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Pharma Legislation, Collatina (Egualia): «La riforma europea opportunità, non minaccia»

«La revisione della Pharmaceutical Legislation su cui stanno lavorando le istituzioni europee rappresenta un importante strumento di intervento di aggiornamento della governance dei medicinali e rappresenta, a nostro avviso, una opportunità, anziché una minaccia».

Lo ha detto il presidente di Egualia, Stefano Collatina, intervenuto – nell’ambito dell’evento “Salute e sanità, il doppio binario” – alla tavola rotonda sulla normativa europea per la governance dei prodotti farmaceutici, con la partecipazione della responsabile della DG Salute della Commissione UE, Sandra Gallina, del sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato, del presidente AIFA, Robert Nisticò e del presidente Farmindustria, Marcello Cattani.

«Nel pacchetto di misure contenute nella proposta di Direttiva che aggiorna il Codice UE dei medicinali – ha sottolineato Collatina – i punti di maggiore attenzione per il comparto dei farmaci senza brevetto sono la modulazione del periodo di protezione regolamentare (data exclusivity e market exclusivity), che sarebbe opportuno fissare a una durata complessiva non superiore agli 11 anni attuali, e l’armonizzazione a livello europeo della Clausola Bolar, per far sì che tutte le attività per l’introduzione in commercio dei farmaci generici e biosimilari – inclusa l’inclusione nelle liste di prezzo e rimborso – possano essere concluse prima della scadenza del brevetto».

Tra gli aspetti critici della proposta di Regolamento invece, secondo  il presidente di Egualia, i voucher di esclusività per i nuovi antibiotici, che rischierebbero di provocare un incremento della  spesa sanitaria e un ritardo nell’accesso a farmaci equivalenti e biosimilari.  «Sarebbe più opportuno creare uno stock di riserva di antibiotici a livello centrale europeo e garantire a tutte le imprese coinvolte la certezza della programmazione industriale e un equo ritorno economico», ha spiegato Collatina, segnalando come «cruciale» anche la «necessità di adottare un approccio armonizzato a livello UE per la gestione e mitigazione delle carenze, evitando un  sovraccaricato di oneri burocratico amministrativi non commisurati ai reali rischi».

«Va riconosciuto che il legislatore europeo è mosso dall’urgenza di rafforzare la parità d’acceso ai medicinali di tutti i pazienti europei, contrastare i fenomeni di carenze e  sostenere un’industria innovativa e competitiva – ha aggiunto il presidente di Egualia –. Nessuna delle misure proposte si contrappone agli intessi dell’industria europea che ha tuttavia necessità di vedere adottati anche programmi e misure seri per garantire l’autonomia strategica dell’UE in campo farmaceutico, che è obiettivo prioritario del Critical Medicines Act. Ed è urgente che si discuta di sostenibilità industriale anche dei farmaci maturi che in Europa servono milioni di pazienti in tutti gli Stati Membri».

«Il tema vero – ha ribadito Collatina – è che per una gran parte dei prodotti la produzione non è più sostenibile. Sulla questione dei dazi non possiamo esercitare alcun controllo, ma possiamo farlo su molte altre cose: basta ricordare l’invito di Mario Draghi ad incoraggiare la semplificazione. Come Europa dobbiamo avere una strategia semplice, ricordando che il farmaceutico ha due gambe: l’innovazione e la sostenibilità. Le aziende che investono e  fanno innovazione hanno diritto a godere della protezione data dal brevetto, ma serve chiarezza sul fatto che le altre aziende devono poter avviare in anticipo le attività necessarie a portare il farmaco equivalente sul mercato il giorno successivo alla scadenza del brevetto». 

«I soldi risparmiati – ha concluso Collatina –  devono essere investiti in innovazione in un mercato dove competere è difficile visto che  su dieci nuovi prodotti approvati in Europa solo due sono brevetti europei, cinque sono americani e tre cinesi. Questo è il vero problema. E per provare a risolverlo dobbiamo almeno evitare di spararci sui piedi, ad esempio provando a stoppare in tempo gli effetti della direttiva sulle acque reflue che graverebbe tutti i farmaci di costi inaccettabili. Dobbiamo puntare su semplificazione e sostenibilità. Una medicina – questa sì –  che serve davvero a tutte le imprese».

Un’infanzia libera da RSV: serve una strategia nazionale per tutelare tutti i neonati

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«La prima campagna di prevenzione del virus respiratorio sinciziale (RSV) avviata lo scorso anno ha prodotto risultati importanti, nonostante qualche disomogeneità a livello regionale. Si avvicina la prossima stagione e dobbiamo fare tesoro dell’esperienza maturata. La comunità medica e scientifica, insieme alle associazioni di pazienti, chiede un aggiornamento del calendario di immunizzazione e una pianificazione nazionale che possa garantire concretamente un accesso universale. Mi unisco a questo appello, affinché il Ministero della Salute possa attivarsi tempestivamente per rispondere a questi bisogni». Così Elena Murelli, membro della X Commissione del Senato della Repubblica e promotrice della conferenza stampa in Senato in cui è stato presentato un documento di indirizzo frutto del lavoro di un tavolo multidisciplinare promosso dall’Alleanza per un’infanzia libera da RSV, in collaborazione con Sanofi.

A ottobre 2024 è stata infatti avviata la prima campagna di prevenzione di RSV, volontaria e gratuita, che ha mostrato risultati incoraggianti. Si tratta di un traguardo importante che segna un cambio di paradigma nella prevenzione delle infezioni respiratorie nei neonati, grazie all’introduzione di anticorpi monoclonali di nuova generazione.

Il Ministero della Salute ha infatti stanziato 50 milioni di euro per consentire l’immunizzazione gratuita in tutte le Regioni, che però non è partita in modo omogeneo dappertutto. I risultati migliori (con una riduzione superiore al 90% delle ospedalizzazioni) si sono registrati nelle aree che hanno iniziato a novembre. Adesso l’obiettivo è trasformare questo primo passo in un diritto stabile e accessibile a tutti i bambini, indipendentemente dalla Regione in cui nascono.

RSV: un rischio reale per i più piccoli

Il virus respiratorio sinciziale è la principale causa di bronchiolite e polmonite nei bambini sotto l’anno di età e rappresenta un problema sanitario rilevante. Secondo recenti stime epidemiologiche, in una singola stagione epidemica in Italia si registrano oltre 231.000 eventi clinici legati all’RSV, tra cui più di 13.000 ospedalizzazioni e oltre 2.000 ricoveri in terapia intensiva. Il virus colpisce in modo significativo sia i neonati nati nella stagione epidemica (da ottobre a marzo) sia quelli nati fuori stagione, con un impatto sociale ed economico stimato in oltre 61 milioni di euro per il SSN.

Una campagna che cambia la prospettiva

La recente campagna di immunizzazione ha permesso per la prima volta di offrire protezione a tutti i neonati alla loro prima stagione RSV, con un’elevata adesione da parte delle famiglie e una riduzione tangibile dei ricoveri. «Abbiamo assistito a un cambio di paradigma nella prevenzione pediatrica – ha commentato Fulvia Filippini, Country Public Affairs Head di Sanofi -. Ora servono linee guida chiare e un impegno sinergico da parte delle istituzioni per prepararsi al meglio alla prossima stagione». 

Un’alleanza trasversale per un obiettivo comune

L’Alleanza per un’infanzia libera da RSV è nata nel 2021 per fotografare il panorama della prevenzione in Italia e proporre soluzioni basate su evidenze cliniche, analisi economiche e impatto sociale. Il tavolo multidisciplinare che ha redatto il Documento ha coinvolto Società Scientifiche (SIN, SIP, SItI), economisti sanitari (ISPOR Italia, CEIS-EEHTA), rappresentanti di diverse Regioni, associazioni di pazienti (Cittadinanzattiva, Federasma e Allergie, Vivere Onlus), oltre a parlamentari e professionisti del settore.

I dati sono chiari: con una copertura del 60% dei neonati, la prevenzione tramite anticorpi monoclonali potrebbe evitare oltre 107.000 eventi sanitari e risparmiare al Servizio Sanitario 28 milioni di euro. E l’Italia ha già dimostrato, con questa prima esperienza, di poter raggiungere coperture simili a quelle di Paesi come Francia e Spagna.

Le cinque azioni per una strategia nazionale

Il documento di indirizzo propone cinque azioni chiave per costruire un programma di immunizzazione stabile, equo e tempestivo:

  1. Aggiornare il calendario di immunizzazione per un accesso equo agli anticorpi monoclonali in qualità di Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Adottare un atto di indirizzo nazionale auspicabilmente entro aprile 2025.
  2. Assicurare l’immunizzazione per tutti i neonati, sia quelli nati in stagione (ottobre-marzo) che fuori stagione (aprile-settembre).
  3. Rafforzare l’efficacia della campagna di prevenzione con indicazioni chiare e univoche per le Neonatologie, i Pediatri di Libera Scelta e i Dipartimenti di prevenzione.
  4. Sensibilizzare le famiglie, inclusi i neogenitori, con una campagna di informazione e comunicazione corretta, coinvolgendo le Associazioni di Pazienti e utilizzando i dati delle Società Scientifiche.
  5. Promuovere il dialogo tra Neonatologie, Pediatri di Libera Scelta e i Dipartimenti di prevenzione all’interno delle Regioni.

Durante l’incontro ci si è soffermati sulla necessità di una circolare ad hoc che tuteli tutti i nuovi nati, anche quelli nati fuori stagione. Francesca Russo, responsabile del coordinamento interregionale Prevenzione della Commissione Salute della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ha evidenziato: «Servono finanziamenti adeguati e l’aggiornamento del calendario di immunizzazione. Inoltre, la campagna di comunicazione deve essere coordinata a livello nazionale».

Urge una maggiore pianificazione, che consenta una migliore raccolta dei dati sia per le somministrazioni avvenute in ospedale, sia per quelle sul territorio, oltre alla disponibilità in tempo degli anticorpi monoclonali, in modo da poter attivare le gare in modo organizzato e da poter formare gli operatori sanitari.
Dello stesso avviso anche Antonio D’Avino, Presidente Nazionale della Federazione Italiana Medici Pediatri di Famiglia: «L’auspicio della pediatria territoriale è che tutte le Regioni comincino insieme, per dare le stesse opportunità di prevenzione ai lattanti, ovunque questi risiedano».

Dazi, Medicines for Europe: piano in 5 fasi per i prodotti farmaceutici

«I dazi sono regressivi e controproducenti e interrompono le catene di approvvigionamento globali, causano carenze di medicinali essenziali e critici e compromettono l’accesso dei pazienti. Per questo motivo, le economie avanzate hanno concordato le norme dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) per esentare i prodotti farmaceutici dai dazi». A rimarcarlo, all’indomani dell’incontro con la Presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, è Medicines for Europe – l’associazione europea delle aziende produttrici di generici-equivalenti, biosimilari e value added medicines – che in una nota riassume il piano d’azione proposto per supportare la Commissione e tutelare il valore unico dell’industria farmaceutica:

1. proseguire gli sforzi diplomatici per impedire l’imposizione di dazi sui medicinali e sui principi attivi farmaceutici dell’UE,  attività fondamentale per evitare carenze e danni concreti ai pazienti;

2. rivedere la legislazione complessa e onerosa che compromette le attività farmaceutiche in Europa e influisce negativamente sull’accesso dei pazienti e sulla sicurezza dell’approvvigionamento, come la direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane e le restrizioni sulle sostanze necessarie per la produzione;

3. accelerare le politiche industriali contenute in documenti come il Critical Medicines Act e il Biotech Act, poiché saranno necessari aiuti di Stato e differimenti fiscali per contrastare l’effetto dello shock competitivo causato da potenziali dazi;

4. adottare la legislazione farmaceutica dell’UE con incentivi normativi equilibrati che i sistemi sanitari possano permettersi e regole chiare per consentire la concorrenza fin dal primo giorno dopo la scadenza del brevetto e accelerare la trasformazione digitale della regolamentazione e del settore;

5. basare l’azione dell’UE sull’autonomia strategica, promuovendo la solidarietà europea rispetto alla divisione e, soprattutto, dando priorità all’accesso e alla sicurezza dei medicinali.

A seguito dell’incontro – conclude la nota, che per una analisi più estesa rinvia al Position Paper The Severe Impacts of Potential U.S. Tariffs on Pharmaceuticals – Medicines for Europe invita l’UE e la Presidente Von der Leyen a concentrarsi sul rafforzamento della competitività manifatturiera dell’UE, secondo il piano in cinque punti per i prodotti farmaceutici, pur rimanendo aperti al commercio e alla cooperazione internazionale: «Ci impegniamo a proseguire questa partnership e apprezziamo il contributo della Commissione europea su questa importante questione».

Spill-On-Air, un nuovo podcast sulla salute globale con approccio One Health

Ha debuttato il 2 aprile Spill-On-Air, il podcast ideato per raccontare con un linguaggio chiaro e coinvolgente la salute globale secondo il paradigma One Health: un approccio scientifico integrato che riconosce l’interconnessione tra salute umana, animale e ambientale, con l’obiettivo di promuovere il benessere sostenibile di tutti gli ecosistemi viventi.

Il progetto nasce da un’iniziativa dell’Area Terza Missione del Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive della Sapienza Università di Roma, a cura della Professoressa Michaela Liuccio, ed è realizzato da LABS – Laboratorio Audiovisivo per lo Spettacolo Sapienza. A guidare l’ascoltatore in questo viaggio tra scienza e quotidianità sono Francesca Guglielmi, divulgatrice scientifica, e Luca Manco, medico, accompagnati esperti Sapienza sulle tematiche affrontate.

In sei episodi Spill-On-Air esplora questioni di grande attualità e impatto: dalle zoonosi alla resistenza antimicrobica agli effetti del cambiamento climatico sulla salute

In sei episodi Spill-On-Air esplora questioni di grande attualità e impatto: dalle zoonosi alla resistenza antimicrobica, dalla sicurezza alimentare, all’urban health, agli effetti del cambiamento climatico sulla salute. Il podcast si inserisce all’interno del progetto di Terza Missione Sapienza dal titolo “Spillover: come ti racconto la One Health”, pensato per promuovere la conoscenza scientifica tra i cittadini – con un’attenzione particolare al pubblico più giovane – e per migliorare la One Health literacy.

L’approccio One Health è riconosciuto a livello nazionale e internazionale come strategia fondamentale per affrontare le sfide sanitarie del presente e del futuro. Spill-On-Air contribuisce a questo percorso con esempi concreti, aggiornamenti scientifici e l’intervento di professionisti del settore, offrendo strumenti di comprensione accessibili e stimolanti.

Nella prima puntata si parla di SpillOver e zoonosi con Simona Gabrielli (Professoressa Associata di Parassitologia e Malattie Parassitarie, La Sapienza Università di Roma. Dirigente Biologa Policlinico Umberto I).

Il podcast è disponibile su Spotify, con uscita periodica degli episodi.

È attivo anche il profilo Instagram ufficiale, con contenuti dedicati, approfondimenti e anticipazioni.


La cura non si taglia a metà: ritirato l’emendamento che penalizzava le persone non autosufficienti

di Ivana Barberini

Prendersi cura di una persona con disabilità grave o gravissima significa molto più che fornire una prestazione sanitaria. Significa esserci ogni giorno, in ogni gesto: aiutare a mangiare, lavarsi, vestirsi, muoversi. Per molte famiglie, tutto questo è parte integrante della cura. Non è un extra. Non è un servizio opzionale. È la vita quotidiana.

Eppure, un emendamento presentato dalla senatrice Maria Cristina Cantù al disegno di legge 1241 (“Misure di garanzia per l’erogazione delle prestazioni sanitarie”) rischiava di ribaltare questa visione. Approvato il 6 marzo scorso in Commissione Affari sociali del Senato, l’emendamento 13.0.400 proponeva di separare le prestazioni sociosanitarie da quelle sanitarie, escludendole dal budget del Servizio sanitario nazionale (SSN).

Un cambiamento che avrebbe avuto conseguenze pesanti: le attività essenziali alla sopravvivenza e al benessere delle persone non autosufficienti, dall’igiene personale all’alimentazione assistita, dalla mobilizzazione al trattamento delle piaghe da decubito, sarebbero potute diventare a carico delle famiglie o degli enti locali. Un rischio concreto di aumentare il peso economico su chi già affronta ogni giorno una sfida complessa, spesso in solitudine.

La norma prevedeva una copertura parziale delle spese (dal 50% al 70%, a seconda della gravità), cancellando il diritto attuale alla copertura totale garantito dal SSN per i casi più gravi.

Ma l’emendamento è stato bocciato in Commissione Bilancio del Senato. Il Ministero dell’Economia ha espresso parere negativo: la misura violerebbe il principio costituzionale del pareggio di bilancio e risulterebbe inapplicabile per l’assenza di criteri chiari nel distinguere ciò che è “sanitario” da ciò che non lo è. Senza contare che l’effetto retroattivo avrebbe generato un’ondata di contenziosi e una spesa sanitaria indeterminata e difficilmente gestibile nel pratico.

La Commissione Salute lo dovrà dunque stralciare dal decreto legge, come richiesto anche da diverse Associazioni pazienti, che avevano denunciato fin da subito il rischio di creare un sistema ingestibile e diseguale, in particolare per le persone più fragili.

«Di fatto si tratta di una sonora bocciatura dell’emendamento Cantù, che non è stato bollinato – spiega Alessandro Chiarini, Presidente CONFAD -. È un’ottima notizia, che segna un importante passo nel controllo delle proposte legislative che potrebbero impattare sul bilancio statale. Questo emendamento, volto a separare le spese socio-assistenziali di rilievo sanitario da quelle sanitarie, ha suscitato preoccupazioni per le sue potenziali ricadute negative sulla qualità della vita delle persone con disabilità. CONFAD aveva espresso viva preoccupazione, aveva scritto una lettera ai ministri della Salute, del Lavoro e della Disabilità , sottolineando come tale proposta fosse anticostituzionale, in contrasto con i Livelli Essenziali di Assistenza e la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. È essenziale continuare a monitorare le proposte legislative per garantire la tutela dei diritti fondamentali. Riteniamo che l’impegno di tante voci abbia in qualche modo scosso l’attenzione della politica e che quindi ci sia stato un momento di revisione su questo pericoloso emendamento».

Una retromarcia che restituisce fiato e diritti alle famiglie. Ma che riaccende i riflettori su un punto fermo: la cura, per essere davvero tale, non può essere spezzettata. E soprattutto non può essere considerata un lusso.

Innovazione e sostenibilità economico-organizzativa in anestesiologia: il ruolo delle siringhe pre-riempite

Introduzione

All’interno della pratica clinica, la sicurezza di un farmaco iniettabile è una preoccupazione non solo per i pazienti, ma anche per gli operatori sanitari che abitualmente maneggiano tali farmaci. Difatti, la preparazione e la conseguente somministrazione della terapia è un processo complesso, costituito da più fasi e che richiede spesso il coinvolgimento di operatori diversi. È facilmente intuibile quindi come la sua complessità possa incrementare in maniera considerevole il rischio di generare degli errori terapeutici e in, alcuni casi, le conseguenze possono essere gravi o fatali.

Gli errori più comuni, come lo scambio di siringhe o un’errata identificazione dell’etichetta, rappresentano il 50,4% degli incidenti correlati alla preparazione di farmaci [Abeysekera et al., 2005]. Nel contesto dell’anestesiologia, dove l’incidenza degli errori di somministrazione si attesta intorno all’1%, il rischio è 17 volte maggiore quando le infusioni sono preparate manualmente [Webster et al., 2004; Adapa et al., 2012; Kelly et al., 2023].

La complessità nella preparazione e somministrazione dei farmaci iniettabili incrementa il rischio di errori terapeutici

Le siringhe pre-riempite (PFS – pre-filled syringes), ossia siringhe monouso già riempite con una singola dose del farmaco che deve essere iniettato al paziente, emergono come un’innovazione strategica, migliorando significativamente il profilo di sicurezza, riducendo il rischio di contaminazione microbica, errori di manipolazione e lesioni accidentali agli operatori sanitari [Wilburn et al., 2004]. Le PFS eliminano la necessità di manipolazioni manuali, accorciando i tempi di preparazione del 50% e semplificando i processi logistici e di gestione delle scorte [Weinger et al., 2001]. Questo comporta anche una riduzione dei rifiuti, degli sprechi di farmaci e delle controversie legali, con un impatto positivo sull’organizzazione ospedaliera [Atcheson et al., 2016].

Inoltre, la richiesta normativa e legale circa la tracciabilità dei dispositivi medici viene molto spesso disattesa, mettendo in pericolo non solo il paziente, ma generando una problematica per il sistema sanitario tutto: ogni tecnologia in grado di salvaguardare questo principio, assolvendo alle richieste della normativa, presenta un vantaggio competitivo nei confronti delle altre.

L’introduzione delle siringhe pre-riempite rappresenta una significativa innovazione tecnologica e organizzativa e l’opportunità di semplificare i processi operativi

Nonostante la rilevanza della tematica e la comprovata natura efficace ed efficiente di tali siringhe-pre-riempite, e benché lo European Board of Anaesthesiology, l’Anesthesia Patient Safety Foundation e l’Associazione Italiana Anestesisti SIAARTI ne raccomandino l’uso, il loro utilizzo in pratica clinica non risulta essere ancora consolidato, necessitando pertanto di un’analisi attenta soprattutto in termini di quantificazione dei reali benefici economico-organizzativi potenzialmente generabili.

Sulla scorta di quanto sopra, l’obiettivo dell’attività di ricerca che verrà presentato di seguito è stato quello di comprendere i vantaggi di natura economico-organizzativa correlati all’introduzione di siringhe pre-riempite all’interno della pratica clinica, focalizzando l’attenzione sui principi attivi efedrina e atropina, così da delineare punti di forza e di valore.

Metodologia

L’attività di ricerca si configura come un’analisi economico-organizzativa, condotta dal punto di vista della struttura ospedaliera erogatrice delle prestazioni, con un orizzonte temporale di dodici mesi. L’analisi ha preso in considerazione dati di input derivanti sia da evidenze scientifiche sia da real-world evidence, questi ultimi raccolti all’interno di una struttura sanitaria di Regione Piemonte, comparando i seguenti scenari:

  • Scenario o processo AS IS: preparazione manuale di siringhe di atropina ed efedrina
  • Scenario o processo TO BE: utilizzo di siringhe pre-riempite di atropina ed efedrina.

La metodologia si è articolata in più fasi. Inizialmente, è stata effettuata una revisione narrativa della letteratura per identificare indicatori comparativi di efficacia, sicurezza ed efficienza clinica utili alla definizione dei processi di gestione del paziente. Successivamente, è stata condotta una mappatura e valorizzazione economica dei percorsi di preparazione e somministrazione dei principi attivi indagati, utilizzando l’approccio dell’Activity Based Costing [Vagnoni e Potenta, 2003].

Oltre al mero costo dell’eventuale device relativo ai percorsi sopra illustrati, sono state prese in considerazione le principali voci di costo diretto sanitario relative all’attività di preparazione e somministrazione del farmaco, così da fornire una fotografia a 360 gradi delle risorse complessivamente assorbite:

  1. risorse umane coinvolte nel percorso di preparazione e somministrazione di efedrina e atropina, sia preparate manualmente sia mediante l’ausilio di PFS: nello specifico il costo al minuto delle figure professionali coinvolte verranno rapportate alle tempistiche complessive correlate all’esecuzione delle differenti attività;
  2. dispositivi di protezione individuale (DPI), ossia il costo totale correlato al consumo di dispositivi medici di protezione individuale utilizzato per la preparazione e la somministrazione di efedrina e atropina;
  3. altri consumabili utilizzati per la preparazione e la somministrazione di efedrina e atropina. Ai costi diretti sanitari, sono stati integrati anche i costi fissi di struttura, che concorrono per il 20% dei costi diretti sanitari [Adduce & Lorenzoni, 2004], così da comprendere il reale assorbimento di risorse economiche correlato all’attività ospedaliera.

Il costo di percorso così strutturato ha integrato la quantificazione economica degli errori di preparazione e somministrazione, includendo i costi associati alla gestione degli eventi avversi (come da occorrenza derivante da evidenze scientifiche), nonché la valorizzazione dello spreco di farmaco, calcolata sulla base del numero di siringhe preparate ma non utilizzate come avvenuto all’interno della reale pratica clinica della struttura coinvolta.

A corredo dell’analisi di impatto economico, è stata condotta un’analisi di impatto organizzativo così da comprendere eventuali vantaggi per la struttura ospedaliera, in riferimento a un utilizzo consolidato di PFS, in un’ottica di liberazione di risorse organizzative così da incrementare la capacity complessiva di sistema, e quantificare il beneficio organizzativo che si potrebbe generare.impatto economico, è stata condotta un’analisi di impatto organizzativo così da comprendere eventuali vantaggi per la struttura ospedaliera, in riferimento a un utilizzo consolidato di PFS, in un’ottica di liberazione di risorse organizzative così da incrementare la capacity complessiva di sistema, e quantificare il beneficio organizzativo che si potrebbe generare.

Risultati

Come indicato nella sezione metodologica, la valorizzazione economica dei percorsi (allestimento manuale versus utilizzo di PFS) è stata condotta mediante mappatura degli stessi, all’interno di una settimana tipo, andando pertanto a prendere in considerazione le risorse umane coinvolte (infermiere deputato alla preparazione), nonché il materiale di consumo utilizzato.

È doveroso segnalare come, per il calcolo del costo correlato alle risorse umane, si sia considerato l’effort dell’infermiere dedicato a tale attività (tempo medio di allestimento pari a 0,92 e a 0,96 minuti rispettivamente per l’allestimento manuale di una siringa di atropina e di efedrina), considerando nello specifico la fase di preparazione ed etichettatura della siringa, nonché il posizionamento della stessa in apposito luogo. Per quanto concerne l’utilizzo delle PFS, invece, l’attività di allestimento si annulla quasi completamente: l’unica tempistica che è stata valorizzata economica si annovera nel tempo di posizionamento della siringa in apposito luogo (i.e. carrello dei farmaci) che è stato quantificato in 0,11 minuti per quanto riguarda la siringa di atropina e in 0,10 minuti per quanto riguarda la siringa di efedrina.

Oltre alla fase di preparazione, è stata valorizzata economicamente anche la fase di somministrazione del principio attivo, considerando sia l’allestimento manuale sia l’utilizzo di PFS. Per quanto concerne la somministrazione di una siringa preparata manualmente, sono state appositamente considerate le attività di posizionamento dei guanti, picking della siringa e somministrazione del principio attivo stesso. Dall’altro lato, considerando la PFS, tali attività sono state integrate con la fase di apertura della siringa.

Da questo punto di vista, la Tabella 1 e la Tabella 2 mostrano il costo assorbito da parte di una struttura sanitaria nell’allestimento manuale di una siringa di atropina e di efedrina, nonché nell’utilizzo di una PFS, dalle quali si riscontra come l’utilizzo delle PFS sia correlato a un aumento considerevole dei costi sostenuti da parte della struttura erogatrice di tali prestazioni, e nello specifico pari a +137% per quanto riguarda il principio attivo di atropina e pari a +141% per quanto riguarda il principio attivo di efedrina.

Atropina Costo Preparazione Manuale Costo Preparazione PFS Differenza (Euro) Differenza (%)
Risorse Umane 0,35 € 0,04 € -0,31 € -89%
Materiale utilizzato 1,41 € 4,78 € 3,37 € 239%
Costi fissi e generali 0,35 € 0,35 € 0,00 € 0%
Costo totale_preparazione 2,11 € 5,17 € 3,06 € 145%
Risorse Umane 0,16 € 0,26 € 0,10 € 62%
Costi fissi e generali 0,03 € 0,03 € 0,00 € 0%
Costo totale_somministrazione 0,19 € 0,29 € 0,10 € 52%
Costo totale 2,30 € 5,46 € 3,16 € 137%

Tabella 1. Costo di utilizzo di una siringa di atropina

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Efedrina Costo Preparazione Manuale Costo Preparazione PFS Differenza (Euro) Differenza (%)
Risorse Umane 0,37 € 0,04 € -0,33 € -90%
Materiale utilizzato 1,36 € 4,83 € 3,47 € 256%
Costi fissi e generali 0,34 € 0,34 € 0,00 € -1%
Costo totale_preparazione 2,06 € 5,21 € 3,15 € 152%
Risorse Umane 0,19 € 0,26 € 0,07 € 38%
Costi fissi e generali 0,04 € 0,04 € 0,00 € 0%
Costo totale_somministrazione 0,22 € 0,29 € 0,07 € 31%
Costo totale 2,29 € 5,51 € 3,22 € 141%

Tabella 2. Costo di utilizzo di una siringa di efedrina

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Tuttavia, un vantaggio rilevante in capo alla struttura ospedaliera che dovesse decidere di dotarsi di PFS si riconduce alla riduzione dello spreco di farmaco. A tale proposito, sulla scorta dei dati raccolti all’interno della struttura coinvolta, si è cercato di quantificare l’impatto economico dello spreco di farmaco, assumendo un orizzonte temporale annuale. L’analisi ha pertanto considerato un volume di attività pari a 3.600 siringhe di atropina e 3.696 siringhe di efedrina, delle quali, rispettivamente il 74,67% e il 58,44% sono rimaste inutilizzate.

Da questo punto di vista, il costo correlato allo spreco, considerando il solo costo della fiala di atropina ed efedrina, risulta essere pari a 1.353,63 €. Tuttavia, è necessario considerare come il non utilizzo di tali siringhe non comporti solo dei costi generati dallo spreco della fiala di farmaco, ma anche dall’avere utilizzato del materiale di consumo.

Considerando, quindi, a 360 gradi, il costo correlato alle siringhe preparate, ma non utilizzate, si riscontra come una struttura ospedaliera potrebbe incorrere in un costo pari a 10.132,98 € (Tabella 3).

Costo dello spreco, considerando solo il costo della fiala- Atropina 817,15 €
Costo dello spreco, considerando solo il costo della fiala – Efedrina 536,48 €
Costo dello spreco, considerando solo il costo della fiala – Totale 1.353,63 €
Costo correlato allo spreco, considerando non solo il costo della fiala, ma anche del materiale di consumo – Atropina 5.672,68 €
Costo correlato allo spreco di farmaco, considerando non solo il costo della fiala, ma anche del materiale di consumo – Efedrina 4.460,29 €
Costo correlato allo spreco di farmaco, considerando non solo il costo della fiala, ma anche del materiale di consumo – Totale 10.132,98 €

Tabella 3. Costo correlato allo spreco

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Dopo avere valorizzato economicamente il percorso, l’analisi è proseguita con la definizione della sostenibilità economica potenzialmente generabile, all’interno di una struttura ospedaliera, dall’utilizzo consolidato delle PFS di atropina e di efedrina, ipotizzando un tasso di sostituzione completo della tecnologia innovativa rispetto all’allestimento manuale. Da questo punto di vista, il vantaggio economico risulterebbe essere complessivamente pari a circa il 15% (-2.312,65 €), come da Tabella 4.

  AS IS TO BE Differenze (Euro) Differenza (%)
Preparazione_Atropina 7.597,34 € 4.712,61 € -2.884,73 € -38,0%
Somministrazione_Atropina 175,59 € 266,08 € 90,49 € 51,5%
Totale_Atropina 7.772,93 € 4.978,70 € -2.794,24 € -35,9%
Preparazione_Efedrina 7.632,06 € 8.006,64 € 374,59 € 4,9%
Somministrazione_Efedrina 342,43 € 449,43 € 107,01 € 31,3%
Totale_Efedrina 7.974,48 € 8.456,08 € 481,59 € 6,0%
Totale 15.747,42 € 13.434,77 € -2.312,65 € -14,7%

Tabella 4. Analisi di impatto sul budget

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L’analisi di sostenibilità economica è stata infine integrata con la valorizzazione economica della gestione degli eventi derivanti da errori di medicazione. La frequenza di tali eventi è stata stimata sulla base di evidenze scientifiche disponibili [Larmene-Beld et al., 2019], consentendo di valutare anche il loro impatto sulla gestione complessiva del paziente, in quando tali errori di medicazione sono associati a un aumento significativo della durata dell’ospedalizzazione. In questo caso, l’adozione delle PFS dimostrerebbe un vantaggio economico considerevole: il risparmio potenziale generato potrebbe crescere fino all’80,6%, traducendosi in un beneficio economico significativo per le unità operative coinvolte nella gestione dei pazienti (-74.731,99 €).

Il vantaggio legato all’utilizzo delle PFS non si limita però alla dimensione economica. Come emerso dall’attività di mappatura dei percorsi, le PFS contribuiscono anche alla riduzione dei tempi necessari per le attività di allestimento, un aspetto cruciale per la sostenibilità organizzativa, in particolare nel contesto dell’anestesiologia.

In termini quantitativi, l’adozione delle PFS comporta una diminuzione del tempo di preparazione pari al 41% per l’atropina e al 47% per l’efedrina (Tabella 5). Questo risparmio di tempo ha un impatto significativo sull’organizzazione del lavoro, consentendo al personale sanitario di dedicare maggiore attenzione ad attività a maggior valore aggiunto. Tuttavia, i benefici in termini di tempo si concentrano principalmente nella fase di allestimento, poiché la fase di preparazione presenta minutaggi simili tra le due tecnologie. In quest’ultima fase, infatti, il processo innovativo delle PFS include un leggero incremento di tempo, pari a 7 secondi, attribuibile all’apertura della siringa pre-riempita.

 

Manuale

PFS

Differenza

Differenza (%)

Atropina

Tempistiche di preparazione (minuti)

0,92

0,11

-0,82

-89%

Tempistiche di somministrazione (minuti)

0,42

0,68

0,26

62%

Tempistiche totali (minuti)

1,34

0,79

-0,56

-41%

Efedrina

Tempistiche di preparazione (minuti)

0,96

0,10

-0,86

-90%

Tempistiche di somministrazione (minuti)

0,49

0,67

0,18

38%

Tempistiche totali (minuti)

1,45

0,77

-0,68

-47%

Tabella 5. Tempistiche correlate all’utilizzo di una singola siringa preparata manualmente e di una singola PFS

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Nel tentativo di comprendere il beneficio organizzativo in capo alla struttura su base annua, in un’ottica di incremento di system capacity, l’analisi è proseguita correlando le tempistiche sopra illustrate con il volume di attività condotto. In questo caso, la struttura ospedaliera potrebbe beneficiare di un vantaggio organizzativo pari a -6.102,67 minuti, in termini di effort della risorsa umana coinvolta per l’attività di allestimento.

Conclusioni

I risultati hanno fornito una fotografia di ritorno circa l’impatto economico-organizzativo correlato all’introduzione delle PFS di atropina e di efedrina all’interno del setting dell’anestesiologia, colmando un importante knowledge gap. Infatti, le evidenze emerse acquisiscono ancor più importanza, soprattutto per il fatto che le tecnologie avanzate con un impatto migliorativo di sicurezza sono normalmente correlate a costi di acquisizione più elevati, ma possono portare poi, per maggiore efficacia ed efficienza, a una ottimizzazione del percorso clinico, con un effetto finale per il quale l’investimento addizionale iniziale genera poi dei risparmi economico-organizzativi, da investire in ulteriori e differenti attività ospedaliere.

Sebbene, infatti, le PFS comportino un costo iniziale più elevato (+145% per atropina, +152% per efedrina), i benefici, tra cui la riduzione degli errori terapeutici, dei tempi di preparazione (da 0,92 a 11 minuti per l’atropina), e degli sprechi (pari a 10.132,98 € nello scenario tradizionale), compensano i costi di acquisizione.

La standardizzazione dei processi e la tracciabilità dei dispositivi migliorano l’efficacia e riducono gli eventi avversi, generando risparmi nel medio-lungo termine. Chiaramente tali vantaggi potrebbero essere ancora maggiori qualora si considerassero ulteriori principi attivi e non solo atropina ed efedrina.

Nel tentativo di sintetizzare i punti di forza e di valore delle PFS, i risultati sono stati riassunti in forma tabellare, mediante un’analisi SWOT, volta a identificare e schematizzare forze e debolezze interne di un sistema e opportunità e minacce esterne per informare/sostenere decisioni che possono indirizzare azioni future verso un obiettivo.

Punti di forza

Punti di debolezza

  • Riduzione delle tempistiche di allestimento
  • Riduzione degli errori di medicazione, grazie alla standardizzazione del dosaggio e alla tracciabilità
  • Riduzione degli sprechi di farmaci grazie alla confezione monodose.
  • Maggiore sicurezza per operatori e pazienti, con minori rischi di contaminazione e lesioni.
  • Standardizzazione della produzione.
  • Miglioramento dell’efficienza organizzativa e dei flussi di lavoro.
  • Conformità con normative di sicurezza e tracciabilità dei dispositivi medici.
  • Costi di acquisizione del device
  • Necessità di formazione dedicata al personale coinvolto nell’utilizzo delle PFS
  • Dipendenza dai fornitori per la disponibilità delle PFS

Opportunità

Minacce

  • Possibilità di integrazione con sistemi digitali per migliorare la gestione dei farmaci.
  • Dati i vantaggi dimostrati per i principi attivi di atropina e di efedrina, possibilità di dotarsi di PFS contenenti altri principi attivi
  • Incremento della qualità percepita delle cure, migliorando la reputazione delle strutture sanitarie.
  • Adattabilità della tecnologia a diversi contesti sanitari e clinici.
  • Resistenza al cambiamento da parte del personale
  • Complessità logistica nella distribuzione e gestione delle scorte di PFS

Tabella 6. Analisi SWOT

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In conclusione, l’introduzione delle PFS rappresenta una significativa innovazione tecnologica e organizzativa e l’opportunità di semplificare i processi operativi, favorendo una maggiore standardizzazione delle attività. Questo scenario suggerisce l’opportunità di integrare le PFS nelle pratiche cliniche quotidiane, con particolare attenzione alle necessità di formazione del personale e alle strategie di gestione delle scorte.

Bibliografia

Malattie Rare, lo screening neonatale esteso eccellenza europea ma non basta: necessario assicurare aggiornamento tempestivo del panel

In Italia lo screening neonatale esteso individua alla nascita 49 patologie e salva o migliora la vita a più di 400 bambini ogni anno. Anche grazie alla continua spinta delle Associazioni di pazienti, il nostro Paese è leader in Europa nell’implementazione di questo fondamentale programma di prevenzione secondaria: non solo un test alla nascita, gratuito e garantito per tutti i nuovi nati, ma un vero e proprio percorso di diagnosi precoce e presa in carico di diverse malattie congenite. Ma essere un’eccellenza europea non basta​; è necessario dare piena attuazione alla Legge n. 167/2016​ e ​assicurare un aggiornamento tempestivo del panel delle patologie oggetto di screening​ per ridurre insopportabili disuguaglianze tra Regioni, porre fine a tragedie evitabili come quella della piccola Gioia, e garantire a ogni bambino, a prescindere dal luogo di nascita, il diritto alla salute, alla vita.

È quanto emerso dall’evento svoltosi oggi a Roma Malattie rare, il punto sugli screening neonatali: dalla biologia alla genetica, organizzato da UNIAMO Federazione Italiana Malattie Rare con la partecipazione dei componenti dell’Intergruppo Parlamentare Malattie Rare e Oncoematologiche. Partendo dalla presentazione de Il Barometro di MonitoRare: dossier SNE – approfondimento del Rapporto MonitoRare, unico esempio in Europa di monitoraggio condotto da un’organizzazione di pazienti – si è fatto il punto sullo stato dell’arte dello SNE in Italia, alla luce delle nuove frontiere aperte dalla genetica e del panorama europeo.

I lavori sono stati aperti da Annalisa Scopinaro, Presidente UNIAMO: «A giugno del 2021 il Gruppo di Lavoro SNE ha espresso parere positivo in merito all’introduzione dell’atrofia muscolare spinale nel panel; sono passati 4 anni e lo screening neonatale per la SMA non è ancora garantito su tutto il territorio nazionale. Ci auguriamo che arrivi nei prossimi mesi, finalmente, l’aggiornamento dei LEA con l’approvazione dei due decreti (iso-risorse e risorse aggiuntive) in cui la Federazione si aspetta di trovare il riconoscimento di almeno 12 nuove malattie rare, alcune prestazioni relative a singole patologie e, per l’appunto, l’ampliamento del panel SNE. Due gli auspici: nel breve periodo – ha così concluso la Presidente Scopinaro – ci appelliamo alle Regioni perché possano dare l’avvio a progetti pilota sulla  leucodistrofia metacromatica e altre patologie. Il secondo, che si possa pensare e adottare un iter diverso per l’aggiornamento del panel SNE che sia tempestivo. Risulta evidente, infatti, che legare l’aggiornamento al (maxi) decreto LEA non è una procedura adeguata: occorre una semplificazione amministrativa che consenta di sincronizzare l’arrivo di nuove terapie e l’ampliamento SNE: le tempistiche, in questo caso, sono tutto, e fanno la differenza per la vita delle persone».

Legare l’aggiornamento del panel SNE al (maxi) decreto LEA non è una procedura adeguata

«Nel panorama delle malattie rare – le parole di Guido De Barros, Presidente di Voa Voa!  Amici di Sofia – la diagnosi precoce non è un accessorio delle terapie: è la conditio sine qua non per renderle efficaci. Avere una cura ma non garantirne l’accesso tempestivo attraverso lo screening neonatale è inammissibile, ed equivale, a mio avviso, a un’omissione di soccorso. Lo sanno bene i genitori di bambini curabili ma condannati da una diagnosi tardiva. Lo so io, padre di Sofia, scomparsa nel 2017 per una MLD scoperta troppo tardi. E lo sa la famiglia della piccola Gioia, diagnosticata nel 2024 per la stessa malattia, e diventata simbolo nazionale grazie alla campagna di sensibilizzazione ideata e promossa da Voa Voa. Una campagna che ha riportato lo screening neonatale al centro del dibattito pubblico e istituzionale, e spinto l’Emilia-Romagna a programmare l’avvio di un progetto pilota di screening neonatale per la leucodistrofia metacromatica».    

Quindi Andrea Piccioli, Direttore Generale dell’Istituto Superiore di Sanità, ha evidenziato come «l’ISS sia da sempre impegnato nell’implementazione dello screening neonatale esteso, attraverso il monitoraggio dell’efficacia dei programmi in atto e la promozione della ricerca scientifica finalizzata alla definizione di percorsi sempre più specifici, sensibili e sostenibili».

Hanno partecipato all’evento anche alcuni componenti dell’Intergruppo Parlamentare Malattie Rare e Oncoematologiche.

L’Italia ha il programma di screening neonatale più avanzato d’Europa, che però è fermo da troppo tempo

Tra questi, l’On. Maria Elena Boschi ha dichiarato: «L’Italia dispone del programma di screening neonatale più avanzato d’Europa, grazie al quale viene garantito a ogni neonato uno screening gratuito di ben 49 patologie. Questo numero, però, è fermo da troppo tempo, e non possiamo di certo nasconderci dietro a questo primato quando la realtà racconta ben altro. La realtà, infatti, dice che già da quattro anni il Gruppo di Lavoro SNE istituito presso il Ministero della Salute ha identificato una lista di almeno altre dieci patologie da inserire nel panel SNE. A queste potrebbero aggiungersene altre, come ad esempio la leucodistrofia metacromatica, rispetto alla quale sono già attivi due progetti pilota in Toscana e in Lombardia. Tutto però è fermo in attesa dell’aggiornamento LEA, e nel frattempo alcune Regioni si sono mosse in autonomia, ma questa non è la strada che dobbiamo percorrere. Le storie di bambini come Ettore, o come Gioia, che non hanno potuto accedere allo screening in quanto nati in una regione o in un ospedale in cui non era assicurato lo screening, sono sempre di più, e questo a causa dell’immobilità di un meccanismo che non garantisce un aggiornamento tempestivo delle patologie da ricercare con lo SNE. Serve individuare al più presto un procedimento – slegato dall’aggiornamento LEA – che garantisca a tutti i nuovi nati, su tutto il territorio nazionale, l’accesso allo SNE per tutte le patologie attualmente candidabili. Altrimenti, il primato europeo non serve a nulla».

In mancanza di un coordinamento centrale, le Regioni si muovono in modo autonomo generando disparità

L’On. Ilenia Malavasi, invece, si è così espressa: «Il diritto di tutti i neonati e delle loro famiglie a poter accedere allo screening neonatale, sicuro e gratuito – un percorso di diagnosi precoce che permette di mettere in sicurezza la salute di bimbi che altrimenti potrebbero andare incontro agli effetti invalidanti e vitali di malattie gravi – è sancito dalla Legge 167/2016, attualmente previsto per 49 patologie. La stessa legge prevede anche una revisione periodica di questo elenco e quindi l’aggiunta di altre patologie da ricercare, per andare di pari passo con i progressi della ricerca. Purtroppo, mentre la scienza progredisce, gli aggiornamenti per lo SNE ancora no. Questo fa sì che le Regioni si muovano in modo autonomo, creando disparità territoriali gravi e dolorose, se pensiamo che tutto questo riguarda la vita di bambini, che può essere decisa dal territorio in cui si nasce. È il caso, per esempio, della SMA – una delle rare malattie neuromuscolari genetiche con più incidenza neonatale – il cui screening è attualmente previsto in sole 13 Regioni italiane: aggiungere la SMA nel panel significa ottenere una diagnosi precoce e di conseguenza una pronta gestione terapeutica, aspetti che impattano fortemente sulla qualità della vita dei pazienti e delle loro famiglie. Oggi sono 12 le nuove patologie che si possono sottoporre a screening e da quattro anni è incredibilmente tutto fermo. Uguali diritti e uguali possibilità per tutti i cittadini sull’intero territorio nazionale sono pilastri della nostra democrazia e devono trovare piena e tempestiva attuazione, anche e soprattutto in campo sanitario».

Finanziamento SSN: un puzzle che rischia di penalizzare equità ed efficacia

CREA Sanità, Federsanità-ANCI e Salutequità hanno fatto il punto sul finanziamento del SSN, condizione essenziale per garantire l’accesso alle prestazioni e, quindi, per realizzare le finalità equitative dell’intervento pubblico. Il finanziamento ha un ruolo cruciale anche nella generazione dei corretti incentivi al perseguimento dell’efficienza nella realizzazione delle attività del SSN: ruolo che si è rafforzato con gli interventi costituzionali che, dal 2001, hanno introdotto e sviluppato il federalismo, in particolare fiscale, nell’ordinamento italiano.

Federico Spandonaro, Università di Roma Tor Vergata, Presidente del Comitato Scientifico di CREA Sanità. ha commentato: «L’analisi della regolamentazione del finanziamento del SSN e dei SSR è cruciale per comprendere l’evoluzione del federalismo e della gestione sanitaria regionale. Gran parte delle risorse regionali è destinata alla sanità, con il principio della legislazione concorrente e i piani di rientro che hanno rafforzato la responsabilizzazione finanziaria e la garanzia dei LEA. L’analisi del finanziamento è complessa e spesso carente a livello regionale, nonostante le scelte di allocazione abbiano un impatto strategico su equità ed efficienza».

«La ricerca conferma che la trasparenza del finanziamento sanitario è insufficiente e che l’accountability regionale è variabile»

L’aggiornamento di una ricerca condotta la prima volta nel 2015 si è reso necessario anche a causa di modifiche normative, come il D.Lgs. 68/2011 sul fabbisogno sanitario e il D.Lgs. 118/2011 sulla Gestione Sanitaria Accentrata (GSA), che ha formalizzato l’accentramento delle risorse regionali. «Inoltre – prosegue Spandonaro -, la creazione delle “Aziende Zero” ha modificato la gestione delle funzioni centrali e della GSA. Il nuovo studio analizza l’intero processo di finanziamento, dal livello nazionale a quello regionale, considerando la determinazione del FSN, la sua suddivisione, il riparto alle Regioni e la distribuzione intra-regionale. L’analisi copre un quinquennio partendo dal 2019. La metodologia prevede prima un’analisi qualitativa, poi una quantificazione dei flussi finanziari e infine una sintesi dei risultati. La ricerca conferma che la trasparenza del finanziamento sanitario è insufficiente e che l’accountability regionale è variabile. L’obiettivo futuro è superare le analisi occasionali e avviare un monitoraggio continuo per garantire una gestione più equa ed efficiente delle risorse sanitarie».

L’analisi del livello nazionale ha affrontato:

  • il tema della determinazione del Fabbisogno Sanitario Nazionale
  • il processo di integrazione del FSN e determinazione delle risorse ripartibili
  • la suddivisione del FSN in base alla priorità del SSN
  • i criteri di riparto alle Regioni

A seguire, l’analisi del livello regionale, dopo avere descritto la struttura dei SSR, ha affrontato:

  • il tema dell’accertamento delle risorse disponibili a livello regionale
  • quello dei criteri di riparto intra-regionali
  • la definizione delle risorse ripartibili alle Aziende e Enti regionali
  • il riparto fra le Aziende
  • le tempistiche degli interventi normativi regionali

I risultati dello studio

Dallo studio emerge uno scostamento molto netto fra programmazione centrale e regionale: varie Regioni hanno adottato un set di criteri per definire le allocazioni molto più dettagliato di quello nazionale. A titolo di esempio, a fronte delle sei quote di allocazione nazionali delle risorse, il Piemonte ne adotta 11 per la Prevenzione, 5 per l’Ospedaliera, 11 per la Distrettuale, per un totale di 27, l’Emilia-Romagna ne adotta 3 per la Prevenzione, 1 per l’Ospedaliera, 9 per la Distrettuale, per un totale di 13.

Ancor più variabile l’applicazione dei criteri per il riparto interno delle risorse: in Piemonte si contano 16 criteri aggiuntivi oltre quelli nazionali, in Emilia-Romagna 14, in Campania 5 e in Basilicata 4 in più.

A livello regionale poi, c’è scarsa trasparenza sui criteri di allocazione e di accertamento delle risorse ripartibili localmente: ad esempio, solo poche Regioni esplicitamente considerano i saldi di mobilità, come anche le risorse provenienti dai Fondi per i farmaci innovativi, nel processo di determinazione delle risorse regionali.

Analogamente, solo poche Regioni esplicitano i propri criteri di riparto fra le Aziende e, quelle che lo fanno, si discostano sensibilmente dalle indicazioni nazionali, sia in termini di vincoli di destinazione, quanto di criteri di allocazione. Il riparto regionale appare sempre più disordinato e basato su mediazioni politiche piuttosto che su criteri oggettivi.

Il finanziamento per l’assistenza distrettuale varia  tra le regioni sia in termini di percentuali assegnate che di criteri di riparto. Alcune regioni, come Emilia-Romagna e Valle d’Aosta, hanno percentuali leggermente inferiori rispetto alla media nazionale (pari al 50,5%); mentre altre, come Campania e Puglia, mantengono la media nazionale del 51%. I criteri di riparto includono suddivisioni dettagliate in sub-livelli come medicina generale, assistenza farmaceutica, specialistica ambulatoriale, salute mentale, dipendenze patologiche, assistenza domiciliare e altre funzioni di assistenza distrettuale. Regioni come Piemonte, Emilia-Romagna e Campania adottano criteri molto dettagliati per la suddivisione delle risorse, influenzando il finanziamento per l’assistenza distrettuale.

Per quanto concerne il finanziamento indistinto alcune Regioni hanno visto incrementato, nel periodo 2019-2022, il finanziamento, come le Provincie Autonome di Trento e Bolzano, Emilia-Romagna e Veneto; le Regioni con i minori incrementi sono state: Calabria, Molise, Sicilia e Basilicata.

Le quote premiali si discostano completamente da quelle utilizzate per il finanziamento indistinto, esse vengono distribuite in base ad accordi pattuiti in sede di CSR, indipendentemente da criteri premiali. Nel Periodo 2019-2021, oltre il 60% dell’accantonamento viene distribuito tra la Regione Liguria e la Campania.

Fabrizio d’Alba, Presidente Federsanità e Direttore Generale Policlinico Umberto I di Roma, ha ricordato: «Il PNRR è vicino al completamento nella creazione di strutture territoriali e nell’implementazione di tecnologie per la gestione remota del paziente, ponendo le basi per l’attuazione del DM 77. Gli investimenti in conto capitale sono stati coerenti con la visione della sanità territoriale, ma ora serve garantire coerenza anche nell’allocazione delle risorse correnti per rendere pienamente operative le nuove strutture».

«Le scelte allocative influenzano direttamente la politica sanitaria, determinando la capacità di rispondere ai bisogni dei cittadini»

Nonostante si parli da anni di spostare attività dall’ospedale al territorio, la ripartizione del FSN non è stata modificata dal 2011, mantenendo invariati i finanziamenti tra assistenza distrettuale, ospedaliera e prevenzione. «Dopo il 2026, sarà necessario rivedere questa distribuzione per sostenere il nuovo modello di assistenza. Le scelte allocative influenzano direttamente la politica sanitaria, determinando la capacità di rispondere ai bisogni dei cittadini. Il tema dei LEA si lega alla sostenibilità del FSN, che difficilmente potrà essere incrementato, rendendo necessaria una revisione delle prestazioni incluse, delle forme di compartecipazione alla spesa e del ruolo dei fondi sanitari integrativi. La disomogeneità nella ripartizione del FSN tra le Regioni e nei sistemi di finanziamento delle Aziende Sanitarie evidenzia differenze nella gestione delle risorse. Alcune Regioni hanno modificato  la storica ripartizione del 2011, utilizzando la GSA (gestione sanitaria accentrata) come leva per rafforzare specifiche attività. Infine, le disparità nei bilanci aziendali sollevano dubbi sulla loro capacità di valutare la gestione economica delle aziende e alimentano giudizi semplicistici che ostacolano una partecipazione costruttiva alla programmazione sanitaria».

Quote di riparto per AO/AOU/IRCCS

Alcune regioni hanno visto un incremento, come Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia-Giulia, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Campania, Sicilia e Sardegna. Altre regioni hanno visto una diminuzione, come Veneto, Liguria, Puglia e Calabria.

Una delle evidenze significative emerse dalla ricerca pubblicata nel 2015 (riferita al finanziamento 2011 e 2012) è stata quella relativa alla frequente politica regionale di accentramento di una quota di risorse, ed è una novità rilevante intervenuta rispetto alla precedente ricerca dovuta all’introduzione della GSA prevista dal D.Lgs n. 118/2011, che ha permesso di razionalizzare e standardizzare la gestione contabile delle somme accentrate.

La ricerca conferma che la trasparenza del processo rimane insufficiente, e che l’accountability delle Regioni in tema di finanziamento è da ritenersi fortemente variabile: questa ultima nota indica la direzione per futuri approfondimenti e, principalmente, evidenzia l’importanza di superare le analisi estemporanee, passando ad un monitoraggio (quindi continuo) dei processi oggetto della ricerca.

Il ruolo dell’accountability nel finanziamento del SSN è cruciale per garantire trasparenza, efficienza, equità e responsabilità nella distribuzione delle risorse. I principali aspetti del ruolo dell’accountability sono cinque: trasparenza, efficienza, equità, responsabilità e governance.

Cosa serve? Tra l’altro e prioritariamente nuovi algoritmi di riparto, basati su evidenze oggettive e su indicatori aggiornati; maggiore trasparenza nei criteri di allocazione delle risorse regionali; investimenti mirati per riequilibrare il rapporto tra sanità ospedaliera e territoriale.

Occorre passare da un sistema di pagamento per prestazione a uno che finanzi percorsi terapeutici e i loro risultati di salute superando i silos

Tonino Aceti, Presidente Salutequità, ha commentato: «Non è più rinviabile la definizione di una metodologia di calcolo del fabbisogno sanitario standard, in grado di superare concretamente lo “storico” e la sola “negoziazione politica” passando a criteri più oggettivi e aggiornati, come i LEA, il tasso rinuncia alle cure e di povertà, le caratteristiche della popolazione, l’epidemiologia, l’innovazione tecnologica, personale e infrastrutture adeguati, standard organizzativi/strutturali/tecnologici, mobilità sanitaria, caratteristiche orografiche del territorio. Il finanziamento del SSN deve essere agganciato a una strategia pluriennale per la salute e il rafforzamento del SSN, attraverso la definizione e l’approvazione di un nuovo Piano Sanitario Nazionale, che manca da circa 15 anni, da adottare però con una procedura più “forte” rispetto a quella prevista nel 2006».

Per Aceti «si devono modificare i criteri di riparto del Fondo Sanitario, dando più peso alla deprivazione sociale e quelli della quota premiale, passando dalla negoziazione tra Regioni a criteri trasparenti, obiettivi, vincolanti e attuali. E ancora, passare da un sistema di pagamento per prestazione a uno che finanzi percorsi terapeutici e i loro risultati di salute superando il silos budget e mettendo al centro il valore delle cure. Poi, semplificare l’accesso ai fondi per l’edilizia sanitaria e incentivare la ricerca e l’innovazione per rendere il Ssn più efficace e sostenibile a lungo termine».

L’ordine degli ingegneri della Provincia di Torino per “Change in Cardiology” 2025

Il Centro Congressi Lingotto di Torino ospiterà, da giovedì 10 a sabato 12 aprile, il congresso internazionale Change in Cardiology, che riunirà i maggiori esperti nazionali e internazionali per esplorare i progressi più significativi nella ricerca e nella pratica cardiovascolare.

A promuovere la tre giorni il Comitato Scientifico coordinato da Giuseppe Musumeci, Direttore di Cardiologia dell’Ospedale Mauriziano di Torino; Giuseppe Patti, Direttore del Dipartimento Toraco-Cardio-Vascolare dell’AOU di Novara; Italo Porto, Direttore di Cardiologia dell’Università degli Studi di Genova; Ferdinando Varbella, Direttore Cardiologia dell’Ospedale di Rivoli AslTo3. Co-director Giuseppe Ferro, Presidente dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Torino, e Stefano Corgnati, Rettore del Politecnico di Torino.

Nell’ambito del congresso, l’Ordine Ingegneri, con la collaborazione della Commissione Clinica Biomedica, organizza, presso la Sala Istanbul, il seminario erogante CFP Ricerca e sviluppo, certificazione e commercializzazione di dispositivi medici: sfide del prossimo decennio, venerdì 11 aprile, dalle 14.30.

L’evento è la terza edizione del progetto Change the FUTURE WITH Bioengineering, parte integrante dell’iniziativa Change in BioEngineering, ideata da Manuela Appendino, Coordinatrice della Commissione Clinica Biomedica dell’Ordine, in stretta sinergia con il Comitato Scientifico di Change in Cardiology, con il medesimo Ordine, il Politecnico di Torino e l’Associazione WeWomEngineers ETS.

Il progetto, sviluppato per avvicinare i giovani ingegneri biomedici alla pratica clinica, ambisce con l’edizione 2025 a un obiettivo ancora più ampio: rafforzare la consapevolezza e la cultura sui cambiamenti in atto nel settore industriale medtech, incentivando un dialogo più stretto tra industria, università e clinica. Sarà messo in evidenza il ruolo cruciale della professionalità sia clinica sia ingegneristica in tutto il processo di progettazione, validazione e certificazione dei dispositivi medici.

Manuela Appendino

«In questi anni ho riflettuto spesso su come approfondire temi del mondo biomedicale complessi da rappresentare, ne parlai un giorno con il Dott. Giuseppe Musumeci in occasione del Change in Cardiology, volevo creare un momento che potesse ampliare il dietro le quinte di chi fa ricerca e di chi lavora per progettare e certificare i dispositivi medici, perché anche se abbiamo 4.621 aziende biomedicali in Italia non significa che i problemi e le complessità non esistano e perché spesso è il ruolo dell’ingegnere biomedico a non essere compreso né spiegato per le sue vere potenzialità – scrive Appendino sul suo profilo Linkedin -. Così è nato Change in BioEngineering», che persegue tre scopi principali: offrire agli studenti del Politecnico di Torino uno scenario reale di esperienza clinica, perseguire l’aggiornamento professionale che secondo Appendino è mancato in questi anni, mixando le attività di ricerca universitaria con ciò che si vive quotidianamente lato industriale e, infine, il confronto e le sinergie.

«Il nuovo regolamento europeo è complesso: oggi abbiamo uno strumento straordinario che va raccontato, riconosciuto come tale, perché in fondo da qui parte la base per tutte nostre attività di supporto e consulenza tecnica. Non è vero che il biomedico non è talentuoso, ho conosciuto tantissimo talento in questi anni, è vero che non viene a sufficienza raccontato e di conseguenza non sufficientemente valorizzato», conclude.

Il paziente simulato per superare le barriere linguistiche in medicina

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Nella medicina, le parole sono importanti. Ma quando a mancare è proprio la lingua comune, può diventare difficile costruire quella relazione di fiducia tra medico e paziente che dovrebbe essere alla base della buona cura. È da questa consapevolezza che nasce il progetto sperimentale sul paziente simulato all’interno del corso di Medicina e Chirurgia in lingua inglese dell’Università Sapienza di Roma. Un’iniziativa pensata per gli studenti internazionali che, pur studiando in inglese, devono affrontare i tirocini clinici parlando italiano, spesso con molte difficoltà.

Marianna Maranghi

«Non tutti i nostri studenti immaginano un futuro nel nostro Paese – racconta Marianna Maranghi, professore associato di Medicina Interna che ha seguito in prima persona il progetto con Rossella Melcarne, dottoranda presso la Sapienza – e per questo non ritengono importante studiarne la lingua, almeno finché non arrivano in ospedale. Il nostro intento era provare a avvicinare gli studenti ai pazienti in un contesto “protetto”, dove potessero emergere le difficoltà senza timore di essere giudicati».

Un ponte tra aula e corsia

Il corso, ideato in collaborazione con tutor e studenti del corso di laurea, nasce infatti come spazio di sperimentazione realistica, un ponte tra l’aula universitaria e il mondo clinico. Al centro dell’esperienza un attore professionista nel ruolo del paziente e piccoli gruppi di studenti che si cimentano con la raccolta anamnestica in italiano. Tutto sotto la guida di tutor e docenti, in un ambiente più rilassato rispetto all’ospedale.

Il paziente simulato è uno spazio di sperimentazione realistica, un ponte tra l’aula universitaria e il mondo clinico

Il progetto è stato costruito “in casa”, come raccontano le due ideatrici: «Non esisteva molta letteratura in merito: dopo aver fatto una revisione sistematica, abbiamo deciso di creare un nostro modello».

Rossella Melcarne

La scelta è ricaduta su uno scenario clinico comune – il dolore – perché già noto agli studenti dal punto di vista teorico, e quindi più accessibile come primo passo nella pratica comunicativa. Per l’interazione con il paziente, gli studenti si sono affidati a una griglia preparata dai tutor seguendo il metodo SOCRATES, un acronimo per ricordare i vari step nella valutazione utilizzato soprattutto dagli operatori sanitari nei servizi di emergenza. 

Dal dialogo al feedback

Durante gli incontri, ogni studente ha affrontato un colloquio individuale con il paziente simulato, seguito da una discussione collettiva. Non solo: anche l’attore ha fornito un feedback sulla relazione, restituendo un punto di vista prezioso su aspetti spesso trascurati, come il linguaggio del corpo e l’atteggiamento empatico.

A questo si è aggiunto un secondo livello di esercitazione, con la stesura di un report clinico scritto, che è stato corretto prima dai tutor e poi dai docenti. Obiettivo: migliorare non solo la comunicazione verbale, ma anche quella scritta, fondamentale nella pratica medica quotidiana.

«Gli studenti hanno preferito non riprendersi, ma solo registrare la propria voce»

Una curiosità? «Avevamo dato la possibilità agli studenti di registrarsi in video per rivedere l’incontro e analizzare anche il linguaggio non verbale – racconta Maranghi -. Eppure, nessuno ha voluto farlo. Hanno scelto solo la registrazione audio. Forse una forma di pudore, forse un modo per concentrarsi sul contenuto più che sull’immagine. Ma è stato comunque sorprendente».

Un esercizio di empatia

Margherita Floris

Una delle scoperte più interessanti emerse dalla sperimentazione è che, paradossalmente, gli studenti con maggiore difficoltà linguistica sono spesso riusciti a stabilire una comunicazione più efficace, sfruttando gestualità, tono di voce, sguardi: tutti strumenti che in medicina fanno la differenza, e che raramente vengono insegnati.

Chiara Iurato

«È stato interessante vedere come, anche senza parlare perfettamente italiano, alcuni siano riusciti a stabilire un legame profondo con il paziente – racconta Melcarne –. Questo ci ha fatto riflettere molto anche sul nostro modo abituale di comunicare in corsia».

Un’impressione condivisa anche dalle tutor coinvolte nella realizzazione del progetto, Chiara Iurato e Margherita Floris: «Questa esperienza ci ha fatto capire che la relazione medico-paziente è un ambito dove non si finisce mai di imparare. Anche chi è già al quinto o sesto anno ne può trarre beneficio».

I numeri e il futuro

Il progetto, partito in via sperimentale con 19 studenti del terzo anno, ha ricevuto feedback positivi: circa l’80% dei partecipanti ha espresso un alto livello di soddisfazione e molti hanno chiesto di ripetere l’esperienza. «Un paio di loro mi hanno chiesto di poter venire in reparto, a parlare con dei pazienti veri – sorride Melcarne –. Ovviamente non si è trattato di un colloquio clinico, ma la loro volontà ha testimoniato come il progetto abbia fatto da pungolo per far loro affrontare una situazione che temono proprio per la barriera linguistica».

Anche per questo, la seconda fase, ora in corso, si apre anche agli studenti del secondo anno e prevede scenari più complessi, con pazienti “difficili” da gestire, come quelli particolarmente chiacchieroni o i reticenti.

L’intenzione è di inserire l’attività tra quelle obbligatorie

Per ora, l’assenza di risorse e di un team strutturato limita la possibilità di realizzare un follow-up clinico durante il quarto anno, quando gli studenti affrontano i tirocini veri. Ma le ideatrici sperano che, con il tempo, il progetto possa essere ampliato e reso parte integrante del percorso formativo obbligatorio.