Sospensione dei brevetti: molto se ne è discusso negli ultimi due anni, poco si è concretizzato finora. Ma gli effetti delle istanze di cambiamento nel regime della proprietà intellettuale dei farmaci e soprattutto dei vaccini emerse durante la pandemia potrebbero dispiegarsi in un tempo più lungo. Come? Ne abbiamo discusso con Maurizio Borghi, professore ordinario di Diritto commerciale all’Università degli Studi di Torino.
Qual è il quadro normativo attuale in Italia?
I brevetti sono regolati dal Codice della Proprietà Industriale (Cpi) negli articoli 45-81. Fino a prima della pandemia esisteva una sola previsione di licenza obbligatoria che consentiva l’uso senza richiesta di autorizzazione da parte del titolare del brevetto, dietro pagamento di un equo compenso, quella dell’articolo 70. Ma si trattava di un’ipotesi abbastanza limitata, perché concretizzabile solo quando il titolare del brevetto o non produce o lo fa in modo insufficiente; questo, con tempi non compatibili con una pandemia, perché la mancata attuazione si configura dopo tre anni.
In concreto, l’idea è che un inventore ottenga un brevetto, per tre anni non faccia nulla, e, a fronte del bisogno della nazione di avere per esempio un farmaco necessario, dopo tre anni, sia possibile ottenere la licenza obbligatoria: una strada abbastanza stretta e poco utile in caso di emergenza.
Di recente, con la Legge n. 108 del 29 luglio 2021, è stato introdotto l’articolo 70-bis che prevede una nuova ipotesi di licenza obbligatoria in caso di emergenza nazionale sanitaria, cioè una norma cucita per la pandemia da Covid-19. Anche questa però ha condizioni abbastanza gravose:
- devono verificarsi comprovate difficoltà nell’approvvigionamento di specifici medicinali o dispositivi essenziali
- la licenza può essere chiesta durante il perdurare del periodo emergenziale o entro 12 mesi dopo la fine dell’emergenza
- infine la produzione deve essere prevalentemente per il mercato interno.
Questo significa che ad esempio non si può usare questa disciplina per produrre vaccini da esportare verso Paesi che ne hanno bisogno (un’ipotesi prevista a livello comunitario dal Regolamento n. 816/2016).
Comunque al momento risulta che nessuno abbia fatto richiesta di licenza obbligatoria nel nostro paese.
E a livello internazionale?
C’è sempre la proposta di sospensione temporanea dei brevetti avanzata da Sud Africa e India nell’ottobre del 2020 in sede di Consiglio Generale Trips. Ma a essa non sono seguite iniziative a livello di Organizzazione Mondiale del Commercio e il punto politico è rimasto in sospeso prevalentemente per l’opposizione dell’Unione Europea e di altri paesi produttori di farmaci come Gran Bretagna, Svizzera e Giappone.
A marzo è stata annunciata una bozza di accordo, che introduce alcune limitate flessibilità all’ordinamento attuale internazionale regolato dall’accordo Trips (Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights), che a mio parere sono assolutamente insufficienti e non rispondono assolutamente alle esigenze che i Paesi meno ricchi hanno avanzato. Ma forse su questa base ci potrebbero essere prospettive di sviluppo nei prossimi mesi, anche in virtù di alcune dinamiche che stanno cambiando.
I rapporti di forza a livello di Organizzazione Mondiale del Commercio stanno cambiando
Penso all’India e al Sud Africa, paesi che stanno acquistando sempre più peso nel commercio internazionale e sono forti produttori di farmaci generici, che esportano in tutto il mondo, e per questo sono storicamente sempre stati avversi a politiche aggressive di brevetto dei farmaci. La Cina, dal canto suo, è diventata leader nelle nuove tecnologie e in particolare quelle satellitari, l’Intelligenza Artificiale e la ricerca medica, quindi si sta collocando su posizioni più protezioniste rispetto al passato. I rapporti di forza a livello di Organizzazione Mondiale del Commercio stanno cambiando.
Quelli dei farmaci e dei vaccini non sono brevetti come tutti gli altri: c’è di mezzo il rapporto con il diritto alla salute. Come possiamo inquadrarlo dal punto di vista giuridico ed etico?
Per i giuristi ormai è un dato assodato che l’accesso ai farmaci sia una componente integrante del diritto alla salute: c’è già una giurisprudenza internazionale abbastanza consolidata su questo punto. L’accesso ai farmaci dipende da due variabili: costo dei farmaci e quantità prodotte. Il brevetto consente di controllare entrambe le grandezze e per questo si pone in un conflitto direi quasi naturale con la tutela del diritto alla salute.
Il brevetto fa due cose: da un lato divulga un’invenzione, perché è sostanzialmente un testo tecnico che spiega come funziona l’invenzione e come si realizza. Quindi, quando scade, in teoria chiunque può produrre quell’invenzione liberamente. Il secondo aspetto è che il brevetto serve per proteggere l’investimento che viene fatto per inventare quel particolare ritrovato o processo per produrlo.
Per i giuristi ormai è un dato assodato che l’accesso ai farmaci sia una componente integrante del diritto alla salute
Oggi però entrambi gli aspetti della tutela brevettuale sono messi in crisi dal modo in cui l’industria farmaceutica opera sul mercato perché quanto al primo aspetto, quello della divulgazione, in realtà il brevetto non è come una ricetta di cucina che chiunque, con i mezzi appropriati, può realizzare: in realtà produrre un farmaco, e in particolare si è visto con i vaccini a mRna, richiede una serie di altre conoscenze che non sono scritte nel brevetto ma sono segreti industriali, know-how, informazioni coperte da altri brevetti e da una rete complessa di diritti di proprietà intellettuale. Questa è anche un’obiezione che è stata fatta alla proposta di sospensione dei brevetti: anche se fossero sospesi, i titolari del brevetto sarebbero comunque in grado di impedirne la produzione facendo leva sui propri segreti industriali.
Anche il secondo aspetto, quello della protezione dell’investimento, è problematico e si è visto con vaccini, perché la ricerca su questi farmaci è finanziata quasi interamente con denaro pubblico. L’investimento delle case farmaceutiche consiste nell’andare a individuare delle linee di ricerca promettenti, nel fare campagne di marketing, contratti con il settore pubblico, e soprattutto nei costi dei test clinici che sono molto dispendiosi soprattutto nella fase 3. Ma nel caso dei vaccini contro il Covid-19 i test sono stati coperti da fondi pubblici e i contratti di pre-acquisto siglati con i governi hanno sollevato le case farmaceutiche da ogni rischio. Mi pare quindi che venga meno la giustificazione della tutela brevettuale da parte di soggetti privati.
Quindi Lei è a favore della sospensione dei brevetti?
Sì. Se la salute è un bene pubblico e i vaccini sono necessari per sconfiggere la pandemia (come viene continuamente ripetuto dai leader dei governi occidentali), il passo successivo sarebbe la sospensione del diritto di proprietà sui brevetti. Mi chiedo perché in pandemia tutti i diritti vengano compressi, come quelli allo studio, al lavoro, alla riunione pacifica o all’impresa, ma quello di proprietà non possa essere toccato.
Ci sono anche altre considerazioni che si aggiungono: sulla base di ricerche sulle tecnologie di produzione dei vaccini, Human Rights Watch ha individuato più di 100 produttori in Africa, Asia e America Latina che sarebbero in grado di produrre vaccini mRna se non vi fossero i brevetti a impedirlo. Del resto, in Cina e Tailandia sono stati prodotti vaccini mRna sfruttando conoscenze di pubblico dominio nella ricerca medica. Non è una tecnologia che solo poche case farmaceutiche sanno utilizzare.
Quanto le istanze espresse durante la pandemia potranno influire in futuro? Quali prospettive?
Siamo in un quadro giuridico in evoluzione sotto diversi punti di vista. Per quanto riguarda la proprietà intellettuale in senso stretto, vedremo dove porterà la discussione a livello di Organizzazione Mondiale del Commercio sulla sospensione dei brevetti: i nuovi rapporti di forza nel commercio internazionale potrebbero portare a qualche revisione sostanziale dell’attuale quadro normativo internazionale. Su questo aspetto è difficile fare previsioni e potrebbe essere cosa che non accade nei prossimi mesi, ma magari negli anni, perché in questo tipo di forum i tempi sono molto lunghi.
Durante la pandemia è stato sollevata con forza la richiesta di accesso completo e incondizionato ai dati dei test clinici sui vaccini e credo che i tempi siano maturi per un cambiamento di rotta dell’Unione Europea su questo punto
Vedo due cose nel futuro, una più vicina e una più lontana. Da un lato ci sono delle riforme che sono secondo me alla portata, abbastanza vicine. Una ha a che fare con i vaccini e i farmaci a livello europeo ed è l’accesso ai dati clinici: l’Agenzia Europea del Farmaco ha già una politica di accesso ai dati clinici più avanzata rispetto, ad esempio, a quella della Food and Drug Administration negli Stati Uniti, ma non ancora sufficiente, ovvero ci sono dati che non vengono divulgati perché protetti da segreto industriale e così via. Durante la pandemia è stata sollevata con forza la richiesta di accesso completo e incondizionato ai dati dei test clinici sui vaccini e credo che i tempi siano maturi per un cambiamento di rotta dell’Unione Europea su questo punto.
L’altra, più lontana, è la riforma del sistema dei brevetti farmaceutici nell’Unione Europea, che ha sempre avuto una posizione molto rigida sull’argomento. Infatti non mi aspetto che le iniziative in questa direzione arrivino dal diritto dell’Unione, ma dall’India o dal Sud Africa e quindi dal diritto internazionale. Però, anche all’interno del quadro attuale ci sono piccoli miglioramenti che potrebbero essere fatti, ad esempio richiedere che la ricerca fatta con fondi pubblici europei sia poi sottoposta a certe condizioni come i brevetti condivisi o solo dati con licenza non esclusiva, un po’ come accade ora per gli obblighi di open access sulle pubblicazioni dei risultati di ricerche finanziate con fondi europei.
Si tratta di politiche brevettuali che adottano già alcuni centri di ricerca e potrebbero essere previste a livello europeo. Non è vero che non vi sarebbe innovazione nella ricerca farmacologica senza i brevetti: nel nostro Paese lo dimostra un istituto come il Mario Negri, che fa ricerca avanzatissima in alcuni settori e per politica non fa brevetti su di essa. Altri enti di ricerca internazionali, seppure non rinuncino completamente ai brevetti, hanno politiche di condivisione e accesso aperto. Insomma, un uso dei brevetti rispettoso del diritto alla salute e meno aggressivo di quello a cui ci hanno abituato le case farmaceutiche in questa pandemia.