Estendere lo screening mammografico gratuito anche alle fasce 45-49 e 70-74 anni, attualmente escluse dai programmi standard del Servizio Sanitario Nazionale, è da tempo una priorità segnalata dalle linee guida europee. L’obiettivo è diagnosticare precocemente un maggior numero di neoplasie in queste fasce di età. Al momento, infatti, lo screening è riservato alla fascia 50-69.
Ma, nonostante questo, i fondi per farlo non si trovano. O forse, non si vogliono trovare.
Lo scorso 5 marzo la Commissione Sanità del Senato aveva approvato due emendamenti (11.0.19 – testo 2 – e 11.0.20) quasi identici al Disegno di legge 1241 sulle liste d’attesa, per avviare un programma sperimentale triennale di screening. I firmatari proponevano di destinare 6 milioni l’anno dal 2025 al 2027, per un totale di 18 milioni.
Il 19 marzo però è arrivato lo stop: la Commissione Bilancio ha bocciato la proposta, su parere contrario del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che ha segnalato la mancanza di risorse nel Fondo FEI, già impegnato altrove.
Silvia Deandrea, presidente della Federazione delle Associazioni degli Screening Oncologici (Faso) e del Gruppo Italiano Screening Mammografico (Gisma) a racconta TrendSanità il suo punto di vista.

«I fondi sarebbero stati comunque insufficienti per coprire in maniera in maniera adeguata queste fasce di età – ci spiega Deandrea – pertanto l’impatto di questa scelta è minimo, anche se sarebbe stato comunque un primo passo, un segnale. Quello che è importante, invece, è l’assenza di queste fasce nei LEA, una battaglia che stiamo portando avanti come società scientifica, insieme alle associazioni dei pazienti. In questo modo non ci sarebbe bisogno di finanziamenti ad hoc, ma diventerebbero parte del sistema. Non dimentichiamo poi che l’estensione dello screening è raccomandata dal Consiglio dell’Unione Europea, nonché dal piano nazionale di prevenzione.
Inoltre, ci sono ancora zone in Italia, per fortuna poche, dove il diritto non è garantito nemmeno per le donne tra i 50 e i 69.
C’è anche un altro aspetto. Siamo una fase in cui, dal punto di vista demografico, le donne del baby boom stanno uscendo dalla fascia 50-69 ed entrando in quella 50-74. Inoltre, stiamo concludendo le raccomandazioni del panel nazionale delle linee guida italiane, basate su quelle europee, dove già da un paio di anni è presente la raccomandazione proprio sull’estensione dello screening alle fasce 45-49 e 70-74 anni».
Serve un aggiornamento dell’attuale programma?
A chi obietta che l’adesione allo screening è bassa, si risponde spesso che il programma non è cambiato da 50 anni. Servirebbe un sistema di prenotazione più snello, non le lettere cartacee, un accesso facilitato ai referti e alle immagini. Anche condividere digitalmente i dati, rendere disponibili le mammografie nel fascicolo sanitario vorrebbe dire risparmiare e semplificare e ridurre.
«Lo screening attuale è ancora basato su modalità che possono sembrare obsolete, come l’invio della lettera cartacea a casa. Questo sistema, però, non è un retaggio del passato – spiega Deandrea – è l’unica modalità legalmente valida oggi in Italia per convocare le persone allo screening, a meno che non abbiano registrato un domicilio digitale. La lettera è necessaria perché lo screening è un LEA e lo Stato ha l’obbligo di invitare attivamente le persone. Non è una questione di “vecchio” o “giovane”, è una questione normativa e organizzazione. Ciò che sicuramente andrebbe svecchiato è la possibilità di modificare l’appuntamento: alcune regioni si stanno già muovendo con portali interattivi o sistemi digitali per la gestione più snella delle prenotazioni. È su questo fronte che si può e si deve lavorare per semplificare l’esperienza delle persone coinvolte.
Per mancanza di fondi la Commissione Bilancio del Senato ha bloccato anche le soluzioni di telemedicina per MMG e pediatri e il Fondo per la prevenzione delle patologie oculari cronico-degenerative
C’è anche un po’ di confusione su cosa sia la mammografia di screening: si tratta di una lettura “sì/no”, fatta da radiologi esperti, non di un esame clinico personalizzato. Se il test è negativo, non ha senso portare quella mammografia dal ginecologo o in altre sedi, perché non ci sono elementi clinici specifici da approfondire. Inoltre, tutte le immagini precedenti sono conservate all’interno del programma, quindi sono disponibili per confronti futuri – conclude la presidente Faso-Gisma».
Le altre proposte respinte per mancanza di fondi
Non solo screening mammografico. Tra gli emendamenti finiti sotto la falce della Commissione Bilancio del Senato, ci sono anche proposte che puntavano a rafforzare l’assistenza territoriale e la prevenzione, ma che si sono scontrate con la solita motivazione: mancano i soldi.
È il caso, ad esempio, delle soluzioni digitali pensate per alleggerire il lavoro di medici di medicina generale e pediatri di libera scelta, come sistemi automatizzati per la gestione degli appuntamenti, strumenti di comunicazione con le persone assistite o l’adozione di prestazioni di base in telemedicina, tra cui la televisita. Anche qui, la risposta è stata negativa: la copertura economica prospettata è stata giudicata “non idonea”.
Niente da fare nemmeno per il Fondo per la prevenzione delle patologie oculari cronico-degenerative, che sarebbe dovuto essere istituito presso il Ministero della Salute con una dotazione iniziale di 5 milioni di euro a partire dal 2025. Il fondo FEI, lo stesso utilizzato per altri emendamenti, non presenta le disponibilità necessarie.
Ancora una volta, resta l’amaro di fronte a proposte che puntavano a rafforzare la prevenzione, migliorare i servizi e proteggere le persone più fragili, ma che si sono fermate davanti alla porta chiusa delle risorse disponibili.
Alla fine, chi paga il prezzo più alto sono sempre le persone. Quelle escluse dai programmi e che si rivolgono, se possono, al privato.
di Ivana Barberini