione di provenienza (32%).

In particolare, alcuni tumori e le malattie rare sono tra le patologie più esposte al fenomeno della migrazione sanitaria.

Malattie rare: oltre il 20% della popolazione costretto a spostarsi per le cure

Come dimostra anche il X Rapporto sulla condizione delle persone con malattia rara in Italia di UNIAMO, la stima della mobilità fra Regioni è pari al 20% nella popolazione complessiva e arriva al 29% se le patologie colpiscono i minori. Secondo gli studi più recenti, a livello mondiale la prevalenza delle malattie rare sarebbe compresa tra il 3,5% e il 5,9% della popolazione mentre il numero complessivo di persone con malattia rara in Italia sarebbe compreso fra i 2,0 e i 3,5 milioni di persone.

«Una persona con malattia rara su cinque è costretta a spostarsi dal proprio luogo di residenza per curarsi, a volte anche affrontando viaggi molto lunghi che impattano negativamente dal punto di vista fisico, psicologico ed economico», commenta Annalisa Scopinaro, presidente UNIAMO F.I.M.R. «Sono numeri che sono destinati ad aumentare, vista la disponibilità sempre maggiore di terapie innovative che devono essere somministrate in Centri ad alta specializzazione. Il tema è senza dubbio rilevante dal punto di vista economico, ma ancora di più da quello della qualità di vita della persona con malattia rara e della sua famiglia. Spesso, infatti, a spostarsi sono intere famiglie, anche per lunghi periodi o ripetutamente nel corso dell’anno. Dalle nostre indagini è emerso che l’impatto di costo sulla famiglia è notevole, dato che spesso non sono previsti rimborsi da parte della Regione di residenza. È necessario quindi sensibilizzare su questo tema, come fatto con questa tavola rotonda, perché le risposte devono essere date su più fronti: ad esempio, con supporti economici, impulso alla telemedicina, offerta di soluzioni di alloggio temporaneo a prezzi calmierati».

Tumore al pancreas: disparità economiche e territoriali, un ostacolo alla cura

Anche molti pazienti oncologici sono costretti a spostarsi per curarsi e tra i tumori più esposti al fenomeno rientra il tumore al pancreas, considerato la quarta causa di morte per tumore nel mondo occidentale. Il tumore del pancreas rappresenta infatti il caso più tipico di “cancro negletto” caratterizzato da un’incidenza annuale moderata ma con un alto indice di mortalità. Inoltre, i lunghi tempi di percorrenza necessari per raggiungere strutture sanitarie specializzate possono rappresentare un ostacolo, soprattutto per le classi sociali o economiche più svantaggiate e per i pazienti fragili. Ancora, i dati forniti da AGENAS riguardo il fenomeno della mobilità sanitaria dei pazienti sottoposti a chirurgia pancreatica nel periodo 2014-2016, mostrano come circa il 40% dei pazienti residenti nel Sud Italia (con picchi fino al 76% dei pazienti residenti in Calabria) e il 15% di quelli residenti nel Centro Italia si siano spostati verso le regioni settentrionali.

«L’incidenza del tumore del pancreas in Italia è molto bassa, pari allo 0,0023% della popolazione totale. Tuttavia, il numero di decessi annuali associati a questa patologia lo colloca al terzo posto tra le cause di morte per tumore, dopo il carcinoma polmonare e quello del colon-retto», commenta Piero Rivizzigno, presidente Codice Viola. «In questo contesto, solo tre regioni – Lombardia, Veneto e Toscana – offrono un livello di cure chirurgiche adeguato alla complessità della malattia. Questa disparità territoriale genera un’elevata mobilità sanitaria, con un trasferimento di costi tra le regioni pari a 6,5 milioni di euro. I dati forniti da AGENAS non tengono conto degli elevati costi logistici a carico dei pazienti e dei familiari che si sottopongono a interventi fuori regione, stimabili tra i 3.000 e i 5.000 euro a seconda della regione di provenienza, i tempi di degenza ospedaliera, in media tra i 10 e i 15 giorni, e le spese per visite specialistiche pre e post-operatorie. Tutti questi costi ricadono sulle famiglie, o sono in parte attenuati dai servizi offerti da associazioni di volontariato come Casa Amica. Le regioni che, colpevolmente, non si sono organizzate per garantire un adeguato livello di assistenza per il trattamento del tumore del pancreas dovrebbero farsi carico di un sostegno economico per i pazienti e le famiglie costretti a spostarsi, e avviare programmi di potenziamento delle cure, dotandosi di strutture dedicate come le Pancreas Unit».

Casamica: accoglienza per i migranti della salute

Una ulteriore conferma che il fenomeno della migrazione sanitaria sia in costante crescita sono i dati di CasAmica. Basti pensare che solo nel 2023 l’organizzazione ha registrato un aumento di ben il 25% delle richieste di supporto, offrendo complessivamente nel biennio 2023-24 oltre 40mila notti di accoglienza alle persone malate e ai loro familiari e ospitando quasi 150mila persone in quasi 40 anni di attività.

Proprio in questa occasione, CasAmica e Codice Viola hanno annunciato un protocollo d’intesa per agevolare i malati di tumore al pancreas costretti a curarsi lontano dalla propria città o regione e che hanno insieme alle loro famiglie bisogno di accoglienza.

«Dai dati emerge in modo chiaro come nel nostro Paese esista una disparità di accesso alle cure tra chi abita al Nord e chi risiede al Sud e nelle Isole», dichiara Stefano Gastaldi, direttore generale di CasAmica. «Una ingiustizia – aggiunge – che tocchiamo con mano ogni giorno con gli ospiti delle nostre case, spesso costretti ad affrontare più volte l’anno viaggi di centinaia di chilometri e lunghe permanenze lontano da casa con pesanti conseguenze sia emotive che economiche. Tutto questo si traduce in un impatto economico notevole sulla vita dei malati e delle loro famiglie. Secondo il nostro studio il 60% degli intervistati denuncia costi alti per gli spostamenti e gli alloggi e il 58% dichiara che avrebbe avuto bisogno di prezzi calmierati».

«Inoltre, il fenomeno della migrazione sanitaria non accennerà a diminuire nei prossimi anni: il 15% di coloro che non hanno avuto bisogno di cure negli ultimi 3 anni, infatti, sceglierebbero di curarsi in un’altra regione in caso di bisogno. Tra coloro che invece hanno deciso di restare e curarsi nella propria regione, il 26% ha dichiarato di aver rinunciato a causa dei costi alti per gli spostamenti verso altre regioni».

Dare una risposta ad un fenomeno che coinvolge così tanti cittadini e le loro famiglie con la richiesta di misure specifiche è quanto chiesto dal senatore Orfeo Mazzella in una mozione presentata in data 12 febbraio 2025, non solo per sostenere i costi dei trasferimenti delle persone costrette a spostarsi dalla propria Regione ma anche per ricevere cure adeguate e per garantire loro assistenza psicologica e sociale.

«È nostro compito non solo riconoscere il problema, ma anche agire concretamente. La salute è un diritto fondamentale e non possiamo permettere che le disuguaglianze territoriali ne limitino l’accesso. La politica deve di garantire a tutti i cittadini pari opportunità in ambito sanitario», conclude Mazzella.